di Raffaele Avico
Abbiamo già parlato su questo blog (e ampiamente su PopMed) dei rischi connessi alla sovra-esposizione mediatica e alla dipendenza da smartphone, di come il tutto sia ampiamente sottovalutato e di come il fenomeno stia frammentando la possibilità di immergersi verticalmente in un task.
Sempre più diviene centrale per chi si occupa di salute mentale, ragionare sui rischi dell’overload cognitivo, sulla tossicità della sovra-esposizione e sul tema dell’ecologia della mente (ovvero il rispetto e la tutela dell’”ambiente mentale”).
Negli ultimi tempi sembra essere particolarmente complesso inoltre, per gli individui, soffermarsi con il pensiero entro quello che viene definito default mode, uno stato di assenza specifica di task cognitivi, funzionale però all’auto-narrazione e alla libera associazione a riguardo del Sè (tanto da essere stato definito il “centro di gravità del cervello”), tutti processi fondamentali per costruire narrative funzionali all’Io e complessificare la personalità, storicizzandola, dandole un senso narrativo. Ne abbiamo parlato qui.
In media controlliamo il nostro cellulare (questo negli USA, ma è plausibile pensare che in Italia la situazione sia simile) più di 350 volte al giorno. Spesso l’uso del telefono viene mosso dall’apertura di un qualche social network, alla ricerca di una gratificazione momentanea, che sia una notifica o un messaggio. Tutto questo ha da un lato un fortissimo potere dipendentogeno, dall’altro rischi per la salute mentale sempre più ricercati e studiati. Questo lavoro, particolarmente approfondito e commissionato da centri di eccellenza mondiali (MIT, Bocconi), rappresenta il lavoro più corposo finora prodotto sull’impatto dei social network sulla salute mentale osservato su un campione di studenti, ottenendo risultati impressionanti, in particolare relativamente a Facebook. Parliamo di un degradamento generale della qualità della salute mentale, indotto anche da “comparazioni tossiche” tra individui giovani.
Recentemente è stato inoltre pubblicato un articolo che indaga il concetto di “salienza” in relazione allo smartphone.
Il punto di questo studio era dimostrare come la semplice presenza del telefono nei pressi di un individuo, fosse in grado di assorbire una quota significativa delle sue capacità cognitive, di fatto diminuendole. Si tratta di uno dei primi studi che indagano l’effetto della semplice presenza dello smarphone sulle capacità cognitive e attenzionali di un individuo, senza che necessariamente vi sia un altro compito da svolgere o un’interazione fisica con il telefono. Inoltre, gli autori sottolineano che l’effetto pare presentarsi anche nella consapevolezza a riguardo dello spegnimento del telefono stesso, o con lo schermo non visibile, cosa che dovrebbe farci ragionare sul potere che questo oggetto ha nel contesto delle nostre vite quotidiane. Sembrerebbe esistere una sorta di bisogno “sub-cosciente” di “monitorarlo”. Concludono con un consiglio chiaro: “however, our data suggest at least one simple solution: separation”.
La dispersione di energia mentale, che fa da preambolo al senso di esaurimento/overload cognitivo, dipende da 3 processi principali:
- il lavoro implicito di scrematura e differenziazione tra stimoli che costantemente facciamo per poter mantenere il focus. Il cervello, come sappiamo, è già di suo un filtro in grado di portare alla nostra attenzione pochi stimoli alla volta per ragioni di adattamento; bombardarlo in modo continuo di stimoli ridondanti e chiassosi, rende il lavoro di filtraggio ancora più faticoso e frustrante.
- la fatica della scelta continua, dell’eccesso di stimoli tra cui scegliere, rappresenta un problema per ora sotto-soglia, non ancora pienamente indagato; ne scrive anche Pietro Minto in questo libro che abbiamo recensito di recente citando il concetto di FOMO (fear of better options), il timore relativo al fatto di aver fatto la scelta migliore in un mondo di possibilità di consumo pressoché infinite
- tradire costantemente la nostra attenzione con altro (come durante la lettura, l’impugnare e sbloccare il telefono) ci condanna al continuo bisogno di ri-focalizzarci su ciò che stavamo facendo “prima” di distrarci; questo è di per sé uno sforzo cognitivo, un task mentale. Il tema qui è complesso poiché esistono aspetti emotivi implicati nel fenomeno, dato che siamo meno portati a distrarci tanto più il compito è per noi stimolante. Il problema è che, in questo senso, solamente i compiti per noi massimamente edificanti in termini emotivi saranno in grado di coinvolgerci al punto da impedirci movimenti di distrazione: il risultato è che tutto ciò che non è per noi “centrale” rischia di disperdersi, con meno possibilità da parte nostra di essere contaminati da qualcosa di altro. Se mettiamo questo fenomeno insieme a quello delle bolle informative create dagli algoritmi, capiamo facilmente come tutti noi si rischi di “radicalizzarci” sempre di più su isole di contenuto “nostre”, senza associazioni libere, contaminazioni e scoperta di “altro”. É come sottoporsi a una Cura ludovico con i nostri stessi contenuti, tutto il giorno, auto-bombandardoci il cervello con contenuti in grado di “fittare” benissimo con ciò che già sappiamo, radicalizzandoci appunto.
Valerio Rosso nel suo recente libro PSIQ (https://www.psiq.it) ne parla in modo diffuso, introducendo un concetto interessante, il DDPA (Disturbo da Diffusione Patologica Dell’Attenzione), approfondito ulteriormente da un video che riportiamo in calce all’articolo.
Con l’autorizzazione dell’autore, riportiamo un breve estratto da questo volume, un passo incentrato appunto sul tema “sequestro dell’attenzione”:
[..]
