Il trauma ha due misure: trauma piccolo (t) e trauma grande (T), che corrispondono a due tipologie diverse di evento traumatico: il primo più endemico e ricorrente nella vita dell’individuo, il secondo più irruento e unico, allo stesso modo devastante. Come esempi di trauma piccolo, possiamo pensare al crescere in una ambiente altamente ostile o traumatico in seno a una famiglia con problemi di alcolismo, o in balìa di un genitore con problemi psichiatrici. Per quanto riguarda invece il trauma grande, pensiamo a a un grosso incidente automobilistico, a un assalto, a una rapina, o a una violenza sessuale: eventi singoli e devastanti per la vita dell’individuo.
In che modo questi traumi riescono a sopravvivere al passaggio del tempo, divenendo traumi transgenerazionali, trasmessi da genitore a figlio? Per comprendere questo meccanismo dobbiamo fornirci di alcune nozioni a proposito del concetto di epigenetica.
Nel video sopra riportato, molto chiaro e di semplice comprensione, viene fornita un’idea di base su cosa sia l’epigenetica; banalizzando, possiamo intendere l’epigenetica come l’insieme delle regole che determina il modo in cui il genoma (che rimane invariato) viene espresso e trasmesso. L’epigenetica determina differenze sostanziali tra gemelli omozigoti (che hanno lo stesso identico genoma), per fare un esempio, ed è la prova del segno dell’ambiente sul corpo anche a livello cellulare.
Gli studi a proposito dell’epigenetica hanno ovviamente delle sovrapposizioni concettuali con gli studi sulla trasmissibilità del trauma, aprendo domande a riguardo di quanto l’individuo sia “segnato” alla nascita da un trauma psichico subìto, per esempio, dai propri genitori.
Nel 1944 la Germania sottopose l’Olanda a un taglio dei beni di prima necessità alimentare, come arma di offesa; si aprì un periodo di carestia i cui effetti non tardarono a manifestarsi sullo stato di salute della popolazione: fu in seguito notato che gli effetti fisici della denutrizione tendevano a estendersi anche alla generazione successiva, interrogando gli studiosi del fenomeno sulla durevolezza degli effetti di un trauma sul corpo in termini generazionali (qui un articolo di approfondimento sulla questione).
Rachel Yehuda è una delle esperte di PTSD più conosciute al mondo; suoi sono alcuni studi che tentano di valutare il grado dell’impatto in senso epigenetico di uno o più traumi sull’individuo: in questo articolo del 2018, mette in guardia da facili conclusioni e da un facile “titolismo” divulgativo poco giustificabile in senso scientifico.
Il rischio, in questo articolo viene espresso molto bene, è che si pecchi di riduzionismo, escludendo l’ambiente “relazionale” vissuto dal soggetto dalla nascita, anche in presenza di genitori precedentemente traumatizzati. La stampa sarebbe in altre parole attratta dal facile scoop mediatico del trauma che “segnerebbe” in modo deterministico anche la prole dei soggetti affetti da PTSD o PTSDc. Questa tabella, una review sui più importanti studi esistenti a proposito degli effetti transgenerazionali di un trauma psichico, evidenzia quanto il campo d’indagine sia aperto e le domande non ancora chiuse.
Yehuda conclude:
Sul prestigioso World Psychiatry, sempre Yehuda esplora la questione in questo articolo (a riguardo di questo argomento, probabilmente la fonte più autorevole e recente, presente in Rete al momento), mettendo in dubbio la possibilità di un solo meccanismo (epigenetico) alla base della trasmissione del trauma. Nell’articolo viene discussa la possibilità di un’interferenza del trauma sulla conformazione delle cellule riproduttive (ovociti e spermatozoi) che verrebbe trasmessa alle generazioni seguenti, con però perplessità e cautela:
Yehuda considera inoltre il “danno” prodotto dall’esposizione del feto o del bambino nato in seno a una coppia di genitori traumatizzati, a un ambiente “avverso”. Il danno non verrebbe quindi trasmesso per via epigenetica, ma per via “relazionale”, crescendo il bambino (o formandosi addirittura il feto in utero), in una ambiente in cui aleggino le conseguenze di un trauma. Cose che la psicoanalisi, tra l’altro, sostiene da molto tempo. Conclude:
La questione rimane tuttavia controversa, visto che altri studi sembrano portare a conclusioni diverse.
