di Raffaele Avico
Questo articolo è già stato pubblicato sul blog dell’associazione culturale ramodoro, antropologia pratica per il sociale
Nella sua carriera di biologo e psicologo infantile, Jean Piaget approfondì la psicologia infantile come nessuno aveva fatto in precedenza, partendo dall’osservazione dei suoi stessi figli. Diede una formulazione organica degli stadi, delle sequenze e dei movimenti di sviluppo del bambino a partire dalla sua nascita. Per esempio osservò come i bambini, partendo da movimenti da lui definiti circolari, imparassero a costruire schemi di movimento partendo da gesti e incidenti casuali, non intenzionali. Nel corso dello sviluppo, Piaget osservò come il movimento fosse appreso, costruito tramite prove ed errori, fino a raffinarlo e asservirlo alla mente del bambino stesso in fase di crescita.
Un importante concetto da lui formulato, è quello di adattamento, formato nel suo divenire di due fasi distinte: l’assimilazione (avvicinamento di quello che c’è di nuovo a una competenza che ho già), e l’accomodamento (creazione di un assetto realmente nuovo, che modifica in modo definitivo il mio rapporto con la realtà). Pensiamo per esempio all’acquisizione della tecnica sportiva per un ragazzo: ciò che di nuovo viene appreso, incontra una resistenza fisiologica, fino a essere assimilato e infine “accomodato” nel bagaglio di competenze e movimenti naturali della persona. Questo succede anche per le idee, i concetti, le differenti mentalità.
Le nuove forme di sharing economy, nate in seno a un periodo di percepita depressione economica che va avanti dalla data simbolica del 2008, rappresentano un approccio diverso alla vita in generale che le persone sembrano inizialmente essere state costrette ad adottare, per poi in seguito aver ri-considerato anche nei risvolti più positivi. Qualcuno dice “viviamo in tempi interessanti”. Sono nate negli ultimi anni delle modalità di approccio alle spese del quotidiano che prevedono, per esempio, una sorta di baratto evoluto (si pensi per esempio allo scambio di case per le vacanze come Homelink, o ai progetti offerti da Workaway, sparsi in tutto il pianeta), oppure la messa insieme di risorse limitate al fine di ricevere gli stessi vantaggi ma dividendo i costi (per esempio il fenomeno di BlaBlaClar, Uber, forme di condivisione varia, come il co-housing, il co-working, etc.). Ci si approccia alla sharing economy con uno spirito da tempi di guerra, con solidarietà e rispetto. Tutti abbiamo sotto gli occhi i costi ridotti di un approccio di questo tipo e i vantaggi effettivi. Esistono piattaforme, in rete, pensate per condividere i costi di un abbonamento Spotify o Netflix (Together Price), e siti che consentono alle persone di trasformare casa loro in ristorante (Gnammo) o in bed&breakfast (Airbnb). Il prossimo grande (grandissimo) salto, promette di farlo la tecnologia blockchain, potenzialmente in grado di minare le basi dell’intero sistema verticalistico e monopolistico di intere aree sociali, riassegnando enormi poteri al singolo cittadino – l’Estonia a proposito di questo apre la strada agli altri. I progetti fondati sulla sharing economy sembrano essere ovunque benvenuti e accolti con sollievo.
DA VERTICALE A ORIZZONTALE
Ciò che accade è un eclissarsi dell’immagine dell’uomo solo e imprenditoriale che a partire dai suoi soli sforzi scala la piramide sociale modellando l’ambiente a sua immagine; viene meno la fiducia nel modello liberista, possibile solo quando la macchina economica sia essa stessa funzionante e ben oliata. Il mercato, sistema complesso, pare avere leggi proprie e di difficile previsione, e l’uomo ci si adatta. Oscurato il sogno italiano, modellato su quello americano, la sharing economy sembra essere un segnale forte di come l’atteggiamento nei confronti della gestione economica privata, da verticale qual era, stia passando a un assetto di tipo orizzontale. La direzione sembra essere quella della condivisione e della cooperazione: creare rete per poter migliorare la qualità di vita, fare catenaccio contro un fantasma di futuro che si fa fatica a focalizzare e distinguere. Osserviamo più solidarietà e un ritorno a una mentalità familiaristica fondata sul concetto di rete, oggi come prima del boom economico di metà secolo scorso.
Nel suo libro “Tefteri” del 2013, Vinicio Capossela osserva e descrive la realtà del popolo e della musica greca in concomitanza della crisi economica degli ultimi anni. Racconta di come, curiosamente, ad Atene siano ri-fioriti i tradizionali luoghi di pratica del rebetiko, tradizionale musica locale, e di come la gente sembri essersi raccolta intorno a questi fuochi tradizionali come in cerca di un’identità dimenticata che la crisi ha reso necessaria, indispensabile. Un ritorno quindi al bisogno di appartenenza alla propria terra, ricercata in tempi di forti tempeste finanziarie.
I progetti di sharing economy manifestano una tendenza e scoprono un bisogno simile. La difficoltà, per molti, sembra essere accettare che questa fase sia destinata a durare per molto. Tornando a Piaget, ogni transizione evolutiva prevede due momenti che si succedono: l’assimilazione e l’accomodamento. Come chi cambia stato o città, o si trasferisce dal Sud al Nord Italia; chiediamoci quanto tempo impieghi a cambiare realmente, profondamente, mentalità. Il catapultarsi evolutivo di un bambino sano, insegna Piaget, è però inarrestabile e va assecondato. La sharing economy traccia il confine di un nuovo assetto mentale, “interessante” nella sua complessità fatta di passato (ritorno a forme di solidarietà e appartenenza locali, obbligo di condivisione) e futuro (comunicazione esplosa per mezzo delle nuove tecnologie, nuovi luoghi di aggregazione virtuale).