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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

31 May 2021

PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO

di Raffaele Avico

La scelta di un metodo lavorativo adeguato, in ambiente comunitario, rappresenta lo strumento che permette a utenti e operatori di godere della reciproca presenza, all’interno della Struttura, favorendo lo svilupparsi di un clima di calda operosità e benessere.

Entrando all’interno e potendo osservare il funzionamento di una struttura comunitaria, ci si rende conto dopo poco tempo se la struttura in questione funzioni o meno, se il personale lavori con un sufficiente grado di motivazione, se gli utenti gradiscano il soggiorno all’interno della casa e se esista o meno un clima cooperativo e strutturato su una “missione” condivisa.

Innanzitutto vanno distinte le diverse fasi del percorso di recupero (restando nell’ambito della tossicodipendenza): un percorso di disintossicazione da Centro Crisi presenta caratteristiche e requisiti diversi da un percorso comunitario, così come da un percorso di reinserimento.

Per quanto riguarda il metodo di lavoro da adottare all’interno di una struttura in cui si voglia proporre un percorso di conoscenza di sè rispetto all’abuso di sostanze, senza possibilità di uscire all’esterno (quindi, una percorso comunitario nel senso più “classico” del termine), è utile svolgere un’indagine comparata dei metodi utilizzati in diverse strutture, anche riferendoci a strutture operanti al di fuori dell’Italia.

É possibile reperire spunti e materiale prezioso sul sito della rivista della comunità “il Porto” di Moncalieri (TO), (http://www.terapiadicomunita.org/), che offre la possibilità di consultare un database di articoli relativi al metodo di lavoro in comunità, spesso frutto di trascrizioni effettuate da interventi vocali di relatori, docenti e operatori.

Sul sito sono pubblicati articoli di vario genere, ma assumono particolare rilevanza in questa sede gli articoli che offrono la descrizione dei quadri metodologici utilizzati in contesti molto diversi, come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia.

Seppur riferiti a strutture comunitarie di vario genere, i metodi descritti offrono un elenco delle caratteristiche metodologiche che rendono una Struttura in grado di fornire un supporto adeguato a utenti e operatori.

Da una rapida lettura di alcuni degli articoli descritti, è utile partire dall’apporto teorico di Otto Kernberg (Kernberg O., 1987) che, analizzando la letteratura, volle isolare i concetti fondanti le comunità terapeutiche, facendone un’analisi critica, e sottolineando in particolare due aspetti:

  1. Nel trattamento di comunità il personale e i pazienti funzionano insieme come comunità organizzata per portare avanti la cura. L’idea innovativa e rivoluzionaria evidenziata da Kernberg è che i pazienti, sia individualmente sia in gruppo, partecipano attivamente e sono corresponsabili del proprio trattamento.
  2. La cultura terapeutica si basa sul fatto che tutte le attività e tutte le interazioni debbano divenire oggetto di riflessione allo scopo di rieducare e riabilitare. Deve esserci un confronto tra vita e apprendimento, con un flusso comunicativo aperto tra residenti e operatori fatto di feedback immediati e continui (dev’esserci cioè una cultura dell’indagine).

Kernberg manifesta particolare enfasi nel sottolineare l’importanza di momenti di comunicazione e chiarificazione tra utenti e operatori, attraverso gruppi e discussioni cadenzate.

Egli individua peraltro alcuni aspetti problematici delle comunità terapeutiche, relativi alla distanza tra un approccio gestionale autoritario e un approccio invece più basato su un democrazia “diretta”:

  1. Nella cultura della comunità terapeutica si presuppone che l’autoritarismo sia antiterapeutico e che le decisioni prese sulla base del potere piuttosto che della condivisione vadano contro gli interessi dei pazienti. Nella pratica quotidiana possiamo constatare che l’esercizio dell’autorità e del potere è un aspetto molto delicato ma non sempre risulta dannoso: esiste un’autorità funzionale che si contrappone ad un’autorità inadeguata. Il vero contrasto è tra decisionalità autoritaria e decisionalità funzionale. Una gestione autoritaria può distorcere l’utilizzo delle regole e preclude la possibilità di rendere più completo il trattamento grazie all’uso terapeutico della Comunità come sistema sociale.
  2. Il concetto di comunità terapeutica implica che la democratizzazione del processo di cura sia di per sé terapeutico. Si pensa che la democratizzazione accresca l’autostima del paziente, l’efficacia del suo funzionamento e l’onestà delle sue comunicazioni, avendo perciò un effetto positivo diretto sulla sua crescita personale. Questo aspetto si concretizza nella libertà di adesione al percorso comunitario; le persone sono libere di decidere se stare o meno in comunità, c’è un loro atto di volontà; sappiamo anche che spesso questa “scelta” è condizionata dalle pressioni da parte dei curanti, dei familiari e del contesto esterno.

Un apporto importante è stato inoltre quello fornito da Rex Haigh (R. Haigh, 2002), che individuò 5 qualità di un ambiente terapeutico funzionale, presentate come una sequenza evolutiva. Secondo l’autore le “parole chiave” di una buona cultura di comunità dovrebbero essere:

  1. Attaccamento: una cultura di reciproca affezione, nella quale l’attenzione è rivolta all’unione e al distacco, e lo staff è incoraggiato a sentirsi parte di questo processo. É importante monitorare come le persone arrivano, che sentimenti provano, e come se ne vanno.
  2. Contenimento: una cultura della sicurezza, nella quale c’è una sicura struttura organizzativa e gli staff si sentono supportati, accuditi e sufficientemente protetti nel gruppo. Oltre alla sicurezza fisica, occorre anche pensare alla sicurezza psicologica. Se un giovane operatore sa che c’è una figura a cui rivolgersi per consigli, supporto, guida, che rispetta i giovani colleghi per come sono e per la loro professionalità ed è disponibile e aperto al confronto, con tutta probabilità si sentirà più fiducioso e sicuro nello svolgimento del proprio lavoro, sostenendo maggiormente il carico di stress. Ne consegue l’importanza del ruolo del tutor. D’altro canto anche la rete di relazioni tra gli operatori è un elemento importante di sicurezza, così come una chiara e realistica definizione di limiti, procedure, regole, compiti e ruoli.
  3. Comunicazione: una cultura di apertura e trasparenza, in cui conflitti e difficoltà possono essere espressi, e gli staff sviluppano un’attitudine ad affrontare in modo riflessivo le problematiche con le quali si confrontano continuamente nel corso del proprio lavoro. Spesso ci si riferisce a questa componente con il termine coniato da Tom Main: cultura dell’indagine. La comunicazione ha necessità di tempo, canali e relazioni. I processi proiettivi dei pazienti possono inquinare la vita psichica degli operatori facendoli sentire abusanti, abusati o inutili. Questo richiede di discutere con una certa profondità e ampiezza della propria e dell’altrui esperienza con i pazienti. Un gruppo che faciliti questa comunicazione accresce il morale, abbassa il livello di stress, incrementa il senso di sicurezza e di contenimento sul lavoro, aumenta la comprensione reciproca dei ruoli e delle responsabilità, prevenendo la formazione di sottogruppi distruttivi. Inoltre permette di indirizzare potere, leadership e compiti gerarchici, migliora la relazione tra gli operatori incoraggiando il piacere e la creatività nel gruppo.
  4. Coinvolgimento: una cultura dell’apprendimento dall’esperienza, nella quale i membri del gruppo apprezzano l’un l’altro i propri contributi e hanno la sensazione che il loro lavoro e la loro prospettiva siano valutate. Essere consapevoli della propria relazione con gli altri nel gruppo, definisce la nostra identità e promuove il sentimento di sentirsi parte di qualcosa che è più duraturo e potente di qualcosa prodotto solo da sé stessi. Differenze nel gruppo di lavoro portano ricchezza e varietà. Questa pratica di lavoro può essere espressa solo se il gruppo è dinamico, fiducioso, con la possibilità di pensare liberamente a tal punto da permettere a tutti i membri di trovare una propria collocazione in un modo che è più sofisticato e complesso di una semplice gerarchia. L’obiettivo di lavorare insieme è incrementabile quando i brevi momenti di contatto sono riconosciuti e valorizzati. Occorre comunque tener conto della tendenza all’individualità.
  5. Iniziativa: una cultura di “empowerment”, nella quale tutti i membri del gruppo possono esprimere la propria opinione sul funzionamento dell’istituzione e giocano una parte nel processo decisionale. Il “micromanagement” fa perdere la capacità di analizzare, pensare e decidere insieme. Condividere la responsabilità richiede un considerevole grado di intimità e fiducia perché comporta l’esposizione all’incertezza e all’ansietà.

