di Raffaele Avico
Ecco una sintetica mappa che visivamente ci può dare un’idea di cosa sia opportuno indagare in senso psicopatologico quando si voglia capire il funzionamento “generale” di un paziente. Ogni area, è in grado, potenzialmente, di racchiudere in sé un intero percorso di psicoterapia.
Abbiamo qui approfondito la teoria del network di sintomi portata davanti da Denny Borsboom all’università di Amsterdam. La sua visione è abbastanza chiara: Borsboom parla di una rete di sintomi psicopatologici o almeno di fenomeni psichici in grado di cambiare il ”campo” psicologico, di momento in momento, seguendo un principio di causalità non lineare, ma circolare.
Il principio di causalità circolare regola il comportamento interno di ogni sistema complesso. Un sistema complesso è costituito di un insieme di variabili in cui ogni singola variabile influenza potenzialmente tutte le altre, nel tempo. Borsboom osserva come il campo psicologico di un individuo non possa essere ricondotto a un principio lineare di funzionamento: è necessario secondo il suo punto di vista abbracciare una visione più ampia, tipica di chi si approcci, appunto, allo studio dei sistemi complessi.
I sistemi complessi hanno alcune caratteristiche peculiari, o principi:
- non sono regolati da un principio di causalità lineare, ma circolare
- sono prevedibili solo in modo parziale: è logicamente più corretto tentare di prevedere delle “tendenze” (l’economia è un sistema complesso, per esempio – il suo sviluppo non è totalmente prevedibile)
- se si osserva uno stormo di uccelli in volo (che si muove in modo apparentemente unificato, mosso da un principio di mutua coordinazione reciproca tra ogni uccello dello stormo che, rapportandosi a ognuno degli altri, “unifica” il sistema e lo rende “compatto”), si noterà che lo stormo assume delle forme che cambiano producendo dei “bordi”, come se lo stormo stesso avesse una sua vita o una sua natura “superiore alla somma delle sue parti”. Questo succede in conseguenza dell‘interazione di ogni variabile con tutte le altre variabili, in ragione di un doppio principio –dialogico e ricorsivo– che muove ogni variabile del sistema a dialogare con tutte le altre variabili e ad auto-modulare il suo comportamento a partire dai feedback che riceve dagli altri membri del sistema
- Il meccanismo del feedback positivo è centrale quando si parli di teoria della complessità. Ovvero, un determinato fenomeno si rinforzerà e tenderà a presentarsi sempre di più a causa dell’effetto che quella stesso fenomeno avrà avuto sul sistema (come per il cambiamento climatico, accelerato dalla riduzione delle “aree bianche” -come ghiacciai o i poli- che avrebbero rimbalzato meglio la luce solare contribuendo a raffreddare il globo, come spiegato meglio qui); nel disturbo da stress post traumatico, uno stato di allarme protratto produce insonnia, che diminuisce la possibilità di elaborare e “cognitivizzare” il ricordo del trauma, aumentando ancor più il potenziale patogeno del PTSD, e così, via in un feedback positivo
- un sistema complesso vive in una condizione chiamata “orlo del caos”, al confine cioè tra una condizione di dispersione/caos in cui ogni variabile del sistema fa “cosa vuole”, e una condizione di chiusura del sistema in cui ogni variabile è bloccata dalla presenza delle altre. In un sistema complesso, il permanere sull’orlo del caos produce un ambiente ottimale alla sopravvivenza e all’evoluzione stessa del sistema
Cosa c’entra la teoria della complessità con la psicopatologia? Recentemente si sono osservati movimenti per così dire “avanguardistici” che hanno intentato nuove modalità di classificazione e concettualizzazione dei disturbi psichici (rDoC, l’HitoP), mirate a trascendere o superare il modello lineare classico medico (SINTOMO A= PROBLEMA B + PROBLEMA C) in particolar modo in ambito di psichiatria e psicologia clinica. Borsboom porta la cosa sul campo della psicologia clinica, allargando il campo, e proponendo una visione circolare e complessa dell’insieme dei sintomi portati da una determinata persona.
..ovvero, uno stato mentale da pensarsi come il prodotto finale di un processo di interazione tra diversi elementi, tutti da considerare sullo stesso piano (con delle eccezioni, ovvero, con dei sintomi DI MAGGIOR PESO SUL SISTEMA, come, per esempio nei quadri PTSD, l’insonnia), tra loro mutuamente dipendenti.
Quindi, per esempio, aver subito un trauma, potrebbe portare a insonnia, quindi a disforia, quindi a “cicli interpersonali problematici”, quindi a isolamento, quindi a depressione, e così via; oppure, nel caso di un “vulnus” paranoideo “primario” (cioè, semplicemente, rappresentare lo “sguardo” dell’altro come uno sguardo maligno o intrusivo, sintomo molto comune che però diviene, quando molto intenso, altamente invalidante), questo potrebbe portare a evitamenti, quindi a isolamento, quindi a tono depressivo dell’umore, qiundi a insonnia, quindi a disforia, etc.etc.
Il modello proposto da Borsboom, è un modello che obbliga il clinico a ragionare, diagnosticamente ma anche prognosticamente, in modo nuovo; per “approcciare” o trattare per esempio una depressione, gli verrà chiesto di partire inserendo nel quadro complessivo del paziente degli elementi nuovi che possano rompere i feedback positivi sopra i quali quello stesso sintomo sembri appoggiarsi; quindi, per esempio, lavorare sulla qualità del sonno, o sull’uso dell’attività fisica, oppure sul ridurre i comportamenti di evitamento sociale, cosa che potrebbe idealmente garantire un superiore “apporto “affettivo e ricadere in modo positivo sull’umore.
Il tutto sembra molto intuitivo, ma suggerisce in realtà un modo di pensare altamente non-riduzionistico, ritagliato intorno allo stato mentale del paziente, allargato e più, in qualche modo, “reale” o “naturale”.