di Raffaele Avico
Edward De Bono, psicologo maltese, da anni lavora in ambito di psicologia individuale e del lavoro promuovendo il concetto di “pensiero laterale”, che ritiene utilissimo per favorire il problem solving, il momento cioè di “risoluzione di un problema”, in qualunque forma o ambito questo si presenti.
I suoi concetti e suoi lavori vengono spesso usati in ambito di strategia aziendale, per risolvere problemi gestionali o immaginare nuove forme e prassi di lavoro, più creative.
Nel suo “Il pensiero laterale”, uscito nel 1969, lo psicologo pone le basi per una corrente della psicologia del lavoro che si struttura intorno al concetto di “pensiero laterale”, appunto, intendendo questo modo di pensare come opposto al tipo di pensiero che Bono invece definisce “verticale”.
In linea con questo, De Bono parla di due tipologie di persone, i “lateralisti” (che usano in prevalenza il pensiero laterale, appunto) e i “verticalisti”, più inclini a usare forme canoniche di pensiero, rigorose e logiche.
De Bono intendeva in questo libro presentare al mondo i suoi studi a riguardo delle modalità “laterali” di affrontare un determinato problema, ovvero cercando di usare un pensiero pre-logico che procede non in modo sequenziale, ma effettuando scarti laterali e balzi in avanti.
Dal suo punto di vista, occorreva che le persone imparassero a famigliarizzare con questo modo di pensare, e per farlo scrisse l’intero libro usando una struttura originale: non si tratta infatti di un libro solamente teorico, ma di un vero manuale esperienziale che ci introduce al pensiero laterale guidandoci attraverso esperimenti e giochi psicologici.
Nei primi capitoli, infatti (il libro è molto corto), De Bono illustra come una figura geometrica complessa possa essere suddivisa in più figure di minore misura, arrivando a scomporla in più parti uguali. Procedendo, l’autore critica la sua stessa metodologia, affermando che usare l’unità di misura con cui ha scomposto l’immagine iniziale, è stata un’operazione totalmente arbitraria: riprocede a scomporre la figura quindi usando un’altra unità di misura di forma differente.
In questo modo, De Bono ci vuole insegnare che spesso usiamo forme pre-costituite e comode per inquadrare un problema complesso: ci invita quindi a rivedere le nostre stesse idee “dominanti”, dopo averle isolate.
Il primo passo per sviluppare famigliarità con il pensiero laterale, è infatti quello di isolare e combattere le ricorrenze e le idee forti, che rischiano di farci perdere preziose occasioni creative.
FAVORIRE IL PENSIERO LATERALE
Il pensiero laterale, De Bono spiega, vuole spazio e mancanza di forma per potersi esprimere.
Deve quindi trovare il giusto spazio di incubazione, al di là delle regole strette delle scadenze e del linguaggio stesso. Su questo punto l’autore sottolinea che spesso il nominare un’idea, o una cosa, la ferma, fissandola, nel tempo. Questo a un “lateralista” non deve accadere. Accedere al pensiero laterale richiede passività e attenzione insieme. Occorre rimanere in attesa con occhio vigile, permanendo nel “vuoto” (assenza di forma), fino a che qualcosa accada. Un po’ come quando si pesca.
In questo modo, De Bono specifica, si otterranno spunti di riflessione che consentiranno alla mente di vedere la stessa cosa con occhio differente (come succede per l’umorismo, quando una stessa scena viene improvvisamente illuminata da una luce diversa) e trovando nuovi spunti creativi.
SAPERE ATTENDERE L’EMERGERE DI UNA NUOVA PROSPETTIVA
Continuando nella sua apologia del caos (e degli spunti che da esso arrivano alla mente), De Bono compie innumerevoli esempi di scoperte scientifiche fatte in modo totalmente casuale, oppure non voluto, magari facendo esperimenti a riguardo di qualcos’altro. In questo modo vennero scoperti molteplici effetti di farmaci, o comportamenti biologici che diedero l’impulso a importanti scoperte scientifiche.
Questo ci dimostra che per fare affiorare nuovi pattern di pensiero, occorre predisporsi ad ascoltare ed attendere che, dal caos, emerga una nuova prospettiva.
L’autore chiarisce con un esempio: pensare in modo verticale equivale ad attaccare, una dopo l’altra, un certo numero di graffette, fino a farne una catena. Pensare in modo laterale, al contrario, vuol dire aprire leggermente ognuna di quelle graffette, metterle in una bacinella e scuoterla fino a che, dal caos, non emergano nuove forme di legame.
VERTICALE E LATERALE INSIEME
De Bono invita il lettore, infine, a sganciarsi dall’idea che le buone scoperte debbano essere figlie di rigidità e precisione, spingendolo ad addentrarsi nel territorio sconosciuto (oggi più che mai) dell’attesa, della pazienza e dell’osservazione del caos interiore, assicurandoci che da questa attesa verranno risultati migliori. Le nuove forme, frutto del pensiero laterale, potranno poi essere realizzate e organizzate, secondariamente, da un’attitudine più “verticale”: per questo De Bono conclude il suo lavoro ragionando sulla necessità che sui luoghi di lavorano debbano essere presenti entrambe le modalità (laterale e verticale), l’una necessaria perchè complementare all’altra.