di Raffaele Avico
Come nel celebre romanzo La lettera scarlatta, lo stigma viene socialmente apposto su chi dimostri di incarnare una qualche tipo di diversità, tale da renderlo “estraneo” allo sguardo del suo stesso gruppo di appartenenza, dal quale verrà ostracizzato per un motivo di preservazione dell’omeostasi della società stessa.
Lo stigma pare avere a che fare con l’interno del corpo dell’individuo, non tanto con il suo aspetto esteriore: è più un qualcosa che si cela nel suo stesso essere persona, che potrà giustificare il suo declassamento a un ordine di appartenenza “inferiore” in senso sociale. Lo stigma è una pratica collettiva, potremmo dire uno strumento sociale, che si sviluppa seguendo quattro tappe (negli studi di Goffman):
- scelta delle differenze (biologiche, psicologiche, sociali o di altro tipo) che possono essere utilizzate per discriminare gli individui. Per es. in termini di differenze biologiche il colore degli occhi risulta di solito irrilevante mentre il colore della pelle assume la forma di categoria sociale.
- Attribuzione degli stereotipi negativi a queste categorie artificiali.
- distinzione tra stigmatizzati e non-stigmatizzati.
- perdita di status per l’individuo stigmatizzato.
Qui (una recensione su Asylum di Goffman), avevamo discusso di come già lo stesso atto di essere internati -anche per un periodo corto- in un luogo avente le caratteristiche di istituzione totale, come un reparto psichiatrico o un carcere, sia potenzialmente propedeutico al fatto che lo stigma venga applicato alla persona. Addirittura, Goffman sostiene che non vi sia stigma laddove non ci sia la frequentazione di quel particolare luogo connotante (per esempio, un individuo di successo che riuscisse a NON passare per il carcere, avrebbe in qualche modo salva la faccia, preservandosi dallo stigma).
Lo stigma è un segno che vi sarebbe qualcosa, dentro l’individuo, di corrotto. Rappresenta l’attuazione più letterale e concreta di quello che comunemente chiamiamo pre-giudizio (giudizio posto in anticipo). Uno degli ambiti in cui il fenomeno della stigmatizzazione è stato maggiormente studiato, è appunto quello della salute mentale. Ancora oggi, in questo campo, mancando la conoscenza completa sui meccanismi eziologici che vanno a originare quasi tutte le malattie psichiatriche più invalidanti, il rischio è che di fronte a questa nebbia conoscitiva il soggetto colpito dalla malattia venga, in qualche modo, intepretato o decifrato in modo arbitrario anche da chi tenta di curarlo, producendo alcune conseguenze rischiose.
Ovvero, lo stigma (che è “negli occhi di chi guarda”) verrebbe apposto anche dagli stessi operatori della salute mentale (come psichiatri, psicologi e infermieri), i primi cioè che dovrebbero essere consapevoli dei meccanismi profondi sottesi a questo tipo di processi, con alcune possibili conseguenze spiacevoli.
