di Andrea Iengo
Negli ultimi anni si assiste sempre più all’utilizzo della tecnologia in psicoterapia: un caso interessante è quello dell’introduzione della realtà virtuale nel trattamento dei disturbi d’ansia. La maggior parte degli studi riguarda la comparazione tra la terapia espositiva in vivo e la terapia espositiva in realtà virtuale e/o in realtà aumentata.
Partiamo definendo alcuni termini.
Per terapia espositiva o anche esposizione con prevenzione della risposta si intende una tecnica sviluppata negli anni 60 del ‘900 da Victor Meyer consistente nell’esporre il soggetto allo stimolo temuto evitando che metta in atto le usuali risposte comportamentali. Questa tecnica consente al soggetto di sviluppare innanzitutto un’abitudine nel fronteggiare l’oggetto fobico e, in seconda battuta, mettendo in atto un comportamento incoerente con una reazione fobica (comportamento che viene volontariamente bloccato) diminuisce la sensazione di paura nei confronti dell’oggetto stesso.
La realtà virtuale è un tipo di tecnologia che consente al soggetto, con l’utilizzo di un apposito visore e di un numero più o meno ampio di sensori di posizione e di movimento, di uscire dalla realtà che lo circonda ed essere proiettato in una realtà differente completamente ricostruita al computer; per semplificare immaginiamo di essere all’interno di un videogioco dove i nostri movimenti influenzano quello che accade e allo stesso tempo se muoviamo la testa lo scenario varia, proprio come se ci trovassimo lì.
La realtà aumentata è invece in grado di aggiungere elementi ricostruiti al computer all’interno della realtà ordinaria. Si tratta di una tecnologia più semplice ma dagli utilizzi concreti maggiori: immaginiamo di indossare degli occhiali trasparenti che tuttavia hanno la possibilità di mostrarci, oltre a ciò che ci circonda, anche delle immagini digitali, come ad esempio le indicazioni stradali, le notifiche del cellulare, etc.
Il video immersivo 3D cerca di combinare alcuni dei vantaggi delle tecnologie citate, ma però dei forti limiti riguardo l’aspetto interattivo. Un video immersivo 3d è un video registrato con delle telecamere stereoscopiche, cioè che hanno 2 obiettivi paralleli e distanti approssimativamente quanto la distanza interpupillare media di un essere umano e che viene riprodotto attraverso un visore stereoscopico, spesso lo stesso tipo di visore usato per la realtà virtuale in ambito consumer (HTC Vive, Oculus Rift, Samsung Gear VR, PlayStation VR), cosa che consente di ottenere un ambiente particolarmente realistico (si tratta di riprese di ambienti reali e non di ricostruzione al computer) e di mantenere un’esperienza immersiva grazie ai giroscopi che consentono di cambiare punto di vista cambiando la posizione della testa (tecnologia head-tracking). A causa però del fatto che il video è stato registrato in un momento precedente è impossibile interagire con lo stesso, se non per l’appunto cambiando punto di vista (per questo si definisce video immersivo).
È possibile utilizzare la tecnologia per sostituire l’esposizione in vivo? È questo che nel corso degli ultimi anni si sono chiesti gli psicologi che hanno realizzato numerose ricerche (gli autori della meta-analisi a cui faccio riferimento ne hanno individuate 900) per verificare l’efficacia del trattamento espositivo computerizzato nei confronti di quello in vivo.
Perché tante ricerche per validare uno strumento che sembra quasi una forzatura rispetto a qualcosa che è invece largamente accettato dalla comunità scientifica (la terapia espositiva) e anche inevitabile ad un certo punto del percorso terapeutico?