Interessante inoltre rilevare come, per quanto riguarda il discorso degli obiettivi che una Comunità dovrebbe portare avanti nel lavoro con gli utenti, emergano come prioritari l’ottenere contenimento e il realizzare sviluppo: un doppio asse metodologico che si preoccupi quindi di fornire un sufficiente contenimento degli utenti rispetto alle loro difficoltà individuali, insieme ad un ambiente formativo e di crescita in cui le persone sentano di fare un lavoro su di sè che li faccia crescere e sentire utili.

Sembra essere imprescindibile dunque la presenza di un movimento di cura affiancato da un movimento di formazione e di trasmissione di competenze nuove per la persona.

Per quanto riguarda l’aspetto del contenimento e della cura, Aldo Lombardo (Lombardo, A. 2004) pone due questioni da tenere in considerazione nel lavoro con gli utenti: quanto cioè venga promossa in comunità la qualità della vita dell’utente, insieme a quanto venga corretta e analizzata la sua personalità patologica. Secondo l’autore, non basta infatti promuovere tutte quelle caratteristiche della persona che gli favoriranno un successivo reinserimento sociale (potenziare cioè le sue caratteristiche di personalità più sane e stabili): è necessario nel lavoro con gli utenti prestare attenzione alle manifestazioni disfunzionali della sua personalità, quelle insomma che rendono difficile all’utente l’inserimento sociale, o che lo spingono a comportamenti d’abuso, agli agiti, e così via.

La comunità e le persone che la occupano, da questo punto di vista, rivestono l’importantissima funzione di specchio, per l‘utente: a partire dal confronto con gli altri residenti potrà ricevere rimandi sulle sue stesse modalità relazionali all’interno della struttura e avere quindi un quadro più lucido dei suoi tratti comportamentali disfunzionali verso se stesso e gli altri.

Il movimento di cura dovrà assumere 4 differenti direzioni, nella forma di 4 diversi approcci, da sviluppare contemporaneamente e da tenere sempre presenti nel lavoro con l’utenza:

  1. Approccio educativo: centrato sull’apprendimento adattativo dei sistemi di valori e norme della comunità, utilizza gli strumenti del lavoro, della struttura, del gruppo, dei provvedimenti, dei laboratori, della cura di sé, della gestione del denaro, della responsabilità e dei privilegi.
  2. Approccio psicologico: si articola in spazi di riflessione ed elaborazione della situazione attuale ed eventualmente passata attraverso strumenti come il colloquio, il gruppo, gli incontri familiari;
  3. Approccio sociale: in cui sono stimolate le interazioni sociali in base alle regole della socialità e dell’altruismo con gli strumenti della vita di gruppo, della responsabilità, delle uscite di socializzazione.
  4. Approccio biologico: attraverso l’utilizzo di terapie farmacologiche.

Secondo Olivero Maurizio, ex-responsabile della comunità “Il Porto”, gli strumenti poi da utilizzare all’interno della struttura, dovrebbero essere:

