di Raffaele Avico
Il disturbo ossessivo compulsivo, storicamente preso in carico esclusivamente dagli psicoanalisti, oggi è trattato usando modalità più complessificate e attraverso il ricorso a farmaci deossessivizzanti.
La psichiatria, lungo il suo corso, ha assorbito e metabolizzato molteplici apporti teorici provenienti da scuole di pensiero diverse a riguardo di questo pesante disturbo, arrivando, come succede anche per altri tipi di problematiche mediche, a un approccio multidisciplinare e integrato (psichiatra insieme a psicoterapeuta).
La gravità dell’OCD varia dai casi limite a base maggiormente organica (squilibri neurobiologici che vengono trattati quasi esclusivamente attraverso la farmacoterapia), fino ad arrivare alle forme “sfumate” del disturbo, che colpiscono moltissime persone (pensiamo per esempio al timore di non aver chiuso la porta di casa, o la macchina, o al senso di “non aver finito” una determinata cosa -“not just right experience”) e che rispondono anche a un trattamento esclusivamente psicoterapico.
La struttura centrale del disturbo è la stessa, ma l’entità della sua gravità varia, e soprattutto varia la sua forma, in termini di tipologia di compulsione, e in particolare:
- i “checkers” sentono l’impulso irrefrenabile di controllare (to check) che “qualcosa” sia chiuso/bloccato: eseguire quella chiusura o quel gesto rituale, spazza via mentalmente la sensazione che qualcosa non sia finito o non chiuso (la prima citata “not just right experience”)
- i “washers” compulsivamente (si) lavano o puliscono, raggiungendo una certa soglia di senso di pulizia e igiene, fugando il timore di essere contaminati o non perfettamente puliti
- gli “orders”, per ripulire la mente dai pensieri ossessivi, creano intorno a sé un ambiente perfetto, usando simmetria e rigore
- i “repeaters” o i “thinking ritualizers” scacciano via i pensieri ossessivi ripetendo un gesto o un’azione, anche mentale (contare fino a 10, ripetere delle parole o dei mantra), fino al punto in cui sia raggiunto uno stato di tranquillità percepita
- gli “hoarders”, o “accumulatori”, rappresentano una categoria laterale dei pazienti con disturbo DOC (qui un articolo che approfondisce la questione:)
Le cause non sono totalmente note, la psichiatria biologica presume ci possa essere uno scompenso nel milieu neurotrasmettitoriale (in particolare in riferimento al livello di serotonina), e un comportamento difettoso entro alcuni circuiti che collegano zone antiche del cervello a zone più recenti (qui l’approfondimento); la teoria psicoanalitica dà altre spiegazioni, la psicoterapia a matrice cognitivista ancora altre.
Quello che si osserva in occasione di una “crisi” di DOC (rush ossessivo) è l’innalzarsi, a seguito della comparsa di un pensiero ossessivo, del livello di ansia e di timore esperito soggettivamente, che viene “placato” con il ricorso alla compulsione, che riporta la mente a un livello di funzionamento normale.
Per fare un esempio: un pensiero ossessivo relativamente comune (e che quindi non corrisponde a un desiderio reale) è quello di agire violenza (anche sessuale) su persone care (bambini, famigliari): il pensiero emerge come improvviso e procura un senso di timore e allarme (in seguito a una valutazione che il soggetto fa nei confronti del suo stesso pensiero): la curva dell’arousal (il livello di attivazione neurofisiologica dell’organismo) sale fino a raggiungere picchi insostenibili per il soggetto, che deve tentare, in tutti i modi, di placare il suo malessere: da qui le compulsioni.
É da notare che questo stato mentale di confusione e paura proviene da un timore che il pensiero possa essere foriero di passaggio all’atto, ovvero, che ci possa essere una sorta di sovrapposizione e identificazione tra il pensiero e l’azione descritta dal pensiero stesso (per esempio la paura di essere ladro solo perchè si pensa di rubare, il timore di coltivare desideri violenti se si pensa anche solo per un attimo di picchiare o uccidere qualcuno: qui un breve approfondimento sulla “fusione pensiero-azione”)
Si osserva poi un fenomeno successivo per cui le compulsioni assumono forma di oggetto di dipendenza, e quand’anche il soggetto sperimentasse uno stato di relativa tranquillità con la mente vuota, “qualcosa”, in assenza del pensiero ossessivo, sembrerebbe mancare: da qui il ritorno al pensiero fisso, che viene come ricercato, a metà tra il desiderio e la coazione.
Le cause, come si diceva, non sono completamente note; alcune teorie tuttavia sono più accreditate di altre: si tende a credere esista una forte componente biologica: per questo in prima linea l’approccio è farmacologico; se in presenza di sintomi troppo invalidanti vengono usati farmaci serotoninergici ad azione deossessivizzante, prescritti da uno psichiatra che conosca nel dettaglio la storia clinica del paziente.
A riguardo della terapia farmacologica del DOC, si veda questo articolo di Luca Proietti.
In ambito psicodinamico/psicoanalitico, il lavoro è mirato a una comprensione del significato che l’ossessione riveste per il soggetto. Non dunque l’origine, ma il significato dell’ossessione stessa.
Nel bellissimo romanzo di Yalom “Le lacrime di Nietzsche”, viene descritta in modo romanzato la vicenda di un rapporto di cura tra Breuer (mentore di Freud) e il celebre filosofo. Uno dei temi affrontati è l’ossessione di Breuer per una giovane paziente, presente a tal punto da divenire invalidante e pericolosa per la vita del celebre medico, che verrà nel proseguire della storia smontata, contestualizzata e ri-significata da Nietzsche, in un interessante dialogo clinico, realistico seppur d’invenzione.
