PREMESSA: riportiamo in toto questo articolo di approfondimento riguardante il fenomeno delle “voci”, intese in senso transdiagnostico (Articolo originale su Psychiatryonline.it). Gli autori fanno parte del Circolo Romano di Psicopatologia. Capire quando una “voce” sia in realtà da ri-pensare come un sintomo post-traumatico, è di fondamentale importanza per una corretta diagnosi: già qui avevamo introdotto il tema.
di Stefano Naim, Matteo Maggiora, Massimiliano Aragona
Scopo del nostro studio è quello di indagare se (e in che modo) le allucinazioni di ambito dissociativo differiscano dalle allucinazioni di marca psicotica. A tale scopo, abbiamo analizzato i caratteri psicopatologici delle allucinazioni nell’ambito dei flashback post-traumatici e nella schizofrenia. Per farlo, ci siamo serviti di un approccio idealtipico: ovvero, di descrizioni del fenomeno capaci di coglierlo nella sua forma più tipica (idealtipica) al di là di somiglianze e sovrapposizioni eventualmente esistenti tra un fenomeno e l’altro.
É emerso che le allucinazioni dei flashback post-traumatici insorgono in stato di coscienza chiaramente alterato, vissute spesso come esperienze molto vivide e multisensoriali, altamente personalizzate, solitamente echi realistici di esperienze traumatiche originali, associate a reazioni emotive coerenti con il loro contenuto. Inoltre, il soggetto che le sperimenta è spesso in grado di riconoscerne la natura patologica, di fenomeno “intrusivo” proveniente dalla sua mente.
Le allucinazioni schizofreniche, invece, appaiono di solito in stato di coscienza più lucido, sono a volte bizzarre, poco strutturate, meno vivide, definibili o localizzabili che nel trauma. Possono suscitare reazioni emotive inaspettate o incongrue. Nonostante questa maggiore “ambiguità” sul piano sensoriale, il soggetto tende a non criticare o dubitare delle sue esperienze percettive ma, in modo peculiare, ad accoglierle “passivamente” come fatti reali. Manca, cioè, una vera consapevolezza della loro natura patologica.
In conclusione, il nostro studio suggerisce che le più tipiche allucinazioni PTSD e schizofreniche, quando analizzate sul piano fenomenico, possano risultare nettamente distinguibili.
Parole chiave: Allucinazioni, AVHs, Schizofrenia, Psicosi, PTSD, Trauma, Flashback, Dissociazione, Fenomenologia, Psicopatologia, Idealtipo
Introduzione
Si tratta del terzo studio di un progetto – avviato dal Circolo Romano di Psicopatologia – volto a indagare le possibili specificità di allucinazioni presenti in diverse sindromi psichiatriche.
Le ricerche empiriche hanno frequentemente indagato i fenomeni allucinatori. Le allucinazioni acustiche verbali (le cosiddette “voci”) sono state ad esempio esaminate in diversi caratteri intrinseci – il numero di voci, l’origine (interna o esterna) accento, volume, durata, il contenuto e significato (imperative, dialoganti, denigratorie, teleologiche, ecc.) – come in molti caratteri estrinseci – strategie di coping, livello di insight, distress emotivo indotto dalle voci ecc.
Nell’ambito di queste ricerche non sono emerse differenze significative tra le allucinazioni appartenenti al registro dei disturbi psicotici, affettivi o traumatici (Junginger el al., 1985; Copolov et al., 2004; Nayani et al., 1996; Daalman et al., 2011). Si sono peraltro riscontrate differenze modeste tra le allucinazioni dei pazienti psichiatrici e fenomeni “allucinatori” che possono verificarsi in soggetti non clinici (cioè, che non hanno mai ricevuto una diagnosi psichiatrica) (Daalman et al., 2011).
Partendo da questi rilievi, si sono generate due “visioni” opposte: la prima considera le allucinazioni dei fenomeni tipicamente post-traumatici. Esse – anche nel caso dei disturbi psicotici – avrebbero comunque origine da episodi di “traumatizzazione” verificatisi nel corso della vita del soggetto (Longden et al., 2012, Moskowitz et al., 2011). In senso fisiopatologico, l’allucinazione si collocherebbe, dunque, nell’ambito di una dissociazione del piano di coscienza su base traumatica (Longden, Madill e Waterman 2012, Moskowitz et al. 2017).
La visione opposta vede invece nelle allucinazioni dei classici fenomeni psicotici, e considera quelle dei campioni non clinici dei fenomeni “mal-diagnosticati” (che cioè non sarebbero reali allucinazioni, ma qualcos’altro) oppure allucinazioni reali in soggetti ad “alto rischio di psicosi” ma non ancora riconosciuti (Laroi et al 2012 ). In questa visione, il meccanismo fisiopatologico si individua in un’alterazione del Sé di base (minimal self) correlandosi quindi ai disturbi del senso di “mineness” e “agency” (Zahavi, 2014; Parnas e Sass, 2001; Parnas et al., 2005).