La stessa Yehuda, insieme ad altri autori, qualche anno prima (2016), qui sosteneva di aver evidenziato per la prima volta l’esistenza di un’alterazione epigenetica transgenerazionale in un campione composto da sopravvissuti all’olocausto e dai loro figli. Esistono anche, al momento, evidenze su quanto il riverbero di un trauma di generazione in generazione possa essere interrotto, come approfondito in questo articolo pubblicato su Biological Psychiatry.
È sempre più evidente d’altronde quanto l’ambiente impatti sul corpo.
Gli articolo sopra citati si affiancano a un filone di studi inerente lo stile materno di cure. Già nel 1997, su Science uscì uno studio “fondamentale” che metteva in correlazione lo stile di accudimento della madre-topo, e il futuro sviluppo della prole, con risultati chiari. La costanza nel grooming, e una stile di accudimento fondato sul “contatto corporeo”, predicevano un più alto livello di protezione allo stress nei figli. Il che, ancora una volta, ci dice come l’ambiente possa impattare a livello biologico sull’individuo: l’epigenetica vuole studiarne i meccanismi biologici di fondo.
Come si legge in questo articolo (scritto in italiano) generale sull’epigenetica, molteplici evidenze stanno mettendo in risalto come l’influsso ansiolitico di uno stile sicuro di attaccamento (con una madre attenta e corporalmente affettiva) possa produrre ricadute in termini biologici sulla vita delle cellule, per via di un processo biologico chiamato metilazione del DNA, che in effetti rappresenta uno dei punti centrali di ciò che si intende per “epigenetica”. In estrema sintesi, il processo di metilazione del DNA è influenzato dalle esperienze educative e in generale dall’ambiente, con tempistiche diverse a seconda della fase della vita. Nell’articolo viene tra le altre cose discusso come l’impatto epigenetico di una separazione per adozione avvenuta in età precoce (il distacco dalla madre biologica) possa richiedere maggiori e più intense cure, nel futuro del bambino adottato, per poter “riassettare” il panorama epigenetico dell’individuo, al fine di liberarsi di quell’eredita epigenetica pregressa.
Le conseguenze di queste ricerche e scoperte potranno sembrare in un certo senso fantascientifiche, ma è possibile che in futuro possa essere pensabile intervenire sul processo di metilazione del DNA, e in qualche modo cancellare lasciti ingombranti in senso biologico sul genoma individuale.
Per concludere, è possibile pensare la “trasmissione” del trauma come veicolata da due livelli sovrapposti:
- sul “fondo”, particolari segni biologici generati dall’impatto del trauma sulla vita dei genitori, potrebbero essere passati per via genetica alla vita dei figli
- in “superficie”, è possibile che il trauma si trasmetta per vie diverse, cioè per “educazione”. Un genitore con PTSD, educherà il figlio in modo diverso da un genitore senza PTSD
Le due modalità esistono entrambe: è per ora difficile quantificare quanto sia forte l’impatto di una di queste nei confronti dell’altra, e con quale prevalenza, il che rimanda all’antica questione sul primato biologico contrapposto al primato educativo, questione non ancora evidentemente risolta, ma con buone prospettive di chiarimenti futuri:
La mamma topo alza lo sguardo e dice: “Ehi voi, geni, spiegatemi come mai mio figlio è in questo cattivo stato!”
“Cattiva eredità”, dice Darwin.
“Cattiva educazione”, dice Freud.