Bene, adesso vi spiegherò come gli Smartphone, i Social Network ed il Gioco d’Azzardo ci rubano il Tempo, l’Attenzione e diminuiscono la nostra Versatilità, allo stesso modo di come accade quando usiamo in maniera problematica una sostanza d’abuso come l’eroina o l’alcol (379).
Il Tempo a nostra disposizione e la capacità di direziona e mantenere l’Attenzione su attività produttive, che ci appassionano e che ci fanno crescere, è il vero punto cardine della nostra Vita.
Leggendo psiq penso che abbiate capito che esistono disturbi mentali particolarmente subdoli ed invalidanti che vanno a compromettere proprio la nostra attenzione (oltre ad altre funzioni) come l’ADHD e anche, in parte, il Disturbo Bipolare.
In realtà negli ultimi anni, con la diffusione di massa degli smartphone e dei social media, si sta facendo strada una condizione patologica della nostra mente che, in realtà, non ha ancora un nome su cui gli scienziati concordano, ma che io ho chiamato “Disturbo da Diffusione Patologica dell’Attenzione” (“DDPA”) (380).
In quest’era digitale siamo tutti a rischio di sviluppare un “Disturbo da Diffusione Patologica dell’Attenzione” (“DDPA”) perché intorno a noi si stanno sviluppando delle condizioni fortemente favorenti questo problema.
Infatti siamo tutti oggetto di Campagne di Marketing che cercano di attirare la nostra attenzione (nel Mondo Reale, sul web e sui Social Media) ed inoltre la crisi economica, le Guerre, i Cambiamenti Climatici e la perdita di spiritualità e di valori solidi stanno portando l’umanità ad una sorta di Depressione Esistenziale che necessita di essere lenita. Che cosa sta accadendo, quindi, nel nostro attuale Mondo, che si sta anche caratterizzando per una velocità eccessiva, richieste di performance elevatissime e dalla presenza del digital che è una fonte enorme di connessione, di contenuti accattivanti e di opportunità sensoriali?
Le conseguenze di tutto ciò sono state una moltiplicazione dei cosiddetti attrattori di attenzione che assorbono e diffondono la nostra attenzione con conseguenze non ancora completamente chiare sul piano psicopatologico.
Il concetto di diffusione patologica dell’attenzione, che poi, in termini pratici, si traduce in un sequestro del nostro limitato capitale attentivo, è un fenomeno noto da diverse decine di anni, in sostanza da quando l’Umanità ha iniziato ad utilizzare mezzi e media che hanno potenziato e facilitato la comunicazione, negli anni ’60 e ’70.
“Superficialità”, purtroppo è questa una delle conseguenza di una diffusione costante della nostra attenzione, sequestrata da mille attrattori digitali, reali ed intrapsichici, che a fatica ce la restituiscono.
Andando avanti in questo ragionamento possiamo affermare che la diffusione patologica della nostra attenzione nel mondo digitale ed in quello reale iper- accelerato, favoriscono la costante presenza di ansia e rimuginazione.
Perché tutto questo?
L’ansia e la rimuginazione, intese in senso “classico”, erano sostenute da processi psicopatologici di tipo implosivo, ovvero che spesso affondavano le loro radici in una sorta di deflessione dell’osservazione verso il nostro interno a scapito della realtà esterna; spesso rappresentano dei veri e propri bias interpretativi dei dati in nostro possesso.
Ansia e rimuginazione sono emersi e si sono diffusi tra le persone come entità psicopatologiche nel corso di tutto il ‘900.
Allo stato attuale ansia e rimuginazione sono ancora molto presenti tra le persone nel mondo occidentale iper- accelerato e digitalizzato, ma non più come entità patologiche ma come segni e sintomi del Disturbo da Diffusione Patologica dell’Attenzione. Inoltre queste forme di ansia e di rimuginazione assumono una valenza esplosiva, ovvero diretta completamente verso l’esterno (381).
Nel momento in cui il nostro capitale di attenzione è completamente depauperato la nostra mente subisce una sorta di Effetto “colapasta”, ovvero la dispersione dell’attenzione rende la nostra mente simile ad un “colapasta” che non trattiene le informazioni per il tempo sufficiente alla loro elaborazione e questo ci impedisce di soffermarci sulle memorie e sui dati sensoriali, generando sensazioni di incertezza, allarme e disagio scarsamente definibili (382).
Quali potrebbero essere, quindi, le conseguenze cliniche ed esistenziali del DDPA?
Di seguito riporto una tabella riassuntiva dei più probabili sintomi e segni che potrebbero caratterizzare un disturbo costante della capacità di portare attenzione secondaria ad una costante diffusione (leggi “depauperizzazione”) dell’attenzione stessa:
- Ansia e Rimuginazione.
- Attacchi di Panico.
- Disturbi da desiderio sessuale, anorgasmia.
- Difficoltàrelazionali.
- Difficoltà di apprendere nuovi task.
- Anedonia e Alessitimia.
Per poter provare sentimenti autentici, vivere le nostre passioni e scrivere il nostro futuro abbiamo bisogno di riuscire a soffermarci sulle cose, di focalizzare i nostri pensieri e le nostre azioni, in poche parole abbiamo bisogno di poter disporre della nostra attenzione. Se questa qualità della nostra cognizione ci viene sottratta, proprio perché diluita e diffusa in plurime direzioni, rischiamo di perdere il motivo per cui la vita vale la pena di essere vissuta: la nostra possibilità di autodeterminarci e di essere liberi.
[…]
PSIQ è disponibile al link www.psiq.it. Qui invece il video prima citato, per approfondire:
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