  1. La quotidianità
    É il fulcro della vita comunitaria, ovvero l’ambito in cui il soggetto si sperimenta nell’acquisizione di uno stile di vita diverso ed interiorizza nuove regole. È supportata da un’organizzazione interna della casa che ha la finalità di scandire tempi ed attività, alla quale tutti i residenti sono tenuti a prendere parte. Un aspetto importante per la creazione di un ambiente terapeutico “sufficientemente buono” è la cura costante dell’organizzazione e dei conflitti che possono emergere in essa. Il quotidiano è il plasma della terapia: organizzarlo, dargli un senso e creare le condizioni perché possa essere vissuto con piacere assieme ad altri fa sì che ogni paziente acquisisca gradualmente quello che maggiormente gli manca: vivere i propri sentimenti creando affetto.
  2. La relazione
    Attraverso gli scambi quotidiani intensi e significativi tra residenti e tra residenti ed operatori si tenta di instaurare delle relazioni autentiche, finalizzate a valorizzare le persone. La disposizione dell’operatore è improntata ad un ascolto attivo. Lo stile educativo deve essere calibrato all’evolversi della relazione e della persona, passando attraverso una ridefinizione della dimensione normativa e della dimensione relazionale: il passaggio è dal prescrivere-guidare al dialogare-convincere, per poi giungere a coinvolgere-responsabilizzare e quindi al delegare-valorizzare.
  3. Le regole
    Garantiscono la vita ed i rapporti all’interno del gruppo. Le regole di convivenza per essere accettate vanno chiaramente esplicitate, e si possono suddividere in tre categorie
    1) regole normative di base: residenza volontaria, no sesso, no violenza, no sostanze stupefacenti. Se violate possono portare all’espulsione dell’ospite;
    2) regole di carattere generale: ad esempio il rispetto degli orari e delle persone; regolamentano il vivere quotidiano;
    3) regole specifiche: vengono definite per ogni persona in genere al momento dell’ingresso e possono modificarsi durante il tempo. Un esempio sono le uscite da soli o accompagnati.
    La definizione di regole porta con sé quello di trasgressione. La trasgressione è un modo per comunicare qualcosa di sé e del proprio rapporto con la comunità, provoca un confronto che permette di comprendere la regola e poterla accettare. Le sanzioni devono essere necessariamente correlate all’individuo che trasgredisce e al significato del gesto trasgressivo.
  4. Le attività occupazionali
    Permettono da un lato di misurarsi con elementi di realtà facendo i conti con la frustrazione che può derivare dall’impegno lavorativo (orari, regole, doveri, fatiche, responsabilità), e dall’altro di confrontarsi con le proprie capacità manuali ed intellettuali con l’obiettivo di acquisire una sempre maggiore autonomia. Il lavoro incoraggia un funzionamento autonomo attraverso la valorizzazione delle potenzialità individuali.:

Per quanto riguarda la gestione della struttura, dalla lettura degli articoli contenuti nel sito sopracitato si delinea un miglior funzionamento di una gestione di tipo democratico da parte del gruppo equipe, che potrebbe prendere il nome di democrazia diretta, nel senso di non mediata da tramiti, ma osservata e regolamentata dall’equipe stessa insieme agli utenti.

Interessante a questo proposito osservare il funzionamento della struttura terapeutica inglese “Handerson Hospital”, conosciuta per il grosso esempio che diede a partire dagli anni ’50 alle strutture comunitarie non solo inglesi, ma anche statunitensi e italiane. All’interno di questa struttura (che non trattava nello specifico problematiche di tossicodipendenza, ma piuttosto disturbi di personalità di diverso tipo), le decisioni relative all’ammissione o alla dimissione di un particolare utente venivano prese a partire dall’intervento di tutti gli utenti, che decidevano insieme agli operatori attraverso una decisione democratica. L’idea di fondo era che fosse preferibile responsabilizzare il più possibile gli utenti all’interno del loro percorso di cura, cosicché si sentissero parte integrante del lavoro su di sè e sul gruppo comunità.

Questa responsabilità assumeva varie forme nella vita comunitaria: esistevano per esempio 3 utenti che, mensilmente, ricevevano il compito di funzionare da tramiti tra il gruppo comunità e il gruppo operatori, a cui veniva affidata grossa responsabilità decisionale nelle riunioni di gruppo effettuate settimanalmente. Questo per far sperimentare agli utenti il peso dell’autorità e, come in un gioco di psicodramma allargato, fare in modo che, una volta “destituiti” dal loro incarico potessero reggere meglio e meglio comprendere le dinamiche legate all’autorità (si tenga conto che molti degli utenti accolti avevano avuto grosse difficoltà rispetto al rapporto con le autorità).

