di Raffaele Avico
La psicoterapeuta Kimberly Young, americana, da anni lavora in ambito di dipendenza da Internet. Compie un costante lavoro promozionale per informare e divulgare a riguardo di un fenomeno di cui ci si sta accorgendo, ma di cui non si rilevano totalmente i rischi.
Alcune osservazioni a proposito del fenomeno, mutuate dal suo lavoro divulgativo:
- Questa forma di dipendenza viene discussa e teorizzata già dalla fine degli anni ’90, sostituendosi a quella che per anni era stata la questione a proposito, invece, della “tele-dipendenza”, ovvero dei rischi connessi alla permanenza prolungata di fronte alla TV
- Essendo un fenomeno giovane, è difficilmente inquadrabile. E’ indubbio che Internet garantisca in modo democratico enormi vantaggi di accesso alle informazioni, però la cosa sembra presentare rischi soprattutto per i ragazzi più giovani o tendenti a sviluppare forme (altre) di dipendenza
- A differenza delle altre forme di dipendenza, l’obiettivo per Young non è arrivare a un’assenza dell’oggetto di dipendenza -come si fa invece per le sostanze, per le quali è preferibile l’astinenza-, