di Raffaele Avico
Nel suo “la guerra di tutti”, Raffaele Alberto Ventura tenta una lettura “totale” del presente, integrata, mettendo in campo più aspetti, cosa che già aveva fatto con La Teoria della Classe Disagiata per descrivere il “problema millennials”: in quest’opera prima aveva descritto la classe media come incagliata in un doppio legame impossibile da sciogliere se non tramite un’auto-estinzione “morbida”: troppo ricca per poter considerare realmente un declassamento (la classe media, appunto), troppo povera per raggiungere le aspirazioni iniziali, di fatto destinata, appunto, a un’auto-estinzione demograficamente già in atto, almeno in Italia. Ventura, ora, tenta di fornirci una cornice simbolica più larga, utile a spiegare come mai il rischio sia quello di precipitare in una guerra di “tutti contro tutti”, senza più punti di riferimento su più piani (politico e culturale). Ventura si confronta con una realtà complessa e il tentativo di fornire una chiavi di lettura o anche solo una “big picture” rende La guerra di tutti un libro a suo modo “terapeutico”, o in ogni caso utile a chi voglia comprendere più a fondo il mondo che vive, nell’idea che possa essergli utile singolarmente come individuo.
Alcuni punti esposti nel libro sono particolarmente interessanti:
- come esposto anche in questa intervista a radio Rai 3, catarsi può anche voler dire mimesi, soprattutto quando si parla di arte. Ventura parla di una generale sottovalutazione dell’impatto dei “segni” nella nostra società. Rappresentare un qualcosa, spettacolarizzarlo, potrebbe essere catartico, ok, ma potrebbe anche produrre comportamenti di “mimesi”, cioè di involontaria adesione a un certo modo di vedere la realtà o di pensarla: per raccontare questo Ventura usa il problema fake-news e la spettacolarizzazione della violenza tramite l’uso di social network: un uso dei “segni”, insomma, di fatto potenzialmente nocivo, in grado di “toccare” il cittadino che vi si imbatta, alimentando escalation di aggressività o paranoia. Nell’intervista prima citata Ventura descrive il problema del “confine permeabile” tra spettacolo e reale, intorno al quale spesso notiamo movimenti osmotici (il reale che entra nello spettacolo, come la politica -spettacolarizzata-, ma anche lo spettacolo che entra nel reale -pensiamo agli effetti del cyberbullismo o al proliferare di idee definibili “deliroidi” tramite fake news e cattiva informazione -complottismi, regressioni a posizioni pre-scientifiche, etc.)
- Ventura usa la piramide dei bisogni di Maslow per ragionare su quanto in effetti il problema di oggi non necessariamente coincida con l’accesso alle risorse “di base”. Il problema della classe media (perchè in ultima analisi è questa, credo, il target/lettore di Ventura), andrebbe ricercato in un bisogno insoddisfatto di riconoscimento in termini di posizione sociale e “amor proprio”: l’autore descrive la “guerra di tutti” come una guerra scaturita da un bisogno di riconoscimento simbolico insoddisfatto, ancor più potente, in termini di “sofferenza” prodotta, di un eventuale limitato accesso alle risorse “di base”. In un certo senso, è come se (e questa tesi già la argomentava nel suo libro precedente), con il frigo pieno, il problema di “affermazione” della classe media si fosse elevato a un ordine superiore, divenendo un problema di riconoscimento di “status”, ora mediato dell’accumulo di quelli che Ventura chiama “beni posizionali” (sempre più prestigiosi titoli di studio, master accumulati, esperienze in grado di “sancire” l’appartenenza a una certa fascia sociale, etc.)
- con “guerra di tutti”, Ventura definisce lo “stato di natura” teorizzato da Thomas Hobbes, ovvero uno stato di conflitto “tutti contro tutti” con la politica e la società stessa aventi la funzione di “freno” (permanente e costantemente da ricalibrare). La società, Ventura scrive, ha da sempre avuto la funzione di governare, sublimandola, questa guerra totale. Al momento attuale la situazione è, a quanto sembra, quella di un temporaneo spaesamento di intere fasce della popolazione, delegittimate nei propri sogni traditi e soprattutto non riconosciute, rappresentate da una classe politica funzionante insieme in modo catartico (sfogando paura e xenofobia) ma anche in modo tale da aizzare quelle stesse paure, alimentandole (si veda questa intervista). Ventura parla del Movimento 5 stelle come dell’”ariete” arrivato a sovvertire il sistema (riferendosi, per esempio, al Vaffanculo Day), e della Lega di Salvini giunta a riempire il vuoto creatosi, di fatto entrambi portavoce dello stesso bisogno -espresso in modo più o meno consapevole da un enorme bacino di persone-, di essere rappresentati e riconosciuti, come in un gioco di specchi.
- la rabbia eccessiva richiede proiezioni esterne, il creare dei nemici (immaginari o meno) contro cui sfogarla e grazie ai quali “triggerarla”: Ventura descrive una progressiva paranoicizzazione della società italiana, sul modello di quella americana, storicamente orientata a trovare nemici altrove, esterni a sé. Il problema di fondo, tuttavia, rimarrebbe dal suo punto di vista il senso di “disagio” generazionale e di delusione per una crescita economica che si sperava eterna, costante, di fatto oggi rivelatasi impossibile, non più sufficiente a fornire un parametro con il quale misurare una propria “identità sociale”.
Il libro di Raffaele Alberto Ventura è stato tacciato di pessimismo o negativismo: insieme al precedente Teoria della Classe Disagiata (del quale si configura come ideale proseguo o “secondo volume”) è invece un tentativo di “allargare il campo” di pensiero, complessificando il problema dell’oggi senza giungere a una reale soluzione per fuoriuscirne (cosa che spesso gli si chiede: di fornire una risposta). L’obiettivo sembra quello, qui, di “decostruire”, più che non di fornire risposte, tentando insieme di montare una “cornice di significato” che possa rendere più comprensibile un presente difficile da interpretare e velocissimo, trainato dal progresso tecnologico, con la classe politica “ a seguire”. Catartico come uno specchio.