Altre particolarità del funzionamento dell’Handersen Hospital: un periodo di trattamento limitato nel tempo (un anno), finalizzato a promuovere la rappresentazione nella mente di utenti e operatori di un percorso con un inizio e una fine, e a prevenire sindromi di burnout nel gruppo équipe, e un forte impulso da parte degli operatori a far “uscire” i sintomi degli utenti attraverso gruppi di discussione caldi, protetti e profondi (l’idea era che si dovesse passare da un agire senza sentire, a un verbalizzare sentendo).

Un’attenzione particolare veniva data poi alla comunicazione tra gli operatori, impegnati in momenti di confronto regolati in modo strutturato e fisso (prima e dopo ogni gruppo, tutte le mattine e tutte le sere).

La questione attuale, relativamente a una tipologia di metodo da attuare all’interno di una struttura comunitaria, riflette i movimenti evolutivi che hanno portato, nella nostra società, a ripensare il ruolo di tossicodipendente e a ridefinire quali possano essere i criteri da osservare nel portare avanti un progetto di cura.

Esistono infatti due tendenze di metodo principali, spesso presenti insieme all’interno del gruppo equipe: un approccio educativo che si contrappone e mescola a un approccio più terapeutico (vista anche la maggiore eterogeneità del gruppo di operatori formati). Nel tempo si è arrivati a considerare come necessario un approccio il più possibile integrato, basato cioè sulla compresenza degli approcci, educativo e psico-sociale, ma modellato sopra le caratteristiche dell’utenza.

Si ritiene per esempio funzionale il caratterizzare l’approccio terapeutico maggiormente in senso educativo quanto più l’utente sembri necessitare di “struttura” interna e regole, cosa che avviene di solito in una fase più precoce della vita. Si parla quindi di un approccio che mantiene delle caratteristiche “rieducative” tanto più l’utente sia giovane e aperto a questo tipo di intervento; con l’avanzare dell’età si tende a prediligere un approccio che punti a rielaborare in senso psicosociale la storia e i vissuti del paziente, dando per scontata l’acquisizione pregressa di una serie di norme e regole personali difficilmente “attaccabile” dal lavoro fatto in struttura.

Lavorare con un approccio integrato comporta la capacità di stare in posizioni di complessità e non-conoscenza anche protratte nel tempo, tentando di considerare le problematiche contingenti a partire da più punti di vista. Il nucleo “caldo” della questione rimane in ogni caso trasversale alle differenze di approccio clinico: si lavora, tramite approcci diversi, “per fare emergere la soggettività dell’individuo intesa come capacità di riconoscere e valutare i propri bisogni, di distinguere la propria volontà da quella degli altri, di affermarsi come soggetto che apprende ad autoregolarsi facendo leva sulle proprie risorse, che si individua rispetto alle figure di attaccamento dall’indifferenziazione dei legami familiari nel rispetto dei confini personali e della chiarezza dei ruoli”.

A questo si collega la questione della personalizzazione dell’intervento: quanto cioè sia personalizzabile l’intervento di cura, immaginando di poterlo posizionare all’interno di un continuum teorico che abbia come estremi un intervento totalmente standardizzato (“militarizzato”) e un intervento invece basato totalmente sulla particolarizzazione del lavoro.

Da una parte si lavora sul rendere il percorso terapeutico totalmente repellente a tentativi da parte degli utenti di costruirselo “ad personam”, tentando in questo modo di favorire l’uguaglianza sociale e la democraticità dei diritti e dei doveri all’interno della struttura. Dall’altra si lavora invece sul rendere personale e unico il percorso dei singoli individui, valorizzandone le differenze, contemporaneamente però rischiando di creare malumori tra gli utenti (alimentando possibili vissuti paranoidi o l’idea che agli occhi del gruppo équipe esistano “figli e figliastri”).

La scelta della posizione in cui collocarsi risulta ardua e plausibilmente uno dei motivi fondanti di un successo o di un insuccesso di un percorso di trattamento.