Come affermato nei lavori precedenti (Maggiora e Aragona, 2020) queste due opposte posizioni condividono però, di fondo, una visione comune: il considerare, cioè, le allucinazioni sempre lo stesso oggetto, prescindendo da possibili differenze individuabili in condizioni di normalità o patologia, o in base al disturbo in cui si trovano.
Più in generale, abbiamo suggerito che la “sovrapposizione” fenomenica delle allucinazioni in diverse sindromi psichiatriche (e tra queste e i campioni non clinici) possa derivare dal tipo di strumenti usati per rilevarle: le comuni rating scales, infatti, tendono a indagare caratteri fenomenici piuttosto grossolani (es. quelli sopra elencati) favorendo la possibilità che fenomeni dispercettivi in sè distinti vengano “catturati” e trattati alla stregua di allucinazioni vere.
L’idea di fondo del nostro lavoro è che, invece, i fenomeni psicopatologici vadano indagati nei loro caratteri qualitativi: aspetti più “sottili” – di certo meno semplici da misurare – e tuttavia più specifici e, come tali, più vicini a cogliere la vera natura del fenomeno. In tal modo diventa possibile operare opportune distinzioni tra fenomeni che, tra loro, appaiono simili.
Partendo da ciò, il nostro progetto si è mosso nel tentativo di esplorare possibili specificità delle allucinazioni:
- appartenenti all’ambito dei disturbi dello spettro traumatico, e in particolare dei pazienti affetti da PTSD (Maggiora e Aragona, 2020)
- dall’altro lato, si sono esaminate le allucinazioni “per antonomasia”, quelle cioè proprie dei pazienti psicotici e, segnatamente, affetti da schizofrenia (Naim e Aragona, 2021).
Sulla base dei riscontri dei nostri lavori (a cui, per approfondimenti, si rimanda) pensiamo di poter sostenere che allucinazioni dissociative e allucinazioni psicotiche rappresentino fenomeni in sé diversi.
Questo, ovviamente, non significa escludere che pazienti affetti da PTSD possano sperimentare allucinazioni a carattere psicotico – abbiamo anzi descritto questa possibilità, come “schizophrenic-like hallucinations” (Maggiora e Aragona, 2020) – o ritenere che ai soggetti schizofrenici siano precluse esperienze del genere dissociativo (evenienza certamente plausibile). Queste possibilità esistono, e potrebbero – peraltro – supportare l’idea di un continuum psicopatologico nell’ambito delle esperienze dispercettive.
Noi, però, vogliamo far luce su ciò che differenzia i fenomeni, analizzare tratti e caratteri distintivi di fenomeni che rimangono qualitativamente diversi anche se, in alcuni casi, possono coesistere nella stessa persona, o “sfumare” uno in direzione dell’altro.
A supporto della nostra tesi, esporremo ora un confronto tra i caratteri psicopatologici evidenziabili nelle allucinazioni dei flashback post-traumatici ed in quelle schizofreniche.
Ci baseremo, per farlo, suI metodo della psicopatologia descrittiva di matrice jaspersiana, distinguendo tra gli aspetti di forma e contenuto dei fenomeni (Jaspers, 1913/2012) e dando priorità al piano dell’esperienza vissuta (Erlebnis) quella cioè riportata direttamente dalla persona, da una prospettiva in prima persona. Ci soffermeremo, in particolare, sul modo in cui la persona prende posizione di fronte alle sue esperienze allucinatorie.
Per enfatizzare i tratti più distintivi dei fenomeni in esame – evitando l’effetto confondente dei casi “sfocati” – useremo il metodo idealtipico (Weber, 1904/1949). L’idealtipo è una descrizione “ideale” (una sorta di prototipo) che raccoglie – tra le molteplici caratteristiche di un fenomeno – quelle che lo caratterizzano in modo più puro e coerente. I casi real world (quelli che concretamente incontriamo nella realtà quotidiana) sono spesso forme meno chiare ed esemplari rispetto al fenomeno puro idealtipico, ma indagarlo nella sua forma “pura” ci consente certamente di avvicinarci alla sua reale essenza psicopatologica. Considereremo, quindi, l’idealtipo delle allucinazioni post-traumatiche (dissociative) come appaiono nei casi gravi di PTSD. Dall’altro analizzeremo le più tipiche allucinazioni schizofreniche.
Come assunto di base, riteniamo inoltre che i fenomeni psicopatologici non siano semplici “oggetti” da descrivere singolarmente, ma parti di una più ampia costellazione clinica, e che vadano pertanto indagati in relazione ad una dinamica figura-sfondo che tenga conto dell’intero quadro fenomenico. Questa idea – di stampo ermeneutico – assume (come vedremo) molto rilievo nel disturbo allucinatorio, che può arrivare a coinvolgere in toto lo stato di coscienza e, ancora di più, interessare il globale modo di “essere-nel-mondo” del soggetto (vedi oltre).
