di Raffaele Avico
Abbiamo qui sul Foglio Psichiatrico approfondito alcuni aspetti del problema degli attacchi di panico.
L’attacco di panico potrebbe essere definito in modo generico come un attacco di “ansia parossistica”, dove per parossistica intendiamo “estrema”, “estremamente intensa”, “esasperata”.
Un attacco di panico, per essere tale, deve avere una durata limitata nel tempo, non superiore ai 10 minuti. Si presenta accompagnato da sintomi fisici molto marcati e riconoscibili (palpitazione, irrequietezza crescente che diventa intollerabile, accelerazione del respiro) e da una sensazione di perdita di controllo sulla propria stabilità psichica, come si dovesse impazzire, o collassare, o morire.
L’attacco di panico viene quasi sempre vissuto in modo traumatico, e rimane per lungo tempo nella memoria di chi lo abbia sperimentato, rendendolo/a sospettoso e “guardingo” a riguardo di tutto ciò che lo possa innescare o annunciare.
Il diagramma di flusso che potrebbe genericamente riassumere il crearsi di un disturbo di panico (quindi non solo l’attacco stesso, ma tutto ciò che ne consegue dopo), è:
- per cause da indagare (ma a volte in modo casuale) viene sperimentato per la prima volta il panico
- il ricordo del panico rimane vivido nella mente del soggetto: il soggetto fuoriesce dall’attacco di panico estremamente spaventato
- si innesta un comportamento di controllo su due piani: il piano dei contenuti di pensiero, e il piano dei sintomi fisici
- il soggetto diventa un attentissimo osservatore dei suoi stessi contenuti di pensiero, e dello stato interno del suo corpo; la consapevolezza a riguardo di ciò che succede “dentro” e “nel corpo” subisce una forte accelerata, rendendo l’individuo altamente sensibile al tema, facilmente suscettibile quando se ne parli,”triggerato” (cioè “attivato”) da qualsiasi indizio possa rievocare, anche alla lontana, il problema dell’attacco di panico stesso
- il soggetto mette in atto comportamenti di controllo ed evitamento: tenterà cioè di controllare il flusso del suo stesso pensiero, cercando di normalizzarlo, e allo stesso tempo il procedere fisiologico del suo corpo, sempre allertato a riguardo dell’emergere di possibili “indizi di pericolo”
- l’evitamento, allontana l’individuo da luoghi/persone/atmosfere o esperienze
- il controllo, irrigidisce il soggetto su una posizione di “preoccupazione” costante; inoltre, è frequentemente sperimentato un senso di “distacco” dal momento presente, all’emergere dell’allarme: il soggetto è assorbito dal rash di allarme, accede al mondo dei pensieri, si focalizza sul funzionamento del suo corpo tentando di bloccarne ogni deviazione dalla norma; di fatto viene tentato un controllo sul sistema nervoso autonomo, impossibile per definizione
- il controllo ossessivo risulta fallimentare, alimentato da una sovra-interpretazione di ogni singolo micro-segnale dal corpo ricondotto al tema “panico”: aumenta così l’ansia, verso nuovo panico
Come si osserva spesso, un vero attacco di panico è presente magari una o due volte nella vita di un soggetto: tutto il “dopo”, sarà il disturbo, la paura che il panico stesso si ripresenti.
Il tema del controllo, come si nota, è qui centrale.
Ne abbiamo già scritto qui, intervistando Andrea Vallarino a proposito del “controllo che fa perdere il controllo”: Vallarino chiarisce molto bene (nel video che riportiamo sotto) come il tema sia quello di contrastare il controllo, di fatto “ammorbidendo” la potenza espressa nell’individuo nell’osservarsi.
Rendiamoci conto che il problema del panico è un problema mantenuto da un sovrapporsi progressivo di distorsioni cognitive: è, di fatto, un problema originatosi per via cognitiva.
Leggere un problema di questo tipo attraverso le emozioni non ha senso se non entro due aspetti:
- a riguardo della paura sperimentata
- a riguardo di ciò che “scatenò” il primo attacco, nel caso in cui se ne volessero indagare i retroscena, che tuttavia a volte sono casuali, non sempre sviscerabili; in ogni caso non serve necessariamente, come altrove abbiamo scritto, capire il “perchè”: in questi casi è più importante capire il “come” questo problema viene mantenuto
Il problema del controllo è purtroppo rintracciabile in altre situazioni.
L’impressione è che vi siano più livelli di pensiero, sovrapposti: un primo livello, “naturale”, con cui l’individuo riflette e pensa secondo il suo proprio stile, così come ha sempre fatto; un secondo livello, sovrastrutturale, allo stesso tempo in grado di operare un controllo feroce sulla forma del pensiero del primo livello, operando un giudizio di valore sulla qualità di quest’ultimo.
A seconda poi del responso formulato in seguito a questa operazioni di controllo e giudizio, l’individuo potrà sperimentare un aumento o un rilascio della tensione.
In ogni caso, il controllo manifesta il suo potenziale “distruttivo” quando riesce a interferire con meccanismi fisiologici che necessiterebbero di spontaneità e “istinto”, come durante un atto sessuale.
Osserviamo in questi casi quanto il subentro del controllo (come il voler controllare la tenuta di un’erezione durante un atto sessuale) riesca in realtà a produrre cali di performance, spegnimento del desiderio, impossibilità di vivere il momento presente.
Oppure, viene spesso fatto notare come per un insonne, il voler controllare il momento dell’addormentamento sia in grado di interferire sul naturale “scivolare” nel sonno stesso da parte del “controllore”, a conferma di come l’accanirsi della nostra volontà di controllo su processi fisiologici regolati da meccanismi “autonomi” rischi quasi sempre di peggiorare la situazione.
Tornando al tema degli attacchi di panico, è più che probabile che il raggiungere una posizione di “accettazione” di ciò che succede dentro la mente e nel corpo, lasciando per così dire che il corpo e la mente si “esprimano” come devono, conduca l’individuo a liberarsi dal problema.
Il risolvere un problema del genere, infine, viene spesso percepito dal soggetto come una “liberazione”, come se la “sovrastruttura” di pensieri prima citata venisse implicitamente considerata un parassita “esterno”, alieno a sè, oppure una gabbia in qualche modo auto-eretta nel tempo.
Sempre sul panico, per approfondire, si veda questo articolo.