Fino a poco tempo fa, pochi di noi conoscevano l’auto reclusione, il panico e la tristezza che i giovani hikikomori vivono quotidianamente nelle loro stanze. Se prima gli hikikomori erano esclusivamente i giovani nipponici, assidui divoratori di serie tv, oggi tutti noi, che lo vogliamo o no, possiamo definirci un po’ degli “eremiti post moderni” (cfr. Tamaki Saito).
Difficile dire dove inizi un disagio psichico e cominci un fenomeno sociale di massa: è chiaro che qualunque cambiamento sociale, passato lo shock iniziale, determina in noi l’impulso a trovare un nuovo modo di guardare gli eventi: la consapevolezza di non potersi più aggrappare al vecchio modo di vedere le cose e la speranza, più o meno conscia, di ritornare ad abbracciare la pienezza della vita. Questo ultimo concetto è stato definito molto tempo fa -ma lo abbiamo dimenticato-da William Blake e da F. Nietzsche come la “stella del mattino”.
AUTO RECLUSIONE E AGGRESSIVITÀ REPRESSA
Molto è già stato scritto sulle implicazioni psicologiche e sociali di questa condizione esistenziale ma meno sulle implicazioni che rabbia e aggressività repressa giocano nella fenomenologia della depressione.
Molti di noi ora, come gli hikikomori, in stretto isolamento, hanno sviluppato oltre a sintomatologia depressiva, sensazioni di stanchezza, letargia, comportamenti ossessivi ed esplosioni di rabbia. Alla base di questo malessere c’è anche una sorta di resistenza passiva nei confronti degli standards sociali contraddittori e caotici, che dettano legge e le pressioni obbligate verso l’auto realizzazione professionale in piena crisi economica.
Per noi, esseri umani post-pandemici, è stato un bagno di realtà vissuto a stretto contatto con le nostre fragilità e, in qualche modo, siamo stati costretti a prenderne atto e a capire quale lezione trarre da questa esperienza. Forse incominciare a fidarci di noi stessi e del nostro sistema neurale e un po’ meno dei canali comunicativi di massa, di cui ormai rischiamo di diventare schiavi?
ALTAMENTE RESILIENTI
Inconsciamente molti di noi hanno represso queste riflessioni e gli stati emotivi di malessere e si sono immersi nei mondi evanescenti delle serie tv: esseri onnipresenti on-line. Altri invece hanno scoperto qualcosa, qualcosa di altamente resiliente: si è strutturato uno spazio interno, infrangibile, costruito da valori personali esclusivi e non codificati dal pensiero di massa. Un valore numinoso, specifico per ognuno di noi, nato dalla solitudine off-line che permette di abbracciare la pienezza della vita e ripartire. Non vi sono ricette facili per la felicità. É qualcosa che si trova solo passando attraverso se stessi: in realtà siamo quello che abbiamo vissuto, senza scordare nemmeno un fotogramma di questa pandemia, e non si tratta certo di un viaggio piacevole.
Non basta il ritorno alla normalità e dimenticarsi di tutto ma implica anche confrontarsi con il dolore e il vuoto di tante vite perdute senza commiato. Che cosa impariamo da questa esperienza lacerante che non ha risposte che si trovano nel web? Come rinasciamo dalle ceneri? E se provassimo a guadare dentro di noi invece che sprofondare nel black mirror, sempre on-line?
LA STELLA DEL MATTINO
Negli scritti di Marion Milner, psicoanalista britannica, si ritrova una trattazione di questo tema. L’autrice, citando le opere del poeta William Blake, riprende un antico archetipo elaborato dall’artista: «La stella del mattino». La stella del mattino rappresenta un antico portale psichico, ossia la prima luce che emerge dall’oscurità della nostra notte: «la possibilità di raggiungere uno stato della mente in grado di ricreare il mondo e l’individuo al suo interno, non più tagliato fuori ma come parti essenziali di essi». Dunque ripartire dal proprio spazio interno uno spazio sacro in cui l’individuo affronta senza indugiare le emozioni e i pensieri tossici, i rapporti disfunzionali per ricreare un equilibrio in sé e con l’altro. Forse proprio così le esperienze della pandemia verranno riconosciute, rielaborate e rivitalizzate.
Così si crea lo spazio critico di riflessione soggettiva, detto «Epoche» -una sospensione del giudizio per affinare le capacità creative di riflessione- in cui cominciamo a renderci conto di cosa ci sta succedendo e di quello che non sta andando bene nel nostro ecosistema; prendendo un impegno con noi stessi e sigillando un’intenzione verso cui vogliamo tendere nel prossimo futuro “semplicemente per sapere e conoscere la verità; allora questa scoperta attiverà in noi nuove energie che diventeranno parte della nostra situazione e l’uomo delle caverne che è in noi, comincia ad evolversi e ad essere più umano“(op. cit 232).
Così dal caos che abbiamo vissuto si potrà generare la stella danzante.