PREMESSA: riportiamo per intero un articolo apparso recentemente su Il Post, a proposito di una forma peculiare di disturbo post-traumatico, il “trauma indotto da perpetrazione“, sofferto per lo più da lavoratori inseriti nella filiera della grande distribuzione di carne, impiegati tutto il giorno nell’uccisione di animali. Il disturbo è peculiare e non così nuovo (l’articolo citato dal Post che per primo lo “introduce”, risale al 2002). Avevamo scritto in precedenza su questo blog a proposito del moral injury, l’auto-traumatizzazione generata dal calpestare valori morali profondamente radicati: questo tipo peculiare di disturbo sembra accostarcisi, essendo che l’individuo è in qualche modo attivamente coinvolto nel processo di traumatizzazione. (R.A.)
L’articolo originale è qui. Qui di seguito lo riportiamo.
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La produzione mondiale di carne è aumentata di oltre tre volte rispetto alla metà degli anni Settanta. Da allora è molto cambiato anche il modo in cui viene prodotta: è aumentata la distanza tra chi la mangia e chi, lontano da loro, si occupa di macellarla. In questo secondo gruppo ci sono persone che subiscono traumi psicologici anche molto gravi, perché esposte ogni giorno alla violenza di trattamenti spesso disumani sugli animali negli allevamenti intensivi.
Gli stimoli particolari a cui sono sottoposte le persone incaricate di controllare le varie fasi della macellazione industriale sono una delle possibili cause di un disturbo psicologico noto e studiato: il trauma indotto dalla perpetrazione (o PITS, acronimo di perpetration-induced traumatic stress). È un argomento oggetto di diversi racconti diretti ma di cui si tende in generale a parlare poco, per via delle reticenze dell’industria della carne e della riluttanza delle aziende a condividere dati e informazioni.
Definito nel 2002 dalla psicologa statunitense Rachel MacNair, è un sottotipo di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) in cui il trauma deriva dalla partecipazione attiva a una violenza anziché dall’esserne vittime o testimoni. I sintomi sono gli stessi: insonnia, flashback, ricordi intrusivi, ansia, depressione. È diffuso principalmente tra i militari e le forze dell’ordine, ma in generale il rischio di soffrirne è maggiore in qualsiasi ambiente in cui causare morte sia socialmente accettato e normale, come i macelli.
In un articolo recente il giornalista di Vox Kenny Torrella ha citato il caso di un uomo, Tom, a cui fu diagnosticato il trauma indotto dalla perpetrazione, dopo aver lavorato per anni nell’industria della carne in diversi paesi in Europa. Uno dei suoi compiti lungo la catena di produzione era scuoiare la mucche da macello dopo che erano state stordite e appese. Ma a volte lo stordimento non funzionava correttamente.
Una volta gli capitò di dover scuoiare una mucca che stava partorendo ed era arrivata ancora cosciente alla fase della macellazione di cui lui era responsabile. Non poté arrestare il processo per assicurarsi che venisse uccisa correttamente (il vitello non sopravvisse). Secondo Tom, che ha detto che all’epoca faceva uso di sostanze dopo il lavoro e nei weekend, è «molto difficile assistere all’uccisione degli animali», ma alla fine ci si fa l’abitudine.
L’industria della macellazione della carne è un settore con un numero alto ma probabilmente sottostimato di infortuni sul lavoro. Oltre a quelli causati da incidenti, molti sono dovuti in generale alla velocità delle linee di produzione negli stabilimenti, che possono portare a lesioni da movimenti ripetitivi. I traumi psicologici sono ancora più difficili da stimare, e non sono conteggiati nelle statistiche sugli infortuni. Di conseguenza anche gli studi di psicologia sono pochi, perché i ricercatori non hanno a disposizione dati specifici condivisi dalle aziende.
Diversi sondaggi condotti tra i lavoratori del settore mostrano però livelli di ansia, depressione e aggressività più alti rispetto ad altri settori e rispetto alla popolazione generale. Sulla base di questi dati è possibile ipotizzare che anche il trauma indotto dalla perpetrazione sia un disturbo relativamente diffuso.
L’esposizione ai traumi riguarda anche professionisti non direttamente coinvolti nella produzione negli stabilimenti, come per esempio gli ispettori. Uno di loro, David Magna, attivista vegano ed ex ispettore dei macelli per il governo canadese, ha raccontato a Vox i suoi problemi di salute mentale. Qualche anno fa ha ricevuto una diagnosi di PTSD e di disturbo bipolare: ha frequenti flashback, incubi e pensieri suicidi.
Per un periodo si occupò dell’industria del pollame: uno dei suoi compiti era rimanere in piedi alle spalle dei dipendenti per ispezionare le loro attività lungo la catena di produzione, che lavorava circa 180 polli al minuto. A volte centinaia di polli arrivavano morti dopo essere rimasti per troppo tempo esposti al caldo o al freddo durante il trasporto dall’allevamento intensivo.
In seguito Magna lavorò per anni ai rapporti sulle violazioni delle leggi a protezione degli animali negli stabilimenti dell’industria della carne. In un rapporto apprese il caso di un camion che trasportava mucche verso un macello, tra cui una che aveva partorito in viaggio un vitello poi morto schiacciato per l’affollamento di mucche nel rimorchio. Magna ha detto che, nonostante l’impegno, il suo lavoro gli procurava grandi frustrazioni: i regolamenti erano deboli, i trasgressori rischiavano perlopiù qualche multa, e i suoi superiori non prendevano sul serio le sue preoccupazioni.
È un problema peraltro destinato ad aumentare nel tempo, visto che secondo le previsioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) il consumo e quindi la domanda mondiale di carne continueranno a crescere.
Nel 2023 la rivista scientifica AMA Journal of Ethics dedicò un numero intero all’impatto delle pratiche dell’industria della carne sulla salute pubblica e sull’ambiente. MacNair, autrice di uno degli articoli, descrisse la complicità della società come un fattore rilevante nella diffusione dei disturbi psicologici. Scrisse che «la domanda pubblica di carne crea un’esposizione continua, presente e futura ai traumi»: traumi che secondo lei e altri non vengono eliminati dalla società, ma semplicemente appaltati a minoranze della popolazione.
A subire maggiori danni fisici e psicologici è spesso la popolazione con minori opportunità economiche: migranti e rifugiati, che sono una parte consistente dei lavoratori del settore dell’industria della carne. Questa è peraltro una delle ragioni per cui mancano dati sugli infortuni: chi li subisce tende a non denunciarli perché teme di mettere a rischio il suo lavoro e il suo sostentamento.
Lo sfruttamento delle comunità a basso reddito riguarda anche i territori in cui vivono, spesso scelti per l’agricoltura e per la costruzione degli allevamenti intensivi. La promessa di una probabile crescita economica è infatti una delle ragioni per cui gli abitanti di quelle aree sono più disposti ad accettare i disagi dovuti ai costanti cattivi odori e all’inquinamento dell’aria e dell’acqua.
Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile dal menù a tendina #TRAUMA.