di Raffaele Avico
Abbiamo qui più volte sottolineato come il ptsd si configuri come un problema che ha a che fare con 3 domini principali dell’esperienza umana:
- corpo
- coscienza
- memoria
Le ripercussioni del PTSD le troveremo cioè in ognuno di questi domini: consideriamo come il PTSD possa essere pensato come una forma estrema di condizionamento (la mia intera persona rimane bloccata in pattern di comportamento rigidi, sempre uguali, come a seguito di un pesante condizionamento agìto dall’impatto del trauma); consideriamo inoltre come nell’ambito di questa risposta di condizionamento, a subirne i maggior contraccolpi siano il corpo (che “accusa il colpo”, come efficacemente esprime Van Der Kolk) e lo stato della coscienza (che si presenta frammentata e perturbata da ricordi intrusivi e sintomi dissociativi, che rendono difficile fermarsi nel momento presente, dormire, etc.).
La Teoria Polivagale di Porges ha ben spiegato come, in caso di minaccia, il sistema nervoso autonomo risponda con modalità specifiche che dipendono dal livello stesso di minaccia percepita: esistono tre tipi di risposta (dalla ricerca di contatto oculare/sociale alla finta morte) corrispondenti a livelli di minaccia percepita diversi, e mediati da circuiti nervosi differenti.
Il PTSD sopraggiunge a seguito di uno o più traumi vissuti con impotenza. Sappiamo però che la rappresentazione di ciò che è traumatico dipende dalla storia dell’individuo e risponde a criteri estremamente soggettivi. Una rottura relazionale netta (quello che Giovanni Liotti chiama trauma da attaccamento) può rappresentare un vero e proprio trauma, con conseguenze definibili PTSD.
Abbiamo qui approfondito come per Peter Levine il trauma si trasformi in PTSD solo nel momento in cui, al momento del suo viverlo, siano presenti, insieme, PAURA e IMMOBILITÀ. Senza uno di questi due elementi, Peter Levine sostiene, non si creano le condizioni perchè si produca un PTSD. Il PTSD trova il suo terreno fertile cioè in un vissuto di paura senza sbocco. La natura del condizionamento, è che qualcosa, interiormente, rimane impresso in modo molto forte, deformando il comportamento dell’individuo che lo subisce. La stessa cosa avviene nel PTSD, con una minaccia che diviene introiettata. Facciamo un rapido esempio per capire come ciò può avvenire:
Marco, 40 anni, esce da una relazione molto sentita in senso affettivo, in modo brusco e traumatico, con un fortissimo senso di abbandono e i sintomi di quello che il medico di base gli chiarisce essere una sindrome post-traumatica. Nel momento in cui cerca riposo, la sua mente si avvicina in modo apparentemente invincibile a ricordi di natura traumatica che gli impediscono il sonno, procurandogli pesanti attivazioni fisiologiche (tachicardia, panico, generica “ansia”) e deformando, lentamente, tutto il suo stile di vita. Dopo un anno di tentativi, lascerà il lavoro e la città, trasferendosi altrove e cominciando un percorso di psicoterapia focalizzata sul trauma, con un completo recupero del senso di “controllo” sui suoi sintomi dopo 3 anni dal trauma.
Che significato ha, tutto questo? Possiamo interpretare il suo vissuto come il risultato di, appunto, un’introiezione della minaccia, che in qualche modo diviene interna, non più reale, ma “rappresentata/ricordata”. Il che non fa nessuna differenza in termini di reazione fisica: se al momento dell’immagazzinamento della memoria traumatica la reazione fu traumatica e disregolante, così lo sarà al momento del suo ricordo -bizzarramente vivido-, con tutte le conseguenze corporee dello stesso ricordare.
Un ulteriore aspetto da tenere a mente, è il senso di impotenza di fronte alla minaccia. Il lavoro di psicoterapia comincia, in questi casi, con un individuo che rappresenta le proprie risorse di coping con una misura 0, a fronte di una minaccia rappresentata di misura 100, e termina in teoria con un bilanciamento delle due misure rappresentate, e un senso di maggiore controllo acquisito.
C’è da dire, però, realisticamente, che alcuni individui saranno portati a un completo evitamento dello stimolo fobico/connesso al trauma, essendo spesso costretti a lasciare luoghi/situazioni al fine di evitare ogni possibile trigger che inneschi, nuovamente, il vissuto post-traumatico. In un ambiente percepito come maggiormente sicuro, il lavoro “interiore” potrà svolgersi con maggiore tranquillità, come nell’esempio clinico sopra riportato.