di Raffaele Avico
Nel lavoro clinico si ha spesso la forte impressione che, all’interno del flusso dei pensieri portati da un paziente, ne esistano alcuni qualitativamente differenti dagli altri. Abbiamo qui spesso parlato dello stress post traumatico come di uno stress generato -anche- da una difficoltà di memorizzazione ed elaborazione di alcuni “oggetti” di pensiero che risultano particolarmente ostici e “solidi” da digerire in senso psichico. Il PTSD può essere primariamente considerato come una risposta dell’individuo ad alcuni contenuti di pensiero (giunti all’individuo attraverso, in primis, esperienze reali, spesso interpersonali) di difficile gestione, perchè “troppo” salienti, troppo attivanti.
Se per esempio osserviamo un paziente che ci racconti di un lutto provocato da una relazione finita in modo violento, osserveremo come, all’interno della tematica “contenitore” principale, maggiore, che potremmo definire in questo caso “abbandono” o “chiusura di un rapporto importante”, potremo rintracciare alcuni elementi più salienti di altri, particolarmente difficili da gestire per l’individuo, che diventeranno contenuti di pensiero ricorrenti e in grado di “ossessivizzarlo/a”in modo peculiare. Questi elementi/oggetti di pensiero divengono rapidamente intrusivi e in grado di ossessivizzare il paziente, di fatto incagliato nel tentativo di “smaltire” questi contenuti apparentemente non elaborabili, o non gestibili.
Inoltre, questi contenuti hanno SEMPRE natura “esteticamente” saliente: rimangono impressi nella memoria in modo statico e stabile, e torneranno alla mente dell’individuo in modo intrusivo, continuativo.
Si tratta perlopiù di frasi pronunciate da un individuo all’altro, che divengono alla memoria e nella rappresentazione dell’interlocutore il “simbolo” di qualcosa per lui/lei stranamente perturbante, oppure di immagini visive, “scene” della memoria che -anche in questo caso- rimarranno stabili nel suo flusso di ricordi.
Va sottolineato il fatto che l’elemento “visivo” o “sonoro” del ricordo ha in questo senso particolare rilevanza; per essere più più precisi andrebbe osservato come anche per esempio delle parole o frasi pronunciate, che assumeranno natura perturbante, abbiano carattere “visivo”, nel senso che si presentano alla scena mentale interna del soggetto in modo vivido, come una sorta di oggetto a sè stante, potente e generatore di significati nuovi e dolore. Anche in questo caso ci viene in aiuto i concetto di Flahbulb memory.
Già di per sè il fatto che, tra i vari contenuti di pensiero, solo alcuni percetti rimangano impressi nella mente più di altri, dovrebbe interrogarci sulla natura delle memoria traumatiche, che in qualche modo sembrano possedere caratteristiche peculiari, come d’altronde qui è stato spesso scritto. Il dolore mentale di un paziente che superi un lutto, sembra spesso catalizzato, o “rappresentato”, da alcuni ricordi/target, o immagini intrusive e traumatiche, senza le quali lo stesso dolore sembrerebbe diverso, più sfumato, forse meno reale. Ci si potrebbe chiedere anche quanto questi stessi percetti molto potenti non possano rappresentare la “reificazione” di un evento generalmente doloroso per l’individuo, che fino a quel momento potrebbe essere stato in qualche modo escluso o allontanato in senso difensivo dalla coscienza. In qualche modo, in ogni caso, la sofferenza mentale sembra in questi casi essere convogliata dalla presenza di questi particolari tipologie di pensiero, di fatto in grado di perturbare lo stato mentale di chi si trovi ad affrontarli o gestirli.
Questo aspetto potrebbe porci la questione se, nell’ambito di un generico evento doloroso per un individuo, non possano esistere degli “aspetti” o delle nervature traumatiche, cioè, degli elementi traumatici in grado di produrre PTSD (stress post-traumatico), nell’ambito appunto di un problema più generale, aggravandolo. Questo lo si rintraccia o lo si osserva in particolare nei problemi relazionali, quando un individuo debba confrontarsi -per esempio- con una storia che finisce, portando con sè il fardello non solamente del lutto conseguente la perdita di un oggetto d’amore, ma anche il peso degli elementi traumatici che in esso si possano “innestare”, spesso più pervicaci e subdoli, in grado di sopravvivere al lutto stesso (ovvero, questi elementi saranno in grado di perdurare per più tempo anche quando il “lavoro del lutto” sarà stato “fatto”).
DIVERSI REGISTRI DI MEMORIA
Una differenza così sostanziale e intrinseca tra tipologie differenti di ricordo, va inserito nel discorso più ampio relativo ai diversi registri di memoria. Molteplici teorie in psicologia generale hanno osservato la compresenza di diversi registri di memoria usati in parallelo. Una di queste è la Teoria della rappresentazione duale dei sistemi di memoria (qui un approfondimento) , che distingue il SAM (Situationally Accessible Memory, guidato dall’amigdala, somatosensoriale e molto carico in senso emotivo) dal VAM (Verbally Accessible Memory, incentrato sulle strutture dell’ippocampo e della corteccia prefrontale, molto più lento e freddo).
Osserviamo come, a volte, nella narrazione di un evento portata da un paziente, subentrino elementi provenienti da entrambi questi registri mnestici: gli elementi però traumatici saranno portatori di maggiore scompenso sul piano corporeo, spesso “introdotti” da una vera e propria fobia nei loro riguardi sperimentata dal paziente. La presenza e la gravità di una fobia è connotante e andrebbe considerata in questi casi un elemento diagnostico importante, a segnalare la presenza e la potenza perturbante del ricordo traumatico stesso.
MEMORIA AUTOBIOGRAFICA E PTSD
Questo articolo, già prima citato, cerca di indagare la qualità del ricordo traumatico in relazione alla memoria autobiografica. Viene in fase iniziale sottolineato come il PTSD sia da intendersi come una patologia della memoria, mantenuto in vita da alcuni bias inerenti la memoria stessa. Inoltre, la memoria autobiografica sembra, a seguito del trauma, subire alcune modificazioni peculiarii. Gli autori propongono due modelli di lettura del problema che raccolgono filoni di ricerca diversi :
- special mechanisms view (il PTSD produce meccanismi speciali di memoria)
- basic mechanisms view (Il PTSD porta al limite meccanismi “normali” di memoria)
Queste due linee di pensiero hanno raccolto, nel tempo, ricercatori e sostenitori dedicati
SPECIAL MECHANISMS VIEW
Questa visione del problema presenta tre assunti:
- l’evento traumatico è in grado di produrre una dissociazione “peritraumatica” che impedisce al ricordo di essere integrato nella narrazione di memoria “normale”
- il trauma produce una diminuzione della possibilità di accedere alla memoria in modo volontario, ma l’aumento della presenza di memorie involontarie
- ricordo volontario e ricordo involontario poggiano, in questa visione, su due registri differenti di memoria (SAM e VAM prima citati)
- questo disequilibrio tra presenza di ricordi volontari e involontari, è tipica dello stato di PTSD, e lo “annuncia”/segnala
Viene chiarito che:
“[..] On the one hand, patients often have difficulty in intentionally retrieving a complete memory of the traumatic event. Their intentional recall is fragmented and poorly organized, details may be missing and they have difficulties recalling the exact temporal order of the events (…). On the other hand, patients report a high frequency of involuntarily triggered intrusive memories involving reexperiencing aspects of the event in a very vivid and emotional way. Models of PTSD need to explain this apparent discrepancy between difficulties in intentional recall and easily triggered reexperiencing aspects of the event””
Viene infine sottolineato come la tipologia di ricordo appartenente al registro SAM (registro mestico non accessibile in modo linguistico) consti per lo più di ricordi altamente carichi in termini di “immagini sensoriali” e in termini emotivi (“consisting of a high level of sensory -especially visual- imagery and emotional reliving”).
BASIC MECHANISMS VIEW
Secondo questo punto di vista, la memoria a seguito di un trauma subisce una trasformazione prima di tutto relativa alla disponibilità delle memorie -sia volontarie che involontarie.
Gli assunti di questo modello sono:
- il trauma non produce un reale cambiamento nelle strutture di memoria di un individuo; ne altera solo alcuni aspetti in termini di disponibilità o meno dei ricordi: maggiore è l’accesso alle memorie traumatiche, maggiore sarà il livello di PTSD prodotto
- l’associazione arousal aumentato + immagazzinamento del ricordo, produce un’impressione più forte del ricordo stesso in termini mnestici: molteplici evidenze di ricerca sottolineano questo punto (l’apprendimento cambia se è un apprendimento “emozionato” – come dire, memoria ed arousal/emozioni forti vanno a braccetto nel contesto dell’apprendimento)
- aspetti di personalità possono interferire e predisporre o meno un individuo a sviluppare un PTSD
La distinzione maggiore, come si osserva, tra le due visioni, è dunque relativa all’ipotesi relativa alla presenza di diversi registri mnestici usati per le diverse memorie (volontarie e involontarie); nella visione “special”, il trauma scinde le due tipologie di ricordo generando ricordi volontari diminuiti e involontari aumentati; nella visione “basic”, il trauma è in grado di rendere maggiormente disponibili ricordi volontari e involontari insieme, corrompendo un sistema di memoria che risulta disregolato, pur rimanendo unitario. Inoltre, la visione basica mette maggiore accento sugli aspetti temperamentali ed emotivi della persona.
Proseguendo nell’articolo, gli autori si chiedono: come possiamo misurare gli effetti del PTSD sulla memoria autobiografica?
Per fare questo, in un primo momento tentano di scomporre le dimensioni e i diversi aspetti intrinseci della memoria autobiografica stessa. Le variabili da loro evidenziate sono riportate nella seguente tabella:
Il gruppo di autori racconta quindi degli esperimenti fatti (3 progetti di ricerca distinti, molto articolati tra l’altro), a proposito dell’impatto del PTSD sulla memoria autobiografica in relazione alle variabili sopra raccolte nell’immagine.
I risultati dello studio 1 furono:
- i partecipanti allo studio con tratti temperamentali particolari (in qualche modo potremmo dire “predisposti”), sembravano sviluppare con maggiore probabilità PTSD; questo aspetto della ricerca sembrava porre a favore dell’idea che alcune caratteristiche di personalità (introversione e “neuroticism” tra le altre) predisponessero a sviluppare PTSD
- quest’ultimo punto era corroborato dal fatto che memorie volontarie e involontarie presentassero caratteristiche simili per il soggetto: quello che sembrava cambiare era il loro gradi di “intensità di impatto”
- ritornando alle due diverse visioni sul trauma e memoria autobiografica, questo studio sembrava corroborare quindi la “basic mechanisms view”
I risultati dello studio 2 furono:
- i data sembravano qui corroborare i risultati della studio 1, quindi verso un maggiore appoggio alla “basic mechanism view”. Le caratteristiche personali dei soggetti, cioè, sembravano essere il vero punto centrale da intendersi come causa di un diverso modo di “ricordare” i ricordi (soprattutto quelli involontari, che lo studio si proponeva di indagare)
Visti i risultati dei primi 2 studi (“The results of the previous two studies, including the correlational analyses just presented, suggest that people who feel emotions more intensely, even for word-cued memories, report higher levels of PTSD symptoms. “), gli autori si proposero, nello studio 3, di approfondire la questione del “affect intensitiy” (il gradi di intensità cioè con cui un individuo tende a, in modo stabile, sentire quello che gli capita e vivere le esperienze più o meno traumatiche). I risultati furono:
- lo studio portava evidenze forti e correlazioni tra un alto gradi di “intensità” vissuta a seguito dei diversi eventi di vita e lo sviluppo di un PTSD, ulteriormente confermando le ipotesi dei primi 2 studi
CONCLUSIONI
Gli autori procedono a una valutazione finale degli studi condotti, arrivando a escludere l’ipotesi “SPECIAL MECHANISMS VIEW”. Cosa significa questo? Questo studio, molto approfondito, esclude che l’evento traumatico possieda caratteristiche intrinseche tali da produrre cambiamenti strutturali nella memoria di un individuo. Sembrerebbe in questo senso essere molto più predisponente la presenza di fattori temperamentali e di personalità tali da far sì che, su un terreno “già fertile”, si possa impiantare un PTSD.
Va notato infine che la teoria della “doppia emozione” formulata da Pierre Janet più di cento anni fa sembrerebbe coerente con queste evidenze: così come per le infezioni la forza del sistema immunitario rappresenta il “terreno” predisponente, per lo sviluppo di un PTSD sembrerebbe essere necessario che il soggetto si trovi già in uno stato di “predisposizione” (“stanchezza psichica”) tale da alterare la qualità dell’esperienza percepita dell’evento stesso da parte dell’individuo. Seguendo questa linea di pensiero, potremmo pensare che uno stesso evento possa essere vissuto come traumatico o non traumatico da due soggetti differenti, o dalla stesso soggetto in fasi o tempi diversi della sua vita; il che sembra scontato e sottoscrivibile, ma non banale in termini teoretici