Vediamone alcune:
- nei contesti di cura, alcune manifestazioni di problemi psichici possono essere interpretate come segni di manipolazione cosciente, attiva, da parte del paziente. Questo avviene spesso in chi possieda poca o nessuna esperienza diretta e prolungata con disturbi psichiatrici gravi. Per esempio, un viraggio maniacale, un problema di natura depressiva, una difficile gestione degli impulsi, vengono interpretati come segni del fatto che il paziente usi la sua stessa condizione di malato per manipolare lo staff curante (per esempio attirando l’attenzione su di sé). Questa considerazione è spesso arbitraria e oscurantista, come d’altronde ogni intepretazione (compresa l’intepretazione psicoanalitica intesa in senso classico). Questo avviene in particolare quando la psicopatologia sia così imbricata alla soggettività dell’utente, da rendere difficile comprenderne i confini e se l’indiduo “ci è o ci fa”, come nel caso della tossicodipendenza; non è un caso che l’utenza con problematiche di tossicodipendenza non sia un’utenza da chiunque tollerabile, poiché in grado di scatenare contro-transfert moralizzanti e furiosamente espulsivi a seguito di interpretazioni tutte soggettive spesso impregnate di “stigma”
- Il mistero sulle origini a riguardo della malattia dell’individuo, può accompagnarsi a un tentativo grossolano di gestirne i sintomi, il che avrebbe senso se non sapessimo che, nel caso della malattia mentale, sintomo e soggettività sono imbricati in modo indissolubile. Quindi, se il paziente ride troppo, piange, dorme troppo o è troppo attivo, verrà “interpretato” come “non corretto”, un po’ “troppo su”, o un po’ “troppo giù” e spesso realisticamente fatto oggetto di nuove sperimentazioni in termini psicoterapico/farmacologici nel tentativo di controllare il sintomo, ignorando il fatto che con il cambio di terapia, insieme al sintomo un lato della sua soggettività verrà, in quel modo, intaccato. La questione è estremamente complessa perchè spesso il disturbo si introduce nella vita dell’individuo in modo endemico, non ha contorni definiti e segni specifici: toccare il sintomo, equivale a toccare l’individuo che lo vive; il concetto chiave è che il fatto che a quello stesso individuo si apponga uno “stigma” lo renderà “sempre” identificato con la sua patologia, privandolo della possibilità di esternarsi in comportamenti “normali”
- come ben approfondisce Goffman, nel suo lavoro illuminante, quando il paziente è dichiarato “matto” e raccoglie su di sé lo stigma, diviene agli occhi del personale sanitario un soggetto da studiare, verso i quali sarà impossibile per lei/lui NON comunicare. Ovvero, ogni gesto/parola, verrà interpretato come manifestazione di una presenza o di una assenza di malattia, di fatto destituendo il paziente delle parti sane, per così dire normali, che lo renderebbero totalmente uguale a ogni altro essere umano al di fuori dei contesti di cura. Per questo è così importante che il paziente venga inserito e continui a frequentare dei luoghi normali, frequentati da tutti, come cinema e posti di lavoro, così da smontare il meccanismo ostracizzante connesso all’assegnazione dello stigma (cosa difficile nei circuiti, anche attuali, della psichiatria).
- la famiglia, spesso è il primo contenitore dell’assegnazione dello stigma, con conseguenze a volte devastanti. Le famiglie sono spesso sistemi rigidi e duri al cambiamento, sacrificato per la pace comune, entro i quali chiunque fosse additato o marchiato dello stigma di malato psichico, rischierebbe di non potersi più scrollare di dosso quella reputazione, negli anni, spesso per sempre. É quindi importante che la famiglia si sforzi di rendere accettabile, ai suoi stessi occhi, modalità, pensieri e atteggiamenti diversi, senza farsi turbare dall’alterità di chi viva un periodo di forte difficoltà psichiatrica. La psicoterapia sistemica, in questo, ha molto da insegnare. Le conseguenze di un ostracismo famigliare, sono terribili e difficilmente sanabili: il soggetto si “polarizzerà” in modo sempre più patologico
- Possiamo discutere di come risolvere un problema psichiatrico in senso neurobiologico: non possiamo però ignorare che uno dei punti centrali del lavoro con questo tipo di paziente, sia il reinserimento. L’Italia, pur tenendo in sè probabilmente il miglior modello di psichiatria a livello mondiale (con, a fare da punta di diamante, il modello triestino), non riesce a garantire una risoluzione del problema in modo efficace, cosa che d’altronde la accomuna agli altri paesi del mondo; la normalizzazione del paziente psichiatrico rappresenta un grande elemento terapeutico, dato che potenzialmente lo esautora dall’ostracismo sociale, permettendogli di stare, a suo modo, in società. Abbiamo scritto qui di uno dei pochi progetti che si muovono in questa direzione, per un reinserimento “reale” del malato psichico.
Da notare infine la curiosa questione del potere economico connessa a quella dei problemi psichiatrici, per cui il “povero” sarà definito matto, il “ricco” invece genio/artista, eccentrico/etc., il che ci racconta di come l’essere ricco funzioni come un meccanismo di stigmatizzazione al contrario, conferendo all’individuo un lasciapassare sociale per via di un segno di “benedizione” provato dal suo possedere ricchezza, come se su di lui premessero due spinte sociali opposte e simultanee (l’inclusione dovuta allo status economico, l’esclusione causata dalla malattia psichica).