N.B. Per un approfondimento della parte metodologica si rimanda alla pubblicazione dell’articolo su “Dialogues in Philosophy, Mental and Neuro Sciences” (Volume 14, Issue 2, December 2021)
CARATTERI FORMALI DELLE ALLUCINAZIONI
Carattere di corporeità
Sia nei flashback PTSD che nella schizofrenia, le allucinazioni condividono una qualità di base: l’essere un’esperienza di tipo senso-percettivo. In modo immediato e pre-riflessivo, la persona vive l’esperienza allucinatoria nella forma di un oggetto dotato di corporeità, posto di fronte a sé nella sua concretezza e fisicità (Jaspers, 1913/2012, pp. 75) e come dato appartenente alla realtà esterna. Nei flashback PTSD, l’oggetto viene solitamente sperimentato con una vividezza sensoriale che le avvicina alle normali percezioni. Le allucinazioni schizofreniche, più spesso, sono molto meno chiare ed evidenti sul piano sensoriale (vedi oltre). Ma anche in questi casi, non viene mai meno il carattere primario di esperienza vissuta nei sensi (Jaspers, 1913/2012, pp.85; Scharfetter, 1976/1992, pp. 211 e 219). Tutte le allucinazioni mantengono perciò, seppur in vario grado, una qualità corporea di fondo.
Coinvolgimento sensoriale
Mono o multisensorialità
La percezione normale ha carattere multisensoriale: coinvolge cioè contemporaneamente i diversi sensi (vista, udito, olfatto, ecc.). Anche nei flashback post-traumatici le allucinazioni sono di norma multisensoriali, spesso in forma di scene che “ripetono” vicende traumatiche (persona che sente e vede il torturatore, percepisce l’odore della prigione, ecc).
Nella schizofrenia c’è più variabilità: possono verificarsi allucinazioni multisensoriali, ma più spesso esse coinvolgono un solo canale – e più tipicamente quello uditivo, es. le voci: il paziente sente qualcuno parlare, ma non lo vede. In alternativa (canale visivo) può vedere qualcuno o qualcosa, ma non sente la sua voce /suono, ecc.
Integrazione sensoriale
Nel normale atto percettivo, i dati che raccogliamo con i vari sensi si organizzano e strutturano in un unico oggetto di percezione. Nei flashback post-traumatici le scene allucinatorie sono solitamente integrate (l’aggressore viene visto, ascoltato, percepito come un tutto unico).
Nelle allucinazioni schizofreniche, al contrario, tale integrazione sensoriale può anche venir meno.
Vividezza percettiva
Le percezioni normali sono solitamente caratterizzate da un’elevata evidenza sensoriale (sono chiare, ben definite e dettagliate). Jaspers differenziava, in tal senso, la “freschezza” sensoriale delle percezioni, dall’esperienza sensorialmente più pallida e sbiadita delle rappresentazioni (prodotti della nostra attività immaginativa).
Nei flashback post-traumatici le scene allucinatorie sono di solito vivide e dettagliate, in modo simile alle normali percezioni.
Molte allucinazioni schizofreniche appaiono prive di questa «freschezza» percettiva: spesso anzi sono lacunose, «evanescenti» (voci maldefinite, come sussurri, sibili o fischi, poco comprensibili; visioni spesso sbiadite, ecc.) In alcuni casi, può aversi al contrario una maggiore salienza (per la quale l’oggetto o sue parti assumono particolare rilievo e si «impongono» a livello percettivo).
In ogni caso, nella schizofrenia, l’evidenza sensoriale dell’oggetto allucinatorio risulta di frequente alterata.
Costanza percettiva
Le percezioni di norma si presentano in modo stabile e costante nella coscienza – a differenza delle rappresentazioni, che risultano più mutevoli e difficili da “fissare” nella mente.
Nell’esperienza dei flashback PTSD – in modo simile agli stati del sogno – la scena si evolve e cambia rapidamente, fino al momento in cui il paziente “si sveglia”. E’ frequente, tuttavia, che una stessa scena traumatica possa ripresentarsi più volte (come qualcosa del passato che torna alla coscienza in modo ciclico).
Le allucinazioni schizofreniche offrono su questo piano una grande variabilità: possono essere più stabili (si “fissano” nel campo di coscienza, si ripresentano con le stesse modalità) o, più spesso, essere mutevoli e intermittenti (visioni flebili e sfuggenti, voci che cambiano di contenuto, volume, tono ecc.)
Localizzazione spaziale
Gli psicopatologi classici da sempre sottolineano che le rappresentazioni sono immagini interne, mentre le senso-percezioni si realizzano nello spazio esterno: il soggetto, cioè, registra qualcosa che si trova nell’ambiente al di fuori di sè (una voce, un’immagine, un odore, ecc.). I sensi coinvolti hanno una diversa capacità nel precisare l’esatta localizzazione dello stimolo percepito (es. la posizione spaziale di un oggetto osservato è più facile da individuare, rispetto alla voce di una persona al buio o a un odore che si diffonde nell’aria). E’ comunque sempre possibile riconoscere l’origine esterna della fonte percettiva.
