di Raffaele Avico
Nella genesi di un problema di dipendenza, molteplici evidenze suggeriscono come sia implicato quello che viene definito circuito di reward (o “di ricompensa”). La dipendenza è figlia sia della psicologia in senso stretto, che della biologia.
Quando parliamo di circuito di ricompensa, parliamo di come funziona l’apprendimento umano. Apprendere dall’esperienza, per noi così come per gli animali, vuol dire rincorrere e ripetere quello che in noi produce sensazioni di gratificazione e benessere. Il nostro cervello, ogni qual volta sperimentiamo momenti di piacere (mediato dal cibo, dal sesso, dall’affetto, dal sentirsi a casa, ecc.), libera alcune sostanze che funzionano da rinforzo a quello stesso stimolo, rimarcandolo.
Questo circuito comprende alcune aree del cervello “profonde”, come il talamo e i gangli della base, e aree più recenti facenti parte della corteccia, come la corteccia prefrontale, unite in un meccanismo che trova il suo impulso centrale nel coinvolgimento del neurotrasmettitore dopamina (insieme ad altri). I primi studi inerenti il circuito di reward risalgono agli anni ‘50 per opera di Old e Milner, che osservarono come nei topi stimolare elettricamente alcune aree del cervello conduceva a risposte ripetute, ripetitive e “insistenti”: gli studi proseguirono a cascata e oggi siamo in grado di pensare non solo teoricamente, ma anche anatomicamente, la presenza di un circuito formato da reti neurali collegate che fa da sfondo ai comportamenti umani “intenzionali” e che riguardano la “ricerca di piacere” o la “ricerca di sensazioni”.
Per un approfondimento esauriente di tutte le zone cerebrali coinvolte nel circuito, consigliamo la lettura di questa review.
Nella genesi della dipendenza, c’è consenso sul fatto che sia centralmente coinvolta la dopamina. La spiegazione evoluzionistica, è che questa venga liberata al fine di procurare nell’individuo sensazione di piacere soggettivo e di “coinvolgimento sensoriale” (al di là di quale sia l’atto compiuto nella realtà esterna -l’assunzione di una sostanza, un rapporto sessuale consumato, un generico appetito, etc.-).
La dopamina produce senso di “intenzionalità”: quando aumenta la sua concentrazione nel vallo intersinaptico (lo spazio di comunicazione tra i neuroni del cervello), ci sentiamo più orientati ad “afferrare” la realtà, diveniamo più focalizzati su obiettivi specifici: è facile intuire come la ricerca spasmodica di una sostanza come la nicotina o l’alcol, possa essere in qualche modo connessa al livello di concentrazione, appunto, di dopamina.
L’IMPRONTA MNESTICA
Insieme a questo meccanismo di rinforzo neurochimico, nel provocare un meccanismo di “dipendenza”, è coinvolta la memoria, che imprime in modo potente l’esperienza “piacevole” nel ricordo del soggetto, per poterla in futuro ricercare e ricreare. L’evoluzione ci ha dotati di questo meccanismo per spingerci a ripetere esperienze per noi gratificanti, nella direzione del “meglio” per noi.
Questo è il motivo per cui ricordiamo così vividamente le prime volte (in una dipendenza, ma anche relativamente ad altri aspetti della nostra storia): le esperienze (soprattutto quelle molto gratificanti) si imprimono nei ricordi e ci fanno da “faro” nelle nostre esplorazioni future.
Alcune delle “memorie relazionali” impresse nella nostra mente nel corso dell’infanzia, se positive, sono così indelebili da guidarci, in seguito, a ciò che “là e allora” ci produsse senso di benessere soggettivo, il tutto mediato dal circuito di ricompensa, senza il quale, quelle esperienze, le scorderemmo nel tempo.
Capita spesso di osservare in chi usa sostanze, la ricerca e la volontà di tornare a quelle prime, bellissime esperienze, senza che questo possa avvenire nella realtà: la forza di quel ricordo, tuttavia, spinge a rimettere in atto, nuovamente, la ricerca di quel benessere.
AMBIVALENZA E DIPENDENZE
Il circuito di ricompensa viene chiamato così perché descrive il meccanismo di rinforzo di una determinata esperienza, che ci guida nel futuro, verso la sua ripetizione. Il problema di una dipendenza, però, sono gli effetti collaterali, spesso talmente gravi da far riconsiderare l’effettivo desiderare di quel piacere originario, tra l’altro difficilmente replicabile. La persona esegue una valutazione dei pro e dei contro, arrivando a uno stato di ambivalenza totale verso l’oggetto della propria dipendenza: la rincorre e ne ricerca gli effetti benefici, spesso però, contemporaneamente, conoscendone i rischi e gli effetti avversi: questo crea una situazione di amore/odio, uno stato di ambivalenza che può durare tantissimo, fino a che l’inganno non sia completamente disvelato, e l’esperienza riconsiderata. Come dire: il circuito di reward ci spinge in quella direzione, ma la testa può aiutarci a cambiare rotta (biologia e psicologia vanno, come si diceva, insieme, ognuna capace di interferire con l’altra).