Gli articoli pubblicati all’interno del sito sopra-citato, rispondono a questo quesito proponendo un modello di intervento che metta insieme entrambe le tendenze. Il motivo di un scelta di questo tipo nasce dall’esperienza soggettiva degli autori degli articoli, secondo i quali gli utenti risponderebbero molto bene all’introduzione di elementi differenzianti un programma dall’altro nel caso in cui riescano a ricondurre questa differenza all’adozione di un criterio “dotato di senso piuttosto che a casualità, arbitrio, ingiustizia o incertezza da parte degli operatori”. L’idea è figlia del tentativo di creare in struttura un clima di trasparenza decisionale e metodologica da parte dell’equipe: gli autori sostengono che gli utenti sappiano ben valutare quanto le singole differenze reciproche possano solo momentaneamente risultare penalizzanti per alcuni di loro, per poi risultare in un successivo vantaggio per tutti.

Per chi fosse interessato a queste tematiche (psichiatria residenziale, comunità terapeutiche, prassi di comunità e lavoro degli operatori), consigliamo questa rubrica (da cui questo articolo è tratto), sul blog Psicologia Fenomenologica.

Fondamentale anche questo master (interamente visibile in rete) organizzato sempre da Il Porto.

Fonti: http://www.terapiadicomunita.org/


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  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al.
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura”
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF)
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA
  • SONNO, STRESS E TRAUMA
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.”
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE”
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI!
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA?
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF!
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO?
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA”
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRY EY
  • IL SIGNORE DELLE MOSCHE letto oggi
  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO”
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA
  • IMMAGINI DEL TARANTISMO: CHIARA SAMUGHEO
  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE?
  • LA TRASMISSIONE PER VIA GENETICA DEL PTSD: LO STATO DELL’ARTE
  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA?
  • THE MASTER AND HIS EMISSARY
  • PTSD: QUANDO LA MINACCIA É INTROIETTATA
  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI?
  • STRANGER DREAMS: STORIE DI DEMONI, STREGHE E RAPIMENTI ALIENI – Il fenomeno della paralisi del sonno nella cultura popolare
  • ALCUNI SPUNTI DA “LA GUERRA DI TUTTI” DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA
  • Psicopatologia Generale e Disturbi Psicologici nel Trono di Spade
  • L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI DI ELABORAZIONE E IL “DEFAULT MODE”
  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI
  • MENO CONTENUTO, PIÙ PROCESSI. NUOVE LINEE DI PENSIERO IN AMBITO DI PSICOTERAPIA
  • IL PROBLEMA DEL DROP-OUT IN PSICOTERAPIA RIASSUNTO DA LEICHSENRING E COLLEGHI
  • SUL REHEARSAL
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI”
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA?
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO?
  • QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA
  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA?
  • C’È UN EFFETTO DEL BILINGUISMO SULL’ESORDIO DELLA DEMENZA?
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA?
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA?
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE
  • IL PTSD IN VIDEO
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER?
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI?
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche?
