di Luca Proietti, Raffaele Avico
Perchè tentiamo di “controllare” il nostro stesso pensiero? Ma soprattutto: ci è utile?
Il problema del controllo e del paradosso compare citato in molteplici lavori di autori afferenti a diverse aree della psicoterapia; Pierre Janet, in una serie di lezioni tenute ad Harvard nel 1907, sottolineava come quelle che chiamava “idee fisse” fossero in grado di emanciparsi dal controllo cosciente da parte dell’individuo, per poi presentarsi contro la sua volontà alla coscienza, sfuggendo al tentativo di essere controllate.
Il problema del controllo della propria mente, si presenta in diverse problematiche. Per fare un esempio:
- disturbo da attacco di panico (il paziente tenta di controllare i suoi stessi pensieri rivolti alla paura di un possibile ripresentarsi dell’episodio di panico)
- disturbo ossessivo compulsivo (il paziente tenta di controllare la presenza di pensieri ricorrenti e intrusivi, sforzandosi di scacciarli dalla coscienza)
- disturbi di natura post-traumatica (il paziente tenta di evitare, internamente, il ripresentarsi dei ricordi traumatici)
- disturbi di natura fobica (il paziente tenta di controllare le reazioni fisiologiche, spontanee, connesse allo “stimolo fobico)
Perchè il tentativo di controllare, si rivela per lo più fallimentare?
La perdita di controllo che l’individuo sperimenta su ciò che gli accade internamente, siano pensieri, immagini o sensazioni psicofisiche, non è frutto di un’azione cosciente, dell’utilizzo di una funzione corticale evoluta, ma avviene in maniera spontanea a causa dell’attivazione normale delle strutture “inferiori”, più antiche del cervello. Janet a fine ‘800 parlando della disaggregatiòn aveva già messo in luce come le strutture paleoncefaliche, quando troppo attivate, fossero in grado di “soverchiare” il controllo inibitorio corticale, disgregandolo con la loro influenza.
É evidente come questo fenomeno si presenti, in particolar modo, nel corso di un accesso fobico, post-traumatico o durante l’escalation che porta all’attacco di panico.
Questa dinamica sembra reggersi su una logica paradossale, per cui più il soggetto prova a controllare gli eventi psicofisici, più ne perde il controllo. Anche nel caso dell’evitamento, comune ai disturbi fobici, ossessivo-compulsivi e post-traumatici, siamo di fronte a un tentativo inefficace di controllo, che si esprime questa volta sulla base di una logica contraddittoria.
Che fare dunque?
In Terapia breve Strategica si parla di tentate soluzioni per indicare quei comportamenti che il soggetto mette in atto nel tentativo di risolvere o controllare la propria sintomatologia, ma che finiscono per mantenere in essere o addirittura peggiorare il problema. (Watzlawick et al., 1974). Occorre chiedersi, quindi, non cosa causa il problema, ma cosa lo mantiene.
L’area fobico-ossessiva, nelle sue diverse declinazioni, è sicuramente il principale terreno dove si gioca il “tentativo di controllo”.
Siamo di fronte a due scenari possibili.
- Il controllo non riesce a esercitare controllo, cosa che porta a una peggioramento della sintomatologia. La forma si oppone alla forza.
Questo accade quando si cerca di controllare un fenomeno spontaneo e per definizione incontrollabile, come le proprie reazioni psicofisiologiche alla paura o il flusso dei propri pensieri. In Terapia Breve Strategica si usa la formula “Il controllo che mi fa perdere il controllo” e lo troviamo nei disturbi fobico-ossessivi, nel disturbo post-traumatico e nel disturbo ossessivo nel pensiero. Nei disturbi fobico-ossessivi la persona è spaventata dall’intensità o dalla presenza delle proprie reazioni di allarme, fisiologiche, nei confronti di uno stimolo fobico, tentando di controllarle razionalmente.
Il problema è che queste reazioni originano dalla parte paleo-encefalica, amigdala e circuiti sottocorticali, e quindi non solo non si riducono, ma tendono a peggiorare con un tentativo di controllo corticale, portando -a volte- a un attacco di panico. Il nucleo centrale di questo problema è il tentativo di controllo stesso: qualcosa che dovrebbe essere evacuato o “sfogato”, portato in un certo senso a compimento, viene frenato o ostacolato, di fatto aumentando il suo potenziale “patogeno”.
Per capire questo fenomeno occorre approfondire la teoria del cervello tripartito di Maclean e le dinamiche gerarchiche tra queste tre parti illustrate da Jackson. - Se il controllo riesce, il soggetto rimane imprigionato nel controllo stesso, non potendone più scappare. La forma senza forza.
“Un controllo così bene riuscito da non poterne più fare a meno”. Parliamo in questo caso dei rituali nel disturbo ossessivo compulsivo o dei pazienti con disturbo ossessivo che programmano e controllano così tanto da inibire la propria prestazione. Quest’ultimo esempio comprende quadri che vanno dalla persona affetta da lentezza ossessiva primaria, allo studente che si blocca per eccesso di precisione o ricerca di informazioni, all’atleta olimpionico che non riesce più a performare come vorrebbe.
La tentata soluzione del controllo è così diffusa perché è alla base della cultura e della scienza occidentale; il problema sorge quando si tenta di applicare un controllo logico razionale a fenomeni irrazionali, in particolare quando c’è in gioco l’emozione della paura. Per avere il dominio su alcune parti di noi, quello che andrebbe cercato è un controllo esercitato in maniera elastica, un po’ come bisogna fare con l’acqua che se lasciata defluire è gestibile, diventando travolgente se ostacolata.
Per far questo però bisogna partire dalle percezioni e solo in un secondo momento lavorare sulla componente cognitiva. Lungi dal proporre soluzioni new-age, la Terapia Breve Strategica utilizza contro-paradossi, e non solo, in grado di riconvertire la percezione da patologica a sana, e azzerare quindi la sintomatologia. In particolare, nei casi in cui predomini la componente fobica, uno degli interventi usati è la prescrizione della “mezz’ora di peggiore fantasia”, un intervento che trova le sue radici teoriche nell’idea di “intenzione paradossale” di Victor Frankl e formalizzato dal Prof. G. Nardone presso il Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo.
La logica che sta al centro di questo intervento, è la “prescrizione paradossale del sintomo”, spiegata qui. Non è infatti evitando lo stimolo fobico che si potranno controllare le reazioni di “allarme” -che, al contrario, cresceranno. Sarà invece esponendoci ad esso che riusciremo a “demistificarlo”, “aggiungendo legna per spegnere il fuoco”.
FONTI E APPROFONDIMENTI:
- Paul D. MacLean, Evoluzione del cervello e comportamento umano. Studi sul cervello trino, con un saggio introduttivo di Luciano Gallino, Torino, Einaudi, 1984. ISBN 88-06-05684-0
- Paul Watzlawick, Jhon Weakland e Richard Fisch (1974). Change: la formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Casa Editrice Astrolabio.
- Watzlawick, & G. Nardone, Terapia Breve Strategica (p. 69-83). Milano: Raffaello Cortina Editore.