N.B. La propriocezione riguarda invece sensazioni del proprio corpo (movimenti, posizioni del corpo o di sue parti, es. “sento il mio braccio muoversi”) ed è quindi principalmente una percezione interna. La propriocezione si presenta come un’eccezione, e verrà discussa a parte.
Nei flashback PTSD, la scena allucinatoria viene percepita nell’ambiente esterno. Le voci, i suoni, le immagini, gli odori appartengono a una data fonte sensoriale (spesso corrispondente alla figura dell’aggressore) localizzabile nell’ambiente. Il soggetto vive tipicamente la scena nel “qui e ora”, di fronte a sè, come spettatore coinvolto. Coerentemente con il flashback, c’è un distacco dall’ambiente circostante e il soggetto può sperimentare di trovarsi in un luogo diverso da quello reale o trasposto in un altro tempo, connessi con l’originaria esperienza traumatica (es. la prigione, il campo di battaglia, la casa dell’aggressore, ecc.). L’esternalizzazione della scena allucinatoria, in ogni caso, viene mantenuta.
L’equazione percezione=spazio esterno diventa più problematica nella schizofrenia. Non di rado le allucinazioni vengono avvertite nello spazio interno (voci nella testa, nel petto, nell’addome ecc.). Qui il soggetto assegna alla sua esperienza (la voce) il carattere di concreta percezione – diversa, dunque, da un prodotto di immaginazione – e tuttavia ne stabilisce la sede dentro il suo corpo, piuttosto che nella realtà circostante.
Inoltre, anche quando l’allucinazione mantiene una collocazione esterna, possono riscontrarsi diverse anomalie: percezioni mal localizzabili (il paziente non è in grado di riconoscere il luogo da cui proviene il suono, o la voce della persona che sta parlando); fuori dal normale campo sensoriale, come le allucinaz. extracampine (“vedere” una persona alle proprie spalle, udire suoni o voci distanti migliaia di chilometri, da altri mondi, ecc.); bizzarre (voci o telecamere situate dentro le pareti, negli indumenti, voci emesse da dispositivi tecnici; addirittura, comunicazioni dirette mente-a-mente).
In ultima analisi – nell’ambito del disturbo schizofrenico – sul tema della spazialità emergono forti criticità riguardo alla presunta sovrapposizione tra percezione normale ed allucinatoria.
Localizzazione propriocettiva
Nei flashback PTSD, la persona di solito vive la scena traumatica da spettatore coinvolto, spesso interagendo con essa. La tensione muscolare è frequente, la persona può sentire il dolore, ecc. Talvolta c’è una reazione di congelamento, la persona si sente come paralizzata. Sono tutte, comunque, reazioni fisiche coerenti e connesse con la scena terrifica (allucinatoria) che il soggetto si trova ad affrontare.
Nella schizofrenia la percezione corporea è spesso tipicamente disturbata: il corpo è avvertito come diverso (organi che si spostano, si modificano nella forma o dimensioni, corpo che si muove, ecc.). Soprattutto – come se qualcosa di “sottile”, ma fondamentale si stesse modificando nella percezione globale di sé – viene a perdersi la naturalezza dell’esperienza corporea. Ad es. il soggetto può sperimentare una sensazione di meccanizzazione dei suoi movimenti. Qui esperienza vissuta e credenza delirante (es. che parti del proprio corpo siano intenzionalmente spostate da entità esterne) sono così strettamente intrecciate da rendere perfino discutibile l’utilizzo stesso del termine allucinazione (Naim e Aragona, 2021).
Personificazione
Normalmente sappiamo identificare l’oggetto della nostra percezione: riconosciamo la sua identità (quella persona lì, quell’animale lì) i suoi tratti caratterizzanti (sesso, età, tratti somatici ecc.). Nelle allucinazioni dei flashback c’è un alto grado di personificazione: le persone della scena sono chiaramente riconosciute (l’aggressore, il torturatore, ecc). Le immagini viste, le voci ascoltate sono di persone distinte (come detto, spesso gli abusatori) con caratteristiche distinte. A volte la persona non rivive una scena esatta del passato, ma una sua rappresentazione in chiave simbolica (es. al posto dell’aggressore possono esservi “delle mucche mi stavano attaccando, ero con le spalle al muro …” [cosa rappresentano le mucche?] “probabilmente i nemici”). Anche in quel caso, la rappresentazione è comunque altamente personalizzata.
Nella schizofrenia le allucinazioni sono a volte ben identificabili (“è quella persona lì che sta parlando”). Più spesso però perdono riconoscibilità: le voci si fanno impersonali, scarsamente distinguibili («sento una voce ma non so chi è che parla»; non so se è uomo o donna» ecc.). Si può arrivare al punto in cui la personificazione viene completamente persa (es. non saper dire se la voce è di origine umana).
CONTENUTO DELLE ALLUCINAZIONI
Nel flashback PTSD i temi sono tipicamente di abuso e violenza. Come il termine “rivivere” suggerisce, i contenuti allucinatori si correlano a frammenti di memoria sensoriale che intrudono nella coscienza. Il paziente rivive immagini, odori e percepisce sensazioni fisiche ed emozioni simili o uguali a quelle che ha provato durante l’evento traumatico (come detto, a volte in forma esplicita altre in forma simbolica).
Al contrario, c’è una grande variabilità di contenuti nella schizofrenia. Alcuni sono certamente più frequenti: le voci hanno spesso carattere persecutorio o comunque negativo (comandano, criticano, denigrano il paziente ecc.). Tuttavia, alla stregua dei deliri schizofrenici – dove al versante persecutorio può affiancarsi una controparte di grandiosità (es. temi mistici, cosmologici, idee genealogiche) anche il contenuto delle allucinazioni può essere altamente variabile.
RELAZIONE TRA FORMA E CONTENUTO
Più che il contenuto specifico, vanno sottolineati alcuni aspetti peculiari delle allucinazioni schizofreniche:
a) l’incoerenza: spesso si rileva incongruenza tra diversi livelli, ad es. la risposta emotiva e/o il comportamento possono apparire strani e inattesi, rispetto al contenuto delle allucinazioni (una voce annuncia al pz che sta per essere avvelenato, e tuttavia lui mangia il cibo che gli è stato preparato). Talvolta contenuti tra loro contrastanti possono contemporaneamente coesistere (voci incoraggianti e minacciose allo stesso tempo).
b) il carattere autocentrico: le allucinazioni schizofreniche sono tipicamente incentrate sul paziente. Le voci possono rivolgersi direttamente a lui, o dialogare in terza persona senza coinvolgerlo apertamente. In ogni caso quelle voci si riferiscono a lui, stanno lì perché possa comprendere il messaggio a lui rivolto. A volte, il messaggio è permeato di una forte atmosfera esistenziale: significati importanti, profondi e nascosti che riguardano il paziente, che rivelano qualcosa su di lui e il mondo (Wyrsch, 1949/2014).
Questi aspetti, piuttosto caratteristici nella schizofrenia, sono sostanzialmente assenti nei flashback PTSD, dove c’è congruenza tra il contenuto allucinatorio e la reazione emotiva (di solito terrore, sofferenza, ecc.) e il paziente si trova nel “punto focale” della scena in coerenza con quanto da lui vissuto.
ALTRI FENOMENI PSICOPATOLOGICI
Come detto in apertura, le allucinazioni non vanno considerate “oggetti” isolati, ma fenomeni all’interno di una costellazione clinica più complessa (dinamica figura-sfondo). Analizzeremo qui, in particolare, il loro rapporto con lo stato di coscienza e, in seguito, le caratteristiche di temporalità del fenomeno allucinatorio.
Stato di coscienza
Nel caso del PTSD, le allucinazioni rientrano in una più ampia condizione (o sindrome) da iperarousal. Il paziente si trova usualmente in uno stato di allerta, tensione psico-motoria, insonnia, irritabilità, iperreattività agli stimoli (da quelli che gli ricordano il trauma ad altri meno specifici, come semplici rumori ecc.). Ciò avviene anche in assenza di evidenti stati dissociativo-allucinatori.
Se i pazienti hanno dei flashback, si assiste in aggiunta a un’alterazione dello stato di coscienza, nell’ambito della quale vivono le scene allucinatorie. In questi casi la loro coscienza è di tipo crepuscolare o oniroide: la lucidità e l’orientamento sono in parte o in tutto compromessi, e si ha perdita di contatto con la realtà circostante: il soggetto appare distaccato dall’ambiente e ha una ridotta capacità di reagire ad esso (stimoli delle persone che lo circondano, comprensione di quanto gli viene detto ecc.). Superata la crisi, spesso (ma non sempre) non conserva memoria di quanto è avvenuto durante l’episodio.
Per quanto invece riguarda la schizofrenia, da Kraepelin in poi si è sempre affermato che deliri e allucinazioni avvengono a coscienza lucida. Su questa base viene anche tracciata la classica distinzione tra delirio (dello schizofrenico) e delirium (nell’alcolismo). E’ frequente tuttavia constatare una ricca produzione allucinatoria negli stati di acuzie (esordio della malattia, riesacerbazioni ecc.) durante i quali si ha spesso una «destrutturazione», seppur parziale e transitoria, del campo di coscienza. In generale, sembra possibile fare una distinzione tra le fasi acute di malattia, in cui le allucinazioni (come anche gli stati deliranti) sembrano più strettamente connesse a una disorganizzazione del campo di coscienza (Ey, 1934, 1954) e le fasi di evoluzione e cronicità (psicosi schizofrenica conclamata) in cui le alterazioni di coscienza – intese in senso stretto – appaiono meno chiare ed evidenti, e non sembrano giustificare la produzione delirante-allucinatoria del paziente.
