di Raffaele Avico
Sappiamo che lavorare con il trauma significa esporsi a persone con scompensi prima di tutto neurofisiologici. Ovvero: i pazienti sopravvissuti a un trauma singolo molto pesante, come un terremoto, o un’aggressione, vivono come intrappolati in uno stato fisico alterato, anomalo. La realtà è percepita come un carcere da cui sembra difficile uscire: spesso la stessa viene raccontata come una sorta di incubo, un brutto sogno.
Abbiamo più volte sottolineato che questo avviene perché la persona rimane congelata in un approccio difensivo nei confronti della realtà che lo o la circonda, soprattutto quando ci sia stato un trauma singolo.
Come sappiamo, il disturbo post traumatico contempla anche disturbi dissociativi: sappiamo anche però che questi li troveremo soprattutto quando l’individuo sia reduce da un disturbo protratto nel tempo, un trauma per esempio di sviluppo, cumulativo.
L’approccio psicoterapico, come abbiamo sottolineato altrove, è un approccio trifasico, composto da tre momenti: una prima fase di stabilizzazione dei sintomi, una seconda fase di lavoro sulle memorie e una terza fase di lavoro sulla ricostruzione dell’identità del paziente.
Uno dei principali problemi del lavoro sulle memorie, è il persistere delle risposte difensive, le “fear response” che non consentono al/la paziente di pensare/mentalizzare con tranquillità ciò che gli/le è successo.
Perchè l’MDMA è divenuto nel tempo un ideale strumento di risoluzione di questo problema?
Questo TED TALK potrebbe dare alcun spunti di riflessione interessanti:
Viene molto ben chiarito -inizialmente- come i farmaci al momento usati per il trattamento del trauma (per lo più antidepressivi SSRI) non sembrino agire alla radice del problema, ma riescano ad apportare benefici solo in modo sintomatico, attaccando il problema in modo superficiale.
Il Dr. Ben Sessa ben chiarisce come questo non aiuta nella reale risoluzione di uno stress post traumatico, dato che non va a toccare il nucleo centrale del problema, che consiste nella difficoltà di ripercorrere con la memoria il trauma, vista la fear response che genera uno scompenso in senso neurofisiologico.
Che fare dunque?
Altrove abbiamo appuntato alcune questioni sul tema uso di farmaci che aiutino nel prevenire la fear response.
Questo articolo sull’utilizzo dell’MDMA -visualizzabile in PDF- ci racconta alcune cose che in parte già sapevamo, corroborate dal comparire su una rivista ad alto impatto come il British Journal of Psychiatry.
É possibile reperire in rete un webinar condotto da Jonas Iaffaldano Di Gregorio (qui già in precedenza intervistato) e il già citato Ben Sessa, uno psichiatra di Bristol impegnato nella ricerca della psicoterapia integrata da psichedelici.
Il webinar è visualizzabile qui.
Emergono alcuni spunti interessanti:
- Sessa definisce l’MDMA possibile “santo graal” della psicoterapia, visto l’effetto principale -come dicevamo, il favorire l’elaborazione delle memorie traumatiche e di tutto ciò che “nel mondo interno” procura reazioni di paura
- l’MDMA usato per scopi clinici, è differente dall’MDMA usato in modo ricreativo, non tanto nella sostanza in sè (di certo più controllata), ma per la sua modalità di utilizzo, maggiormente “mirata”; l’mdma possiede la capacità paradossale di aumentare il livello di attività cerebrale in senso “dopaminergico” rendendo l’individuo più volitivo e produttivo in termini di pensiero, e allo stesso tempo di favorirne un rilassamento “senza paura”
- i 3 ambiti di studio per ora sull’uso dell’MDMA sono il PTSD, l’alcolismo (lo stesso Sessa presenta nel webinar i risultati evidentemente incoraggianti dell’utilizzo di MDMA con pazienti alcolisti) e l’autismo in pazienti adulti (dato che l’MDMA possiede capacità “empatogene”, con un senso di aumentata connessione verso l’esterno -problema centrale nell’autismo- con però pochissimi studi al momento effettuati)
- la tipologia di psicoterapia usata con l’ausilio dell’MDMA, è una tipologia di psicoterapia innovativa, che poco ha a che fare sia con la CBT che con le psicoterapie psicodinamiche. A riguardo della psicoterapia, qui troviamo il manuale ufficiale erogato da MAPS, risalente al 2017
- a riguardo della formazione professionale per poter erogare psicoterapia assistita da MDMA, esistono alcuni enti erogatori negli USA. É sul sito di MAPS che troviamo le informazioni più accurate. Da quello che troviamo su questo portale, in USA si sta svolgendo la terza fase della sperimentazione del farmaco con pazienti traumatizzati gravi. Inoltre, si stanno appunto muovendo i primi passi verso il formare persone alla pratica psicoterapeutica assistita da mdma. Prima ancora di MAPS, l’unico ente in grado di erogare corsi certificati in psicoterapia assistita da psichedelici, è un centro di San Francisco, questo. Qui invece il training erogato da MAPS.
- a confronto con gli anni ‘60, il “rinascimento” psichedelico citato da Sessa che osserviamo in questi anni, è di dimensioni enormi; non si tratta cioè di pochi clinici isolati che sperimentano psichedelici in ambito psichiatrico, ma di un movimento in rapida espansione con ricadute in termini operativi per ora soprattutto in USA, ma entro qualche anno anche in Italia
- le proprietà d’azione dell’MDMA non si limitano a “estinguere” la “fear response”; viene citato diverse volte nel webinar l’effetto “mistico”/associativo del farmaco, in grado cioè di produrre “ristrutturazioni cognitive”, “nuove modalità di leggere la realtà”, punti di vista diversi sulla propria vita che andrebbero a giovamento (teorico) della psicoterapia stessa; questo aspetto, speculativo, è uno dei punti di interesse storici della letteratura che riguarda l’uso degli psichedelici in psichiatria
Ci troviamo di fronte qui ad alcuni spunti di quello che potrà essere il trattamento del trauma in futuro. Abbiamo più volte visto come il corpo verrà sempre più messo in mezzo, entro una visione olistica dell’individuo stesso; vediamo ora come è probabile verranno introdotti farmaci atti a produrre un intervento mirato, con la “psicoterapia” a fare da cornice di contorno (ovvero, il contesto della psicoterapia sarà il contesto elettivo, ma al suo interno troveremo molteplici altre forme cliniche, che avranno poco a che fare con l’utilizzo della sola parola).
Sul tema più vasto inerente l’uso degli psichedelici per la psicoterapia e la crescita personale/psicologica, si veda il podcast Terapie Psichedeliche su Spotify a cura di Jonas Iaffaldano Di Gregorio:
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