di Raffaele Avico
Cosa significa “Default Mode”? Qui ne avevamo dato una definizione generale. Proliferano intanto le offerte formative che offrono introduzioni a discipline come mindfulness, meditazione: troviamo inoltre un certo filone di Youtubers (per lo più interessati al tema della crescita personale) che incitano alla lettura come strumento di crescita -a quanto sembra sottovalutato.
Cosa ci dice, questo, sul tempo di oggi e sul modo di recepire la quantità di informazioni che ci arrivano dalla rete e da una società sempre più intrinsecamente contraddittoria e difficile da interpretare?
Quello che sembra importante recuperare, difficile da trovare, è uno spazio elaborativo, entro il quale far sedimentare la mole di informazioni che quotidianamente ci arrivano. Tornando alla questione del Default Mode Network: come abbiamo scritto, il vantaggio di permanere in un momento di “sosta cognitiva” o vuoto, è quello di promuovere dei movimenti o processi associativi a livello di reti neurali.
Il saltare da uno stimolo cognitivo all’altro, come rischiamo di fare, quotidianamente, per galleggiare nel mare magno dei dati e delle informazioni di cui siamo bombardati, rischia di non concederci la possibilità di trovare questi momenti di “fluttuazione” cognitiva necessaria all’elaborazione di ciò che dentro e fuori di noi capita. Rischia di eliminare, appunto, il “default-mode”, necessario ad associare, rielaborare, lasciar sedimentare (che di fatto rende il Default Mode simile al lavoro che si fa in una psicoterapia).
Dove troviamo, oggi, i “dispositivi di pensiero”, o gli “spazi elaborativi” necessari a promuovere questo lavoro associativo? La tecnologia non ce ne offre in pratica nessuno. Occorre guardare altrove; facciamo qualche esempio:
- pratiche di mindfulness mediata da esseri umani
- suonare uno strumento musicale (che, come qui approfondito, è considerata una delle attività più associative ed efficaci in termini di “training cognitivo” in assoluto)
- lettura su carta prolungata e immersiva
- contatto prolungato senza distrazioni con la natura*
- psicoterapia mediata da esseri umani
- psicoanalisi mediata da esseri umani
- ozio creativo, ovvero obbligarsi a “non fare nulla” per un tempo prolungato, “attendendo”, come quando si pesca
- dedicare del tempo allo sport
L’idea che la mente, per produrre di più, debba saper “fluttuare”, sembra contro-intuitiva; in realtà è molto naturale se pensiamo quanto idee brillanti, associazioni importanti, vecchi ricordi che conferiscono un senso a quanto nel momento presente ci accade, collegamenti inaspettati, nascano dal nostro saper fluttuare o aspettare. Ovvero, abbiamo bisogno di “spazi” protetti e dedicati per poter darci il giusto tempo di riflettere e trasformare “l’esperienza in saggezza”. Nella rivoluzione digitale solo ai suoi inizi, questi spazi acquisiranno sempre più valore, divenendo indispensabili. Nel disordine generato da un sovraccarico di informazione, dovremo cioè saperci ritagliare degli spazi dedicati al “lavoro di associazione”, protetti dal resto, come scrivanie vuote nel contesto di laboratori artigianali caotici votati alla creazione e al solo “fare”.
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Un gruppo di ricercatori della Stanford University ha dimostrato come 90 minuti di passeggiata nella natura, rispetto a 90 minuti di passeggiata in città, riducano significativamente 1) i Iivelli di ‘ruminazione mentale’ e 2) l’attività neurale di un’area cerebrale implicata nella ‘ruminazione mentale’ (la corteccia prefrontale subgenuale). Considerando che un’eccessiva ruminazione si accompagna di regola a stati emotivi negativi e che entro il 2050 il 70% della popolazione vivrà in città, investire in maggiori aree verdi e praticare il contatto con la natura ci aiuterà a rimuginare di meno e, semplicemente, stare meglio.