É interessante notare come per Breuer la giovane paziente fosse diventata nel tempo il simbolo di una speranza di vita e di appagamento di potenti bisogni, inespressi altrove, che aveva fatto di Bertha (la giovane paziente) una sorta di pretesto per l’immobilismo del celebre medico, bloccato nel suo percorso di evoluzione umana. Inoltre, il rapporto con la paziente sembrava compromesso e pervertito da emozioni di rabbia, possessione, e mistificato da un’idealizzazione della paziente stessa tale, da impedire a Breuer di compiere il necessario esame di realtà che avrebbe spogliato Bertha della sua allure “magica”, facendo decadere l’ossessione.
In ambito di psicoterapia cognitivo-comportamentale (valutata la più efficace per contrastare i disturbo) si lavora molto, ma non solo, sul tema della responsabilità e del senso morale.
Un senso di responsabilità ipertrofico, e un rigido assetto morale, producono pensieri ossessivi (alcuni studi indagarono le conseguenze di uno stile di leadership autoritario e puntiglioso sugli impiegati, che vennero osservati sviluppare comportamenti simil-ossessivi): il lavoro è quindi finalizzato ad “ammorbidire” il proprio approccio alla realtà e il proprio senso morale.
Vengono inoltri usati qui dei protocolli che de-strutturano il pensiero del paziente, osservando lo svolgimento della dinamica ossessiva nel suo nascere (a partire dall’evento scatenante, fino alla messa in atto della compulsione), per imparare a “disimpararla”.
Alcune osservazioni sul disturbo (nella sua variante più sfumata):
- il sintomo ossessivo si presenta contro la volontà del soggetto, alla sua coscienza, producendo sofferenza e disorientamento; esistono alcuni bias cognitivi, errori di pensiero che rendono la sua gestione più difficile. Come visto in precedenza, per esempio, l’idea che pensare una cosa equivalga a desiderarla (anche a causa, per alcuni soggetti, di interpretazioni sbagliate di concetti psicoanalitici ambigui e mai veramente divulgati, per cui pensare o sognare una cosa equivarrebbe a desiderarla -nel senso più letterale del termine); oppure l’idea che pensare una cosa la farà accadere
- il sintomo ossessivo, sembra in un certo senso creare dipendenza. É cioè in grado di essere richiamato alla coscienza quando assente, ed è in grado di dare senso di reward -come in una dipendenza. Questo fenomeno è di lettura molto complicata (perchè il soggetto dovrebbe “attirarsi” il pensiero intrusivo anche quando stesse vivendo un momento di libertà?) e chiama in causa aspetti appunto di dipendenza, masochistici o paradossali (ne abbiamo scritto in questa intervista a Rossella Valdrè sul concetto di masochismo).
- gli aspetti paradossali riguardano il tema del controllo; un po’ come succede per il disturbo di attacco di panico, tentare di tenere lontano dalla mente un certo pensiero, conduce al suo ripresentarsi. Parliamo dunque di un controllo che fa perdere il controllo.
- in generale la risoluzione di un DOC, o un suo alleviarsi, dovrebbe corrispondere al passaggio da una logica di conflitto, a una logica di scelta. Ovvero, occorre che il paziente acquisisca maggiori quote di controllo sul pensiero. In che modo? Una modalità può essere agire in modo contro-paradossale, scegliendo il/la paziente stesso/a di pensare a quello stesso pensiero, o di eseguire quel particolare rituale. Oppure, il senso di maggiore controllo potrebbe derivare da un lavoro sulla meta-cognizione sugli schemi di pensiero che di solito si fa in psicoterapia cognitivo-comportamentale (qua un approfondimento)
- spesso i contenuti di pensiero vengono giudicati come immorali: questo accade quando non si sia abituati a considerare il pensiero stesso come naturale, o quando appunto lo si interpreti come desiderio (se lo penso, lo desidero/lo sono); pensieri di questo tipo possono riguardare qualsiasi cosa, dall’essere pedofili a desiderare la morte per una persona cara, tanto più giudicati scandalosi quanto rigida fu -a monte- l’educazione ricevuta in senso morale. Un’educazione rigidamente cattolica è un buon terreno su cui si possono innestare disturbi di questo tipo. In questo senso il lavoro di psicoterapia sarà finalizzato a “liberalizzare” il pensiero stesso
- accettare il rischio di poter essere qualcosa, o di poter fare una certa fine, spesso allevia il conflitto interno, arrivando la persona a fare un salto logico su di un livello superiore (se anche lo fossi/lo desiderassi, non sarebbe un problema poi così grave), operando quindi quella che viene chiamata “esposizione con accettazione del rischio”
- lavarsi fisicamente, vuole essere anche un lavaggio in termini morali. Sappiamo che nel DOC il tema della reponsabilità e della colpa -e dell’indegnità- sono centrali; si veda questo articolo su Science a proposito di quello che è stato definito Effetto Lady Macbeth)
Su questo blog abbiamo svolto diversi approfondimenti sul DOC, che riportiamo qui di seguito:
- recensione di “La mente ossessiva” di Francesco Mancini
- intervista a Andrea Vallarino e Luca Proietti sulla terapia strategica del DOC
- il già citato articolo sulla farmacoterapia del DOC
- un approfondimento sul DOC in ottica strategica, visto in questo caso come un’esasperazione della razionalità
- DOC ed effetto placebo
Qui per approfondimenti (articoli di ricerca)
Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.