di Raffaele Avico
Abbiamo scritto in precedenza a riguardo del default mode, e di come in generale la mente necessiti di ambienti “dedicati” a fini associativi, per produrre narrazioni e consapevolezza, cose che contribuiscono a innalzare il livello della nostra igiene mentale che, è bene ricordarlo, si nutre di prevedibilità, organizzazione, assenza di paura e narrazioni/storie con funzione di “drive”.
In un mondo pervaso da dati continuamente disponibili, con il rischio perenne di un overflow cognitivo insalubre e foriero di stanchezza “da esaurimento”, abbiamo visto come spazi di “vuoto” possano garantire la presenza di movimenti auto-protettivi della mente, un po’ come avviene al corpo per il riposo notturno.
Come si inserisce il lavoro di psicoterapia in questo scenario? Un aspetto che non viene molto discusso (almeno in ambito di psicoterapia cognitiva, trovando però maggiori spazi di elaborazione in ambito psicodinamico) è la questione dell’identità. La psicoterapia, l’ora di colloquio, può funzionare anche -ma non solo- come una sorta di laboratorio identitario, cioè un laboratorio in cui possa esercitarsi un processo di consolidamento dell’identità dell’individuo, o di sua definizione o ridefinizione.
In che modo?
- Narrazione. Ormai non vi è più nessun dubbio a proposito di quanto le storie facciano bene al sé, rafforzando, per così dire, l’Io, e in generale contribuendo a formare l’identità di un individuo: tutto questo, spesso, attraverso un processo di identificazioni multiple e sovrapposte. L’Io stesso (una cipolla costruita di identificazione che si sono sommate*) potrebbe essere pensato come il prodotto epifenomenico finale (come un sistema operativo, una maschera) di una narrazione che noi facciamo su noi stessi, e molteplici evidenze ci suggeriscono che più questa narrazione è precisa, puntuale e organizzata, più il nostro orientamento, la nostra spinta verso la realtà, il nostro senso di padronanza, saranno alti. Crescere vuol dire identificarci a nuove storie (mutuate anche da film, libri, personaggi anche solo immaginati o fantasticati), sovrapponendole a quelle nucleari che ci segnarono dal “giorno 1” (le storie e i miti famigliari). La psicoterapia rafforza l’identità perchè conferisce forma narrativa al discorso che si fa a riguardo del proprio sintomo, e in generale a riguardo di se stessi. Tutto questo (dare un senso narrativo) già di per sé costituisce un elemento di rafforzamento e riorganizzazione, ponendosi come primo, centrale elemento di cura/terapia.
- La psicoterapia è un contesto protetto e sicuro, vuoto (in teoria), è un contenitore da usare per poter “spaziare” su di sé. Il che sarebbe molto naturale come operazione da voler fare o fare, ma non oggi: momenti del genere sono sempre più rari, e trovare una persona che ci dedichi attenzione assoluta portandoci spunti di riflessione su aspetti “nuovi” a riguardo della nostra storia, è divenuta cosa difficile da fare. In questo senso pensiamo alla psicoterapia come un laboratorio non solo di rafforzamento dell’identità, ma anche a un luogo di messa in discussione dell’identità, di smantellamento o smussatura di aspetti rigidi, e un luogo di confronto su di sé in senso meta-cognitivo (come innalzarsi su di un’altura per vedere le proprie forme dall’alto, in questo modo -si spera- trascendendole)
- Il modellamento identitario è un processo sociale ed “emozionato”, anche quando avvenga in solitaria, ovvero per via di un dialogo solo interiore. Il dialogo interiore ha potere sul nostro costrutto identitario solo quando il “tono” con cui lo eseguiremo al nostro interno, avrà un colorito emotivo, e con questo una forza intrinseca realmente trasformativa. La stessa cosa avviene in psicoterapia: al di là di quanto il percorso di psicoterapia debba essere trasformativo in senso identitario (non è questo il suo obiettivo primario, ma può diventarlo), come abbiamo scritto qui l’alleanza terapeutica rimane il primo, centrale e di fatto univoco fattore a-specifico in ogni diverso approccio psicoterapico.
Possiamo dunque immaginare uno dei servizi della psicoterapia, come un servizio pro-consolidamento identitario, immaginando la stanza dei colloqui come un vero e proprio laboratorio identitario, tanto artigianale quanto possa esserlo il laboratorio di un restauratore di antichità. L’impatto di una percorso psicoterapico ha infatti ripercussioni sottili ma pervasive e di fatto, come chiunque l’abbia vissuto potrà sottoscrivere, molto concreto.