di Matteo Respino
In questo pezzo descriviamo brevemente l’approccio di due Autori, entrambi fondamentali nel contesto psicoanalitico, al concetto di disturbo narcisistico. Dalle posizioni differenti di Kohut e di Kernberg circa tale questione nacque una controversia che offre l’occasione di riassumere, in maniera semplice, alcuni degli aspetti fondamentali della psicologia del sé (Kohut) e della teoria delle relazioni oggettuali (Kernberg). Sebbene molto sia stato scritto e detto circa tale diatriba, utilizziamo come riferimento e riassumiamo le idee espresse in un interessante libro chiamato “The Psychoanalytical Model of the Mind” di E. Auchincloss, a proposito di tale questione.
Innanzitutto, entrambi gli Autori concordano nel ritenere il disturbo narcisistico di personalità come caratterizzante individui invidiosi, preoccupati da fantasie di successo o di potere, in costante ricerca di attenzione, che si aspettano di esser visti come speciali o superiori, arroganti e carenti di empatia. Nel contesto della psicologia del sé, il disturbo narcisistico viene concettualizzato come una problematica generata dalla mancata maturazione di qualcosa già presente in età infantile e chiamato “Sé grandioso”. Facciamo un breve passo indietro: il Sé, in generale, sarebbe il nucleo dell’esperienza, ciò che gli fornisce continuità e coesione. Il “Sé grandioso” sarebbe invece una componente del Sé che, tipicamente nell’infanzia, racchiude la spinta dell’individuo all’affermazione, al potere, al riconoscimento. Normalmente, secondo Kohut, il “Sé grandioso” dell’infanzia matura grazie alla validazione offerta, dal caregiver, ai traguardi ed in generale al bisogno di riconoscimento del bambino. Sempre in tale contesto metapsicologico, il disturbo narcisistico sarebbe legato ad una carenza di tale maturazione. Il soggetto cercherebbe pertanto molto intensamente quella validazione che non ha trovato in principio, ed in sua assenza sperimenterebbe una “rabbia narcisistica” legata al tentativo di conservare un senso sufficiente di integrità del Sé. Qui, il ruolo del terapeuta è quello di consentire l’emergere dei bisogni primitivi di validazione del paziente nel contesto della relazione terapeutica. Tale riconoscimento empatico giocherebbe un ruolo importante soprattutto in fase iniziale, mentre la gestione della frustrazione del paziente, inevitabile nelle fasi successive, consentirebbe la maturazione del Sé grandioso.
Kernberg non concettualizza invece il disturbo narcisistico come derivante da un difetto di maturazione del Sé infantile, quanto piuttosto come un disturbo legato all’emergere di una nuova struttura chiamata “Sé grandioso patologico”. In tale ottica il “Sé grandioso patologico” è fondamentalmente una difesa dalla dipendenza. Poiché il soggetto non riesce a integrare aspetti buoni e aspetti cattivi degli oggetti/delle altre persone, quando si trova in una condizione di percepita dipendenza, precipita in una posizione paranoide e di ansia persecutoria. Similmente all’approccio precedente, anche qui il terapeuta è supposto facilitare l’emergere del “Sé grandioso patologico” nel transfert della relazione terapeutica, ma in questo caso il lavoro centrale consisterebbe nell’interpretazione delle difese del paziente dalla dipendenza, nello sforzo di fargli comprendere quanto le sue paure paranoidi dipendano dalla sua stessa aggressività verso gli altri.
Come sottolinea la Auchincloss, nonostante le differenze, l’uso di tali approcci teorici e pratici avviene spesso, ovviamente, in maniera combinata. Ad esempio, un lavoro più orientato empaticamente ai bisogni di validazione del soggetto potrebbe essere molto adeguato inizialmente, quando la fiducia nel terapeuta è ancora da costruire, mentre interventi più interpretativi che confrontino l’aggressività propria del paziente potrebbero essere più adeguati in una fase successiva.