Sono moltissimi i film che si sono occupati di raccontare la malattia mentale e i modi in cui è stata definita, trattata e vissuta.
Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Ron Howard, Lars Von Trier, Scott Hicks, David Cronenberg, Milos Forman, M. Night Shyamalan (cfr. “Split“), sono solo alcuni dei grandi registi ad averci raccontato la sofferenza psicologica, in modo estremamente realistico o attraverso significati simbolici e scelte stilistiche originali.
La narrazione cinematografica ha cercato di spiegare, con diverse sfaccettature e suggestioni, il complesso mondo delle emozioni, dei comportamenti e delle motivazioni che spingono i soggetti psichiatrici e chi si è occupato e si occupa di loro a determinate scelte e azioni e alle relative loro conseguenze.
È molto difficile fare una scelta tra le tante apprezzabili opere che il Cinema internazionale ha prodotto nel corso degli anni e che sta continuando a produrre sul tema. Escludere dalla selezione film come “Ragazze interrotte”, “Shine”, “Spider”, “Melancholia”, o il più recente e acclamato “Joker”, da una lista di opere sull’argomento dispiace un po’, ma quella che vorrei fare è una riflessione storica, clinica e temporale per la quale alcuni titoli mi sembrano particolarmente indicati.
La malattia mentale è stata studiata, definita e trattata a livello pratico in modi molto diversi nel corso dei secoli.
La sua storia è infatti legata a quella delle società, con i loro sistemi di valori, di conoscenze e di credenze. Le circostanze storiche, il progresso scientifico, le condizioni sociali ed economiche che hanno caratterizzato le diverse epoche, hanno determinato il modo in cui i disturbi mentali sono stati “giudicati”, descritti e curati nel corso del tempo.
Durante tutto il Medioevo prevale l’idea che la “follia” non sia una malattia da curare, bensì la manifestazione di una possessione demoniaca. Essa non è dunque oggetto di competenza dei medici, bensì della Chiesa: c’è un “male esterno”, che è entrato in un corpo e che deve essere sconfitto per mezzo dell’esorcismo, della preghiera e della fede. Sono molti i film che hanno parlato e ancora oggi parlano di queste pratiche, ma non mi soffermerò su questi, che benché apprezzabili sono spesso legati al genere cinematografico “horror”, proprio per la loro vicinanza al “male”, all’oscuro, all’incomprensibile e al non spiegabile. In passato, tutti gli eventi che l’uomo non riusciva a comprendere ed era costretto in qualche modo a subire, venivano attribuiti alla volontà di entità potenti e incontrollabili: la siccità poteva essere la conseguenza di un maleficio, il terremoto l’espressione dell’ira di un dio, l’epilessia (che non si chiamava così, perché non era ancora stata studiata) la manifestazione di una possessione malefica.
Per quanto queste spiegazioni e questi “trattamenti” fossero bizzarri e spesso nocivi, c’era comunque l’idea che i soggetti vittime di queste sofferenze fossero “curabili”, appunto con la preghiera e la fede. L’idea di guaribilità viene soppiantata però con l’avvento dell’Inquisizione, per la quale solo attraverso la distruzione del corpo l’anima corrotta poteva essere liberata e il male sconfitto.
La segregazione del malato mentale ha inizio con l’avvento dell’Illuminismo e dell’Era della Ragione. A partire dal XVII secolo, tutte le forme di superstizione vengono osteggiate e combattute. Nei luoghi di contenzione si trovano tutte quelle forme sociali che si scontrano con la razionalità secentesca e che possono ledere la solidità della struttura sociale e famigliare: il malato mentale, il povero, il libertino, il sifilitico, il mendicante, l’omosessuale, il criminale, sono messi tutti sullo stesso piano e segregati nelle stesse strutture. Repressione, coercizione e isolamento servono ad assicurare l’ordine e la sicurezza sociale.
Il “folle” rimane in catene fino alla fine del Settecento, quando il medico francese Philippe Pinel dà il via alla medicalizzazione della malattia mentale. Nascono gli istituti manicomiali, preposti ancora al controllo e alla custodia, ma anche allo studio e al trattamento del disturbo mentale. Si tratta di un trattamento che prevede l’utilizzo di mezzi coercitivi, ma l’uso di questi metodi ha un significato diverso rispetto al passato: la reclusione, la camicia di forza, le docce fredde, sono delle pratiche abominevoli che al tempo però avevano aggiunto al fine di custodire (per la sicurezza sociale) anche quello di “curare”.
Fino al processo di deistituzionalizzazione, la vita asilare è caratterizzata dalla segregazione e dall’utilizzo di metodi di cura esasperati e spesso brutali, tra i quali quello della lobotomia, procedura utilizzata dalla psichiatria a partire dagli anni Quaranta dello scorso secolo.
Il film che maggiormente riflette quanto detto finora sulla vita manicomiale, un cult dalla drammaticità e potenza emotiva finora ineguagliate, è “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman (1975), prima tappa imprescindibile del nostro excursus storico sulla malattia mentale.
A partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, iniziarono ad imporsi delle teorie alternative a quelle più propriamente legate al modello medico: tra queste quella comportamentale. Il modello behavioristico descriveva la devianza e la malattia mentale come conseguenze di condizionamenti esercitati dall’ambiente sul soggetto. Alcune “distorsioni” delle tecniche di condizionamento furono utilizzate all’interno delle prigioni e degli ospedali psichiatrici criminali. Donata Francescato (1977) riporta un esempio di trattamento utilizzato nella “cura” delle “devianze sessuali”, che associava le tecniche di condizionamento all’uso di farmaci. In particolare, cita l’uso di una tecnica “usata sempre con omosessuali: al soggetto venne fatta un’iniezione di apomorfina. Dopo circa 8 minuti cominciò a sentirsi nauseato. Si mirava ad ottenere una forte nausea che durasse circa dieci minuti senza arrivare al vomito e la dose è stata aggiustata costantemente per ottenere questa risposta. Un minuto prima della nausea, il paziente azionava un proiettore e vedeva la diapositiva d’un uomo nudo o parzialmente nudo”.
Arriviamo così alla seconda fondamentale tappa della nostra analisi cinematografica, e approdiamo a un altro must see movie, tratto, come il precedente di Milos Forman, da un libro. Si tratta di “Arancia meccanica”, di Stanley Kubrick (1971).
Il protagonista del film è Alex, leader di una banda giovanile dedita allo stupro, al furto e alla violenza. Tradito dai suoi compagni, Alex viene catturato e immesso in un programma di “riabilitazione”. Attraverso la “terapia del disgusto” Alex diventa momentaneamente inoffensivo e viene reintegrato nella società. L’utilizzo di sostanze che provocano la nausea, associate alla proiezione di scene di violenza, fanno sì che Alex si senta male ogni volta che si trovi di fronte a un atto criminale o che tenti di compierlo. La stessa cosa accade quando Alex sente la musica di Ludwig Van Beethoven, che fino a quel momento era stata lo stimolo per le sue malefatte: la Quinta Sinfonia è infatti stata utilizzata per le sue sedute di “terapia”, battezzata per questa ragione come “Tecnica Ludovico”.
Molti passi sono stati fatti, nel tempo, per migliorare le condizioni dei pazienti, per cambiare il modo di definire e trattare i disturbi mentali e anche per decostruire i consolidati stereotipi negativi culturali su questi temi, anche se molto è il lavoro ancora da fare. In Italia la prima vera grande innovazione nell’ambito della legislazione psichiatrica è stata fatta in seguito all’opera di Basaglia e all’approvazione della Legge 180/1978, assorbita nello stesso anno dalla Legge 833 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
Uno dei passi più fondamentali fatti nell’ambito della salute, sia fisica che mentale, è stato inoltre certamente quello di coinvolgere sempre di più i pazienti nelle decisioni di cura, grazie all’introduzione della pratica del consenso informato in medicina, in psichiatria e in psicoterapia.
Parlando di passi, non posso non citare tra i miei film consigliati il film di Bille August del 2017 “55 passi”, che racconta della battaglia legale per il consenso informato sull’utilizzo dei farmaci con i pazienti psichiatrici messa in atto da una paziente e dalla sua avvocata.
La storia si focalizza sul fatto che sia fondamentale che i medici condividano, con i pazienti in grado di comprendere, i piani terapeutici, illustrino in modo trasparente e chiaro lo scopo delle terapie, i rischi e gli effetti collaterali spesso gravi delle cure, le conseguenze dell’accumulo di certe sostanze nei trattamenti a lungo termine.
Un ultimo aspetto da considerare, per completare questo quadro certamente non esaustivo sulla sofferenza mentale, è quello a cui ho già accennato: l’importanza del cambiamento di visione non solo in ambito scientifico, ma anche “popolare” della malattia mentale. Le visioni del passato, radicate in stereotipi e false credenze, si sono consolidate e sono difficili da scardinare, si trascinano ancora oggi, nonostante le grandi innovazioni in campo scientifico, nonostante i cambiamenti a livello sanitario e legislativo, nonostante le lotte contro le discriminazioni e la diffusione dell’informazione.
Sono molti i film che ci aiutano a comprendere la sofferenza psichica, la sua umanità, la sua vicinanza al nostro complesso mondo interiore, e quanto siano immense le risorse e il patrimonio culturale scaturiti da molte menti travagliate e geniali della nostra storia.
Gli ultimi due suggerimenti di visione che vi voglio lasciare in proposito, al termine di questo breve viaggio, sono “A beautiful mind”, di Ron Howard, del 2001 e “Il professore e il pazzo” di P.B. Shemran del 2019.
Come affermai tempo fa in un articolo, forse se le vite di alcuni uomini, ad esempio pittori, compositori e poeti, fossero state prive di sofferenze e disagi, oggi noi avremmo dei girasoli in meno da ammirare, delle sinfonie in meno da ascoltare, delle poesie in meno da recitare.
BIBLIOGRAFIA:
- Basaglia F. (a cura di), Che cos’è la psichiatria?
- Basaglia F. (a cura di), L’istituzione negata
- Burgess. A., Arancia Meccanica
- Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia
- Foucault M., Malattia mentale e psicologia
- Foucault M., Storia della follia nell’età classica
- Francescato D., Psicologia di Comunità
- Goffman E., Asylum – Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza
- Szasz T.S., Il mito della malattia mentale
[Per chi fosse interessato all’argomento “Film psicologici e psicologia spiegata attraverso il cinema” può seguirmi sul sito www.psicofilm.it]
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