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE?
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO
  • PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO
  • BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO
  • SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO
  • LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI
  • PREVENIRE LE RECIDIVE DEPRESSIVE: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA O ENTRAMBI?
  • YOUTH IN ICELAND E IL COMUNE DI SANTA SEVERINA IN CALABRIA
  • FILTRO AFFETTIVO DI KRASHEN: IL RUOLO DELL’AFFETTIVITÀ NELL’IMPARARE
  • DIFFIDATE DELLA VOSTRA RAGIONE: LA PATOLOGIA OSSESSIVA COME ESASPERAZIONE DELLA RAZIONALITÀ
  • BREVE STORIA DELL’ELETTROSHOCK
  • TALVOLTA É LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI
  • LO STATO DELL’ARTE SUGLI EFFETTI DELL’ATTIVITÀ FISICA NEL PTSD (disturbo da stress post-traumatico)
  • DIPENDENZA DA INTERNET: IL RITORNO COMPULSIVO ON-LINE
  • L’EVOLUZIONE DELLE RETI NEURALI ASSOCIATIVE NEL CERVELLO UMANO: report sullo sviluppo della teoria del “tethering”, ovvero di come l’evoluzione di reti neurali distribuite, coinvolgenti le aree cerebrali associative, abbia sostenuto lo sviluppo della cognizione umana
  • COMMENTO A “PSICOPILLOLE – Per un uso etico e strategico dei farmaci” di A. Caputo e R. Milanese, 2017
  • L’ERGONOMIA COGNITIVA NEL METODO DI MARIA MONTESSORI
  • SUL COSTRUTTIVISMO: PERCHÉ LA SCIENZA DEVE RICERCARE L’UTILE. Un estratto da Terapia Breve Strategica di Paul Watzlawick e Giorgio Nardone
  • IN MORTE DI GIOVANNI LIOTTI
  • ALL THAT GLITTERS IS NOT GOLD. APOLOGIA DELLA PLURALITÀ IN PSICOTERAPIA ATTRAVERSO UN ARTICOLO DI LEICHSERING E STEINERT
  • COMMENTO A:  ON BEING A CIRCUIT PSYCHIATRIST di JA Gordon
  • KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE, PARTE 2
  • IL PRIMATO DELLA MANIA SULLA DEPRESSIONE: “LA MANIA È IL FUOCO E LA DEPRESSIONE LE SUE CENERI”.
  • IL CESPA
  • COMMENTO A LUTTO E MELANCONIA DI FREUD
  • LA DEFINIZIONE DI SOTTOTIPI BIOLOGICI DI DEPRESSIONE FONDATA SULL’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO
  • BORSBOOM: PER LA SEPARAZIONE DEI MODELLI DI CAUSALITÀ RELATIVI AL MODELLO MEDICO E AL MODELLO PSICHIATRICO, E SULLA CAUSALITÀ CIRCOLARE CHE REGOLA I RAPPORTI TRA SINTOMI PSICOPATOLOGICI
  • IL LAVORO CON I PAZIENTI GRAVI: IL QUADRO BORDERLINE E LA DBT
  • INTERNET ADDICTION, ALCUNI SPUNTI DAL LAVORO DI KIMBERLY YOUNG
  • EMDR: LO STATO DELL’ARTE
  • PTSD, UNA DEFINIZIONE E UN VIDEO ESPLICATIVO
  • FLASHBULB MEMORIES E MEMORIE TRAUMATICHE, UN APPROFONDIMENTO
  • NUOVA PSICHIATRIA, RDoC E NEUROPSICOANALISI
  • JACQUES LACAN, LA CLINICA PSICOANALITICA: STRUTTURA E SOGGETTO di Massimo Recalcati, 2016
  • DGR 29: alcune riflessioni su quello che sembra un passo indietro in termini di psichiatria pubblica
  • L’ATTUALITÀ DI PIERRE JANET: “La psicoanalisi”, di Pierre Janet
  • PSICOPATIA E AGGRESSIVITÀ PREDATORIA, LA VERSIONE DI GIOVANNI LIOTTI (da “L’evoluzione delle emozioni e dei Sistemi Motivazionali”, 2017)
  • LA GESTIONE DEL CONTATTO OCULARE IN PAZIENTI CON PTSD
  • MARZO 2017: IL CONSENSUS STATEMENT SULL’UTILIZZO DI KETAMINA NEI CASI DI DISORDINI DELL’UMORE APPARENTEMENTE NON TRATTABILI
  • IL CERVELLO TRIPARTITO: LA TEORIA DI PAUL MACLEAN
  • IL CIRCUITO DI RICOMPENSA NELL’AMBITO DEI PROBLEMI DI DIPENDENZA
  • OTTO KERNBERG: UN AUTORE IMPRESCINDIBILE
  • TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULLE MNEMOTECNICHE (MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE)
  • LA CURA DEL SE’ TRAUMATIZZATO di Lanius e Frewen, 2017
  • EFFICACIA DI UN BREVE INTERVENTO PSICOSOCIALE PER AUMENTARE L’ADERENZA ALLE CURE FARMACOLOGICHE NELLA DEPRESSIONE
  • PSICOTERAPIE: IL DIBATTITO SU FATTORI COMUNI E SPECIFICI A CONFRONTO

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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