N.B. Per un approfondimento del dibattito sul tema della coscienza si rimanda alla pubblicazione dell’articolo su “Dialogues in Philosophy, Mental and Neuro Sciences” (Volume 14, Issue 2, December 2021)
Temporalità
Dinamica temporale
I flashback del PTSD presentano esordio rapido, spesso innescato da stimoli (esterni o interni) aventi un legame simbolico con gli eventi traumatici del passato. Anche la conclusione è spesso rapida, con un improvviso ritorno allo stato lucido di coscienza. Questa dinamica può essere descritta come switch off/switch on (spento/acceso). La dinamica temporale dell’esperienza allucinatoria si rivela strettamente connessa a quella del flashback: ovvero inizia e finisce con esso, all’interno dell’alterazione crepuscolo-oniroide della coscienza. La scena allucinatoria evolve quindi come una sorta di film (o di sogno, ma molto vivido e realistico).
Nella schizofrenia non si verifica un simile shift della coscienza, e le allucinazioni, come detto, si verificano in stato per lo più lucido. La loro dinamica di insorgenza-scomparsa è altamente variabile: alcune vanno e vengono rapidamente, altre persistono più insidiosamente e/o svaniscono lentamente; alcune voci cambiano continuamente, altre rimangono per anni inalterate, ecc.
Esperienza del tempo
Nei pazienti con PTSD l’esperienza del tempo è caratteristicamente quella di un “tempo circolare“: il passato si “riattualizza”, ossia periodicamente ritorna, immodificato, nel presente (si dice, classicamente, che “la persona non può lasciare il passato nel passato“). Come detto, le memorie traumatiche possono presentarsi sottoforma di flashback e scene allucinatorie. Tuttavia, in questi casi il vissuto non è quello del ricordo, ma di fatti che si verificano nel qui e ora (non sono il “ricordo di lui che mi picchiava” ma il “vedo che cerca di farmi del male, lo sento urlarmi contro” ecc.). Come da classica definizione delle allucinazioni, il paziente cioè percepisce, nella realtà attuale, qualcosa che effettivamente non esiste. In altri termini, tali esperienze si riferiscono a vicende traumatiche del passato, ma sul piano soggettivo vengono sperimentate come qualcosa di reale e attuale, nel presente della persona. Di fronte all’emergere di queste esperienze psicopatologiche, la naturale progressione del flusso temporale (dal passato verso il futuro) può essere alterata: le stesse scene, infatti, possono tornare più e più volte, in una generale stagnazione del tempo vissuto del soggetto.
Nella schizofrenia, l’esperienza del tempo è stata spesso descritta in termini di tempo congelato e immobilizzato (Minkowski, 1933). Vi è un eterno e sfuggente “ora”, nel quale può inserirsi la sensazione che qualcosa di importante e imminente stia per accadere: una posizione descritta da Kimura (2005) come ante-festum. Secondo Stanghellini et al. (2016) l’alterata esperienza del tempo schizofrenico sta nella sua disarticolazione: vi sarebbe cioè un’alterazione fondamentale nella costituzione del Sé di base, che si tradurrebbe in micro-lacune dell’esperienza cosciente: cosicché fenomeni mentali, non più incorporati nella continuità del flusso temporale dell’esistenza, possono venire vissuti come “blocchi”, inserzioni del pensiero o, se esternalizzati, manifestarsi come allucinazioni uditive.
PRESA DI POSIZIONE (POSITION-TAKING)
E’ stato evidenziato che la persona, normalmente, non solo è cosciente della sua esperienza ma prende anche posizione su quello che soggettivamente sperimenta. Molti sintomi psichiatrici, ad esempio, possono essere visti come risultato di una specifica “reazione” psico-emotiva del soggetto al suo vissuto disturbante di base (Stanghellini, 2016). Questa impostazione è in accordo con quella ermeneutica di Berrios (2013) sull’auto-interpretazione soggettiva delle esperienze fondamentali.
Secondo Aragona et al (in stampa) ci sono due livelli di presa di posizione. Nel primo, vi è una “presa” più immediata (pre-riflessiva) della propria esperienza. Nel secondo il soggetto opera su di essa una ricerca di significato più volontaria ed esplicita.
Presa di posizione implicita
Normalmente, alle nostre percezioni, attribuiamo implicitamente un carattere di realtà: siamo sicuri di vedere ciò che vediamo, di sentire ciò che sentiamo, ecc. Siamo cioè certi della loro concreta esistenza, come “oggetti” parte dell’ambiente a noi circostante. In altre parole, in tutte le percezioni “la certezza di realtà ci è semplicemente data” (Scharfetter, 1976/1992). Sebbene sia spesso usato il termine “giudizio di realtà”, questo non è un vero e proprio giudizio (come ad es. nella valutazione di un pro e contro). Si tratta piuttosto di una capacità pre-riflessiva, tramite cui, in modo “automatico” e immediato, il soggetto assegna un carattere di realmente esistente a quello che percepisce tramite i sensi.
