di Raffaele Avico
Con questo articolo ci proponiamo di approfondire un tema centrale in psicotraumatologia: la stabilizzazione.
La stabilizzazione è il primo e centrale passo da farsi con un soggetto che sia colpito da sindrome post traumatica: gli o le consentirà di accedere al cuore della terapia (l’elaborazione delle memorie); in assenza di stabilizzazione dei sintomi più invalidanti, non sarà possibile accedere ai contenuti più pesanti, soprattutto per via delle ripercussioni somatiche dell’accesso alle memorie traumatiche stesse.
Il lavoro di Maria Puliatti, in questo senso è -in Italia- fondamentale. Useremo in questo articolo, come fonti, il libro La psicotraumatologia nella pratica clinica e un corso della stessa Puliatti sulla stabilizzazione. Su questo corso abbiamo fatto un podcast in area Patreon, che di fatto lo riassume, aggiungendo alcuni aspetti sempre inerenti la stabilizzazione.
La stabilizzazione dei sintomi post traumatici può essere svolta usando 3 modalità principali:
- TIPO A: approccio farmacologico
- TIPO B: approccio relazionale/interpersonale
- TIPO C: approccio autonomo/regolativo
L’approccio farmacologico è di primaria importanza nei casi più complessi (approfondito qui in area Patreon).
Per approccio relazionale, intendiamo il ricorso a espedienti totalmente interpersonali per regolare stati profondamente disturbanti: per esempio ricercare contatto fisico, cercare compagnia quando in presenza di sintomi invalidanti, e in generale qualunque cosa che contempli la presenza dell’altro. Inoltre, l’approccio relazionale va inteso anche in un secondo senso. La capacità di stabilizzarsi passa anche, per il soggetto, dalla capacità di ri-stabilire confini interpersonali appropriati. Saper mettere dei limiti alle richieste da parte di altri, sapere usare il “NO” in senso interpersonale, consente all’individuo di meglio rispettare le esigenze personali più intime in termini psicologici, aiutandosi nella regolazione dei propri sintomi. La stabilizzazione passa anche da questi aspetti: quando infatti non sia in grado di proteggere i confini interpersonali, la presenza veemente dell’altro e il rischio di calpestare i propri bisogni porterà il soggetto a sentirsi sovraccarico e affaticato, in preda a rabbia espulsiva, cosa che rende la stabilizzazione più complicata e difficoltosa.
Qui approfondiremo tuttavia l’approccio autonomo/regolativo, da “passare” al paziente in modo che possa auto-regolarsi, gestendo così la meglio i suoi sintomi.
Gli strumenti centrali di stabilizzazione di tipo C (approccio autonomo/regolativo), sono 5:
- psicoeducazione
- mindfulness
- esercizio di riorientamento
- centratura e grounding
- respiro
La psicoeducazione, in questo senso, è il primo punto. Alcuni concetti da trasmettere hanno a che fare con rudimenti di neuroanatomia: è importante che il soggetto sappia a grandi linee come funziona il suo sistema nervoso autonomo, quali siano le reazioni fisiche ad esso collegate; è inoltre importante conoscere la finestra di tolleranza. La regolazione del tono neurofisiologico è uno degli aspetti centrali del lavoro sul trauma.
L’obiettivo degli esercizi di riorientamento e grounding, è riportare il soggetto al qui ed ora, laddove sia presente una tendenza al detachment. Per detachment intendiamo uno scollamento dal momento presente, un’alterazione della coscienza a scopo difensivo: è una delle forme della dissociazione. Giovanni Liotti sostenne che il detachment corrispondesse a una fase transitoria della coscienza, uno stato alterato in grado di segnalare lo shifting tra parti dissociate di sè. Trovarsi dunque in uno stato di detachment, secondo Liotti corrisponde al sopraggiungere di una parte di sè rimasta fino a quel momento silente, ora ri-evocata, in grado con il suo accesso di modificare lo stato di coscienza di un individuo poichè entrata in conflitto con la parte fino a quel momento “presente”.
Per tornare al momento presente, dunque, esistono alcune risorse di grounding e di centratura. Vediamone alcune da un estratto -a cura di Davide Boraso- dal volume PTSD:che fare?
Risorse di centratura (centering)
Questi esercizi ci aiutano a recuperare equilibrio e connessione con noi stessi quando siamo in difficoltà, ci sentiamo senza punti di appoggio o riferimenti “emotivi”. Essere centrati è un’abilità che si può sviluppare ed utilizzare efficacemente: le risorse somatiche di centratura implicano l’osservare e il percepire dentro di sé il centro di gravità del corpo, posto circa 10 cm al di sotto dell’ombelico. Contattare questa zona può aiutare a riconnettersi con il proprio baricentro somatico; ciò può essere fatto ad esempio ponendo le mani sul basso ventre e osservando consapevolmente le sensazioni che si generano dal contatto delle mani sulla pancia. Un’altra zona particolarmente sensibile ai fini della centratura è quella del petto: si possono porre entrambe le mani esercitando una leggera pressione sul petto vicino al cuore notando che effetto questo movimento produca, oppure porre una mano sul petto e una sulla pancia osservando le sensazioni sperimentate. A volte il tocco della mano, anche se è la propria, può essere vissuto con disagio: in questo caso si potranno utilizzare una pallina di gomma per esercitare una leggera pressione nei punti citati, un cuscino oppure un oggetto morbido e soffice vissuto positivamente.
Un altro efficace esercizio di centratura consiste nel portare l’attenzione consapevole alla parte posteriore del proprio corpo.
Ad esempio si può suggerire al paziente di toccare o massaggiare la schiena, appoggiarla e premere delicatamente contro una sedia o un muro, tentare un movimento ondulatorio della schiena in avanti e indietro, oppure lateralmente; gli si può consigliare di farsi una doccia sentendo l’effetto dell’acqua sulla schiena, usare una spazzola o uno strumento per grattarla dolcemente, oppure camminare all’indietro lentamente in un posto tranquillo. É fondamentale che il paziente possa provare più azioni possibili in modo che sia lui a individuare ciò che può farlo stare meglio: è altresì utile che memorizzi o si annoti gli effetti di questi tentativi in modo che tutto ciò che emerge possa essere motivo di riflessione con il terapeuta..
Esercizi di radicamento (grounding)
Questi esercizi permettono di sperimentare un maggiore senso di“presenza” e di permanenza nel momento presente. Per fare un esempio, è utile chiedere al paziente di concentrarsi sulle sensazioni di contatto dei propri piedi con il pavimento e di notare quale effetto questo “sentire” produca, oppure della schiena a contatto con la sedia, far toccare con le mani una parete o qualcosa di stabile e sentire il senso di stabilità e il radicamento conferito dal percepire il muro o il pavimento.
Esempio di esercizio N. 1
Sperimentare con il paziente, da posizione seduta, la sensazione provocata dal tenere i piedi ben appoggiati a terra,aderenti al terreno. Si può suggerire al paziente di spingere con un po’ di forza prima un piede, poi l’altro e in seguito insieme i piedi verso terra, coinvolgendo cosce e glutei. Si chiede al paziente di notare che sensazioni provi nei piedi, nelle gambe,lungo la colonna vertebrale e il resto del corpo. L’esercizio va eseguito fino a percepire sensazioni nelle gambe e senso di radicamento.
Esempio di esercizio N. 2
Un altro esercizio che può aiutare a regolare l’arousal e dare senso di radicamento consiste nel massaggiare gambe e piedi.Da seduti (meglio se a terra) si stringono e si massaggiano gambe e piedi: è importante avere un po’ di tempo a disposizione e mantenere un atteggiamento curioso verso l’esperienza, per raccogliere più informazioni possibile: vanno eseguite pressioni più intense e più leggere massaggiando tutte le dita del piede, lo spazio tra le dita, il dorso e il tallone,le caviglie, i polpacci, le ginocchia e le cosce, per poi fare il percorso inverso e riscendere fino a terminare nuovamente con i piedi. Se dovessero comparire dei pensieri giudicanti, è opportuno lasciarli andare tornando a concentrarsi sulle sensazioni del corpo
Come si osserva, questi semplici esercizi possono essere usati dal paziente, in autonomia, per “atterrare” sulla terra quando si accorgesse di essere in una condizione mentale di distacco. Va ricordato che questi esercizi rappresentano un tampone, uno strumento sintomatico necessario per aiutare il paziente nei momenti di difficoltà: non risolvono il problema alla radice nè riusciranno a estirparlo; sono da considerare un primo passaggio per il lavoro con il post-trauma.
Questi esercizi possono essere usati dal paziente in modo autonomo, anche al di fuori del contesto della psicoterapia: vengono per questo definiti “risorse”.
La stabilizzazione è la prima delle tre fasi che compongono il modello trifasico. Una volta stabilizzati i sintomi, passeremo con il paziente alla fase dell’elaborazione delle memorie somatiche per poi procedere verso una migliore integrazione.
Sul respiro, abbiamo qui fatto un approfondimento. Le tecniche sul respiro, in generale, rappresentano un argomento noto e ben esplorato. Assolvono a una duplice funzione: ri-centrano il paziente portando la sua attenzione al momento presente, e inducono una modificazione dello stato di regolazione neurofisiologica (per esempio, eseguire cicli di respirazione alternata con inspirazioni corte ed espirazioni lunghe, produce un effetto calmante -si veda l’approfondimento prima citato).
Ulteriori risorse di stabilizzazione, ma in inglese, sono state messe a disposizione in modo gratuito dall’ESTD: è possibile recuperarle qui (12 video in inglese); per il generico controllo e gestione dello stress, si veda anche questa guida illustrata erogata dall’OMS (disponibile anche in italiano).
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