di Raffaele Avico
Del fenomeno Hikikomori (ragazzi che si auto-escludono dalla vita sociale mediando il contatto con la realtà attraverso Internet) se ne parla ora anche in Italia (dopo le prime osservazioni effettuate in Giappone e Corea). Uno dei più toccanti scritti sul fenomeno dell’Hikikomori lo si trova qui, a cura di Carla Ricci, antropologa e ricercatrice dell’Università di Tokyo, di cui riportiamo un estratto:
“[…] Nella stanza con il giovane, ci sono rinchiuse anche le debolezze e i conflitti della sua famiglia; quel senso di vuoto da cui egli fugge, appartiene anche ai genitori i quali, contrariamente a lui, hanno imparato nel tempo a gestirlo e a soffocarlo. Lui no, a lui appartiene ancora il vigore puro dell’adolescenza che gli fa percepire bene le frustrazioni anche se non sa riconoscerle.
Se all’interno del luogo chiamato famiglia non ci si pone davanti a quell’evento con spirito di riflessione, nessun tipo di miglioramento sarà possibile poiché medicine e terapia da sole non possono offrire alcun beneficio. E’ necessario che da quel fatto nasca in tutti un umile, profondo desiderio di emancipazione psicologica che spazzi via il superfluo e arrivi alla essenza. Se si crea questo seppur fievole contesto, ecco che Hikikomori e la sua famiglia pongono le basi per una comprensione di se stessi di una potenza straordinaria e anche tutto ciò che gira attorno al problema e può aver influito in qualche modo nel ritiro – come relazioni scolastiche difficili – viene spogliato e riosservato in una prospettiva di natura assolutamente differente.”
Il fenomeno pare ruotare intorno a due tematiche principali.
- Da un lato l’utilizzo di Internet come surrogato relazionale, e fuga dalla frustrazione dei “rapporti veri”. In questo caso la fuga ha un movente sociale, legato alla difficoltà oggettiva di rapportarsi agli altri: Internet diviene un mediatore ottimale dei rapporti, che perdono tuttavia la dimensione corporea rivelandosi parziali e purtroppo non completamente soddisfacenti in termini affettivi
- Dall’altro, Ricci evidenzia un lato più profondo e oscuro della cosa che ha a che fare con la società giapponese e un significato differente: simbolicamente, la Dott.ssa racconta, questo “suicidio sociale” è un gesto affermativo (inteso come gesto di affermazione di sè), che manifesta una silenziosa protesta di natura culturale. Il Giappone, auto-percependosi come Paese combattivo e all’avanguardia e fortemente improntato su un’etica di tipo capitalista mischiata però a un grande senso della dignità, non contempla l’idea del ritiro e dell’abbandono che questi ragazzi (ma anche adulti) scelgono di vivere. La decisione di un ritiro, il seguente movimento di immersione in Internet e la vergogna di un possibile ritorno in società, alimentano il problema che si cronicizza e permane.
Inoltre poi, un movimento di questo tipo, di “ritorno in casa”, fortemente regressivo, manifesta la volontà di potersi concedere un periodo di riflessione e messa in discussione critica di quello che esiste fuori. Di fatto ha, almeno in parte, un senso di volontà di rinascita a seguito di una morte “sociale”. Spesso però, il ragazzo si blocca prima, rimanendo incastrato nel meccanismo, a volte non pungolato a sufficienza dalla famiglia.
Il fenomeno si configura quindi come solo parzialmente collegato a quello più esteso inerente le nuove dipendenze e l’uso di Internet. Rappresenta un movimento regressivo, un chiamarsi fuori dal gioco per essere cercati e rivalutati, ri-considerati in modo nuovo. Negli anni ’90 l’uso di sostanze come l’eroina aveva significato non solo di natura auto-curativa, ma anche di natura politica: era posizionarsi in modo forte contro, rifiutando la mentalità allora dominante. Il fenomeno Hikikomori presenta una lontana somiglianza a questo ormai passato fenomeno sociale, avvalendosi però di uno strumento/mezzo diverso.
Qui un’ottima intervista alla dott.ssa Ricci a cura dell’Associazione Hikikomori Italia, al momento la realtà italiana più autorevole sull’argomento.
Qui invece un servizio video fatto dalle Iene.
Un aspetto da sottolineare è che il problema Hikikomori NON sembra causato da un problema di dipendenza da internet, che in questo è da considerarsi solo una concausa. La dipendenza da internet va considerata cioè una sovrastruttura costruita al fine di coprire e gestire un problema più ampio e sottostante, ruotante intorno a difficoltà famigliari e di inserimento sociale.