Si stima (Hipol, Deacon, 2013) che solo tra il 19 e il 33 per cento dei pazienti trattati in terapia cognitivo-comportamentale con diagnosi di Disturbo da Panico, Disturbo Ossessivo Compulsivo, PTSD e Disturbo d’Ansia Sociale siano stati trattati con la terapia espositiva. Questo sembra dovuto a 3 classi di problemi:
- resistenza da parte del terapeuta
- resistenza da parte del paziente
- difficoltà oggettive
Nello specifico diversi terapeuti intervistati dichiarano di trovare “crudele” la tecnica di esposizione con prevenzione della risposta; molti pazienti allo stesso modo sono restii nel sottoporsi volontariamente allo stimolo fobico, mentre in altre circostanze ancora la condizione fobica non è facilmente riproducibile -immaginiamo anche semplicemente chi ha paura di volare che, a meno di entrare in specifici programmi delle compagnie aeree, non ha certo modo di esporsi gradualmente all’esperienza di volo in autonomia.
Per consentire anche a tutti quelli che rientrano in queste casistiche di beneficiare dei vantaggi della terapia espositiva sono state effettuate numerose ricerche per verificare l‘efficacia di una esposizione assistita dal computer per l’estinzione dei sintomi fobici.
Dalla metanalisi di Carl e colleghi emerge che non esiste una differenza significativa tra gli effetti di una esposizione in vivo ed una in realtà virtuale o una in realtà aumentata, tanto che l’APA considera l’esposizione in realtà virtuale una terapia empiricamente supportata per trattare ad esempio la paura di volare, la paura dell’altezza e la paura degli animali: sono attualmente in corso di pubblicazione diverse ricerche sull’odontofobia o paura del dentista, la paura di parlare in pubblico, la fobia scolare e l’aracnofobia.
La realtà virtuale e la realtà aumentata consentono di ottenere dei buoni risultati, ma tutt’ora i costi non sono facilmente sostenibili dal tipico studio di psicologia italiano, che consiste tipicamente in un unico psicologo che lavora in regime di libera professione.
Ci sono tuttavia delle ricerche che riguardano l’utilizzo di video 3d immersivi che, sebbene siano concettualmente completamente diversi dalla realtà virtuale (la stessa differenza che passa tra giocare ad un videogame o guardare un film) consentono di ottenere risultati analoghi a costi fortemente ridotti, alla portata di qualunque professionista. Uno studio di Minns e colleghi del 2018 pubblicato sul Journal of Anxiety Disorders dimostra l’efficacia del trattamento espositivo per l’aracnofobia tramite video 3d immersivi proiettati attraverso un visore di fascia consumer (Oculus Rift, tra l’altro di prima generazione, che presentava una risoluzione molto bassa) rispetto al gruppo di controllo.
Le prospettive a questo riguardo sono molto incoraggianti: poter utilizzare dei video immersivi in 3d per il trattamento di fobie, disturbi d’ansia e disturbo post traumatico consentirebbe praticamente a chiunque di sottoporsi ad una terapia espositiva senza le difficoltà tipiche analizzate in precedenza o gli alti costi richiesti, ad oggi, dalla realtà virtuale.
RIFERIMENTI
Carl, E., Stein, A. T., Levihn-Coon, A., Pogue, J. R., Rothbaum, B., Emmelkamp, P., … & Powers, M. B. (2019). Virtual reality exposure therapy for anxiety and related disorders: A meta-analysis of randomized controlled trials. Journal of anxiety disorders, 61, 27-36.
Hipol, L. J., & Deacon, B. J. (2013). Dissemination of evidence-based practices for anxiety disorders in Wyoming: A survey of practicing psychotherapists. Behavior Modification, 37(2), 170-188.
Sean Minns, Andrew Levihn-Coon, Emily Carl, Jasper A.J. Smits, Wayne Miller, Don Howard, Santiago Papini, Simon Quiroz, Eunjung Lee-Furman, Michael Telch, Per Carlbring, Drew Xanthopoulos, Mark B. Powers, Immersive 3D exposure-based treatment for spider fear: A randomized controlled trial, Journal of Anxiety Disorders, Volume 58, August 2018, Pages 1-7