di Raffaele Avico
A tutti è capitato di sperimentare come in alcuni momenti il nostro cervello sembri accelerare e farci prendere decisioni fulminee che non hanno a che fare con il ragionamento cosciente. Ci rendiamo conto che non tutto ciò che viviamo proviene dal ragionamento, non tutto è cognitivo: esiste un mondo di sensazioni ed emozioni che ci consente di approcciare la realtà in modo emotivo, non solamente in modo razionale. Una teoria che ci aiuta a fare chiarezza e a dare un senso a queste diverse velocità e modalità, è la teoria del cervello tripartito (o “trino”) formulata da Paul MacLean nei primi anni ’70, una “semplificazione accademica” (nelle parole di Panksepp) del funzioanamento del cervello, ma molto utile a fare chiarezza e a intuirne i meccanismi.
Essa trova le sue basi negli studi della psicologia evoluzionista (che cioè studia il comportamento dell’uomo a partire da ciò che in termini di evoluzione sia stato per lui più o meno utile). MacLean distingue tre parti del cervello, ognuna con funzioni distinte. Le tre parti funzionano in modo gerarchico, seguendo un principio chiamato di “principio di Jackson”: gli impulsi più basici vengono progressivamente raffinati e infine razionalizzati, “risalendo” dalle parti più antiche del nostro cervello fino alla neo-corteccia, più recente.
LA STRUTTURE
IL COMPLESSO RETTILIANO, che reagisce
La parte più antica dal punto di vista evoluzionistico è anche la più profonda in termini anatomici e viene definita “cervello rettiliano” dal momento che è paragonabile, per finalità e modalità di funzionamento, al cervello di un rettile. Si attiva nei momenti che ci richiedono massima velocità di esecuzione (per esempio nei casi di rischio di vita), non ci rendiamo conto di usarlo dato che è pre-cognitivo e funziona in termini relazionali secondo una logica di attacco/fuga (in inglese fight/fly), ovvero ci predispone a scappare o ad attaccare di fronte a un predatore (reale o immaginato). Quando ci troviamo in mezzo a una situazione di emergenza come un’aggressione o un incidente, è questa parte a essere coinvolta perchè ci consente di muoverci in modo molto più rapido, al limite della consapevolezza. Si nutre di impulsi, che non vengono modulati secondo un criterio di intensità: l’impulso o si esprime o resta silente.
IL SISTEMA LIMBICO, che sente
Procedendo verso la parte più esterna del cervello, esiste nella teoria di MacLean il “sistema limbico”, che si occupa di quello che concerne la nostra vita relazionale ed emotiva: ci permette di sentire emozioni e di provare sentimenti. Un bambino piccolo usa questa parte, provando emozioni e sentimenti, senza esserne totalmente consapevole. Il percorso di sviluppo di un essere umano ricapitola l’intero percorso evolutivo della specie: quando nasce, il bambino usa e risponde alle parti più antiche del cervello, per poi, crescendo, evolvere ed accedere a livelli più alti della coscienza e della consapevolezza. Il cervello di un ragazzo adolescente è prevalentemente limbico nel senso che, più che pensare, “sente” (e chi ha a che fare con gli adolescenti, di questo si rende conto).
LA NEO-CORTECCIA, che coordina
Proseguendo verso i livelli superiori e più recenti in termini di evoluzione, dell’anatomia del nostro cervello, MacLean illustra le proprietà della neo-corteccia, l’ultima in termini evolutivi e la sola che ci distingue realmente dagli altri mammiferi. La neo-corteccia ci consente di sapere di esistere, di impegnarci in progetti complessi e creativi che esulano dal semplice bisogno affettivo, riproduttivo o di sopravvivenza, e di dedicarci all’etica, alla filosofia, al ragionamento puro e astratto. Questa parte è la più recente in termini di evoluzione. Quando le cose funzionano bene, in modo integrato, coordina le attività delle altre parti e ne è allo stesso tempo impressionata: grazie alla neo-corteccia “razionalmente” possiamo inibire gli istinti o le pulsioni; allo stesso tempo ci accorgiamo di come il contenuto dei pensieri si moduli su quali emozioni stiamo sperimentando, a prova di quanto siamo suscettibili e perturbabili da ciò che “sentiamo”.
GERARCHIA
Il cervello funziona in modo gerarchico, secondo un principio attribuito agli studi del neurologo J. Hughlings Jackson, che teorizzò come le “funzioni mentali superiori” fossero gerarchicamente dominanti su quelle più istintive, e in grado di modularle “quando tutta va bene” (Jackson chiama Dissoluzione lo stato di mancato funzionamento delle funzioni mentali superiori -che coordinano-, con una dominanza di quelle inferiori).
Come prima si diceva, tuttavia, in situazioni peculiari è auspicabile e necessario che la neo-corteccia lasci il posto a livelli più istintivi di funzionamento, disattivandosi. Quando le funzioni sono integre e tutte accessibili, siamo nell’ambito del buon funzionamento psichico; dove c’è squilibrio e impossibilità a usare certe parti o difficoltà nel farlo (per esempio con una dominanza di razionalità -un uso prevalente della neo-corteccia-, o una forte impulsività fuori controllo -un utilizzo prevalente del cervello rettiliano), emergono difficoltà che si ascrivono all’ambito della psicopatologia.