Anche le allucinazioni, notoriamente, sono spesso giudicate reali: alla stregua delle normali percezioni, il soggetto le sperimenta come fatti “oggettivi” dei sensi che si “impongono” nel campo di coscienza, piuttosto che “prodotti” di un’esplicita attività mentale. In altre parole, sia le percezioni normali che quelle allucinatorie condividono il senso di realtà di quanto percepito.
Sia le allucinazioni dei flashback PTSD che quelle schizofreniche hanno, quindi, questa caratteristica.
Una differenza è che le prime si verificano in stato dissociativo di coscienza, e la qualità (di realtà) dell’esperienza viene dedotta dall’osservatore esterno, sulla base del modo in cui il paziente interagisce con la scena allucinatoria. Il paziente, infatti, uscito dall’episodio può avere un ricordo dell’evento, ma più spesso non ne conserva memoria. Le voci schizofreniche, al contrario, si verificano in stato “lucido”, quindi è il paziente stesso che può descrivere ciò che sta vivendo.
Altrove (Naim e Aragona, 2021) abbiamo sottolineato che, nonostante i dati percettivi si “impongano” nel campo soggettivo di coscienza, di norma conserviamo nei loro confronti un certo “margine d’azione”: es. possiamo spostare l’attenzione, allontanarci e/o “stoppare” una fonte sensoriale che ci disturba (tappiamo le orecchie se il rumore è forte, chiudiamo gli occhi se la luce è eccessiva ecc.). Ma soprattutto, possiamo dubitare della realtà della nostra percezione, qualora essa ci appaia “dubbia” o strana”.
Nel caso della schizofrenia questa capacità tende a ridursi. Anche i soggetti schizofrenici possono cercare di fronteggiare le loro allucinazioni (per quanto, non di rado, con modalità «bizzarre»). Spesso però nemmeno provano a opporsi, ma rimangono come «catturati» dalla loro esperienza allucinatoria. Essi cioè mostrano, caratteristicamente, una maggiore passività ricettiva, per la quale raramente arrivano a mettere in discussione la realtà delle loro allucinazioni: nonostante siano percettivamente ambigue o strane, il soggetto tipicamente non «corregge» il suo giudizio. Il dato allucinatorio (come discusso) può quindi avere caratteristiche sensoriali dubbie, incomplete, contraddittorie, tali anche da porsi “in conflitto” con il contesto percettivo globale, ma per i pazienti rimane ugualmente un dato di realtà («quel che i malati vedono o sentono è per loro una realtà inoppugnabile», Bleuler).
Interpretazione esplicita
La presa di posizione di secondo livello riguarda una ricerca più volontaria ed esplicita di significato per la propria esperienza. Concentriamo qui la discussione sul livello che concerne la “consapevolezza di malattia”: chiamata anche insight – termine in verità più ampio – essa si riferisce alla condizione in cui una persona che sperimenta un fenomeno disturbante lo riconosce come patologico.
Nei flashback PTSD la scena allucinatoria si presenta in modo invadente, intrudendo nella mente contro la volontà del soggetto. Tuttavia, poiché si verifica in stato alterato di coscienza, il paziente non è in grado, mentre la sperimenta, di giudicarla come patologica. Una volta che comunque torna lucido, di solito non ha difficoltà nel giudicare l’abnormità di quanto accaduto – a condizione che ne conservi almeno in parte memoria; a volte, infatti, il giudizio è possibile solo indirettamente, dopo aver ricevuto un “feedback” da chi gli sta attorno.
Il paziente schizofrenico, invece, spesso non riconosce le sue allucinazioni come fatti patologici. La sua scarsa consapevolezza affonda in un problema fondamentale connesso con il suo disturbo di base: egli perde il senso di proprietà sulla propria esperienza (disturbo della meità) perde titolarità sui propri contenuti di coscienza. In altre parole, a livello soggettivo non si sente il proprietario, bensì come uno spettatore di ciò che soggettivamente sperimenta (Naim e Aragona, 2021).
Di fronte, allora, alle sue allucinazioni, il soggetto tende a giudicarle come fatti “estranei” alla sua attività mentale. Può arrivare a elaborare spiegazioni deliranti (considerarle es. “corpi estranei” – imposte da entità esterne – nell’ambito di sindromi di «influenzamento»). Può viceversa, quando soggettivamente meno disturbanti, accoglierle in modo totalmente passivo (per cui esse stanno semplicemente lì). In ogni caso giudicandole, da un lato, come eventi plausibili e reali, e non riconoscendole come fatti “generati” dalla propria mente, egli non considera le sue esperienze allucinatorie come un possibile segno di malattia.
Conclusioni
In questo studio abbiamo confrontato due diverse tipologie di allucinazioni:
- quelle che caratterizzano i flashback dissociativi nei pazienti con PTSD, che emergono nel contesto di uno stato di coscienza alterato (crepuscolo-oniroide) come scene vivide e multisensoriali, altamente personalizzate, spesso “echi” realistici di esperienze traumatiche originali, e dotate sul piano soggettivo di una reazione emotiva coerente con il loro contenuto. Quando la persona ne ha ricordo (o viene informato su quanto accaduto) le considera chiaramente fatti irreali, provenienti dalla propria mente, di carattere patologico.
- le tipiche allucinazioni schizofreniche che, d’altra parte, sono vissute a coscienza lucida (o quasi), presentano minor vividezza sensoriale (più incomplete, mutevoli e sfuggenti) sono a volte incoerenti o bizzarre, meno personalizzate e più scarsamente localizzabili. Nonostante la loro stranezza e ambiguità percettiva il soggetto non le giudica però irreali, contraddittorie, ecc. ma le “accetta” passivamente, le prende così come sono senza mettere in discussione la loro plausibilità. Manca quindi la consapevolezza della loro natura patologica.
Per evidenziare opportunamente gli aspetti psicopatologici differenziali abbiamo usato un approccio idealtipico, ovvero un metodo atto a descrivere i fenomeni nella loro forma più pura. Presupposto di questa scelta è che un’indagine rigorosa dei fenomeni, in grado di coglierne gli aspetti più sottili e caratterizzanti, permetta di migliorare la loro definizione sul piano clinico. Con questo approccio abbiamo cercato di mettere in luce come – al netto di possibili somiglianze e sovrapposizioni – le allucinazioni di ambito post-traumatico e quelle tipiche schizofreniche siano qualitativamente diverse.
Nel real world è frequente incontrare forme meno pure, con pazienti che vivono esperienze psicopatologiche appartenenti a un “territorio di mezzo”; la stessa ricerca empirica può riscontrare diversi livelli di sovrapposizione, con riscontro di pazienti in cui coesistono entrambi i tipi di fenomeni, o presentano forme “sfocate” o “a ponte”. E rimane aperta la questione di investigare questo ampio “territorio di confine” (le allucinazioni post-traumatiche senza completa dissociazione di coscienza; le allucinazioni schizophrenic-like in pazienti con diagnosi di PTSD ecc. – Maggiora e Aragona, 2020). La sua esistenza, tuttavia, non rappresenta per noi la prova di un continuum dimensionale: nella misura in cui – per quanto esposto – i due tipi di allucinazioni, prese nella loro forma caratteristica, conservano dal nostro punto di vista sembianze molto diverse.
Una possibile obiezione al nostro lavoro è che solo quelle schizofreniche siano allucinazioni “reali”, mentre le esperienze dei flashback nel PTSD non siano allucinazioni, ma fenomeni intrusivi connessi ad eventi traumatici. Dal canto nostro abbiamo cercato di evidenziare come, nel vissuto del paziente, essi non si configurano come memorie ma come vere e proprie esperienze di carattere allucinatorio. A questa obiezione può, inoltre, essere contrapposta l’ipotesi che le allucinazioni schizofreniche, anch’esse, si correlino a ricordi basati sul trauma (Steel, 2015). Ad ogni modo abbiamo preferito astenerci in questa fase dalle confutazioni teoriche, per mantenerci su un rigoroso piano di descrizione fenomenica.
Un importante passo può essere, in futuro, quello di indagare se le caratteristiche fenomeniche descritte siano sottese da dimensioni psichiche più “profonde”: ovvero, se esista una corrispondenza tra le differenze psicopatologiche riscontrate nelle diverse forme allucinatorie e il tipo di organizzazione (o alterazione) nelle strutture di base dell’esperienza. L’obiettivo diventa cioè quello di esplorare le allucinazioni – come, potenzialmente, qualsiasi altro fenomeno psicopatologico – in rapporto ad alterazioni più sottili a carico delle strutture primarie della soggettività, che vanno a minare il modo stesso in cui il soggetto costruisce la sua esperienza (alterazioni che concernono l’esperienza di sè, del proprio corpo, delle altre persone e del mondo). In definitiva, si apre allo studio delle relazioni tra le singole forme psicopatologiche – per come esse vengono osservate e descritte nella realtà clinica – e le strutture di base da cui emergono, quelle su cui l’intera esperienza soggettiva si costruisce, origina e prende forma. Si entra qui nel vasto campo dei disturbi del Sè – argomento già ampiamente trattato, a proposito delle allucinazioni schizofreniche, in uno dei nostri precedenti lavori (Naim e Aragona, 2021). Questa indagine, di impronta più strettamente fenomenologica, può essere il punto di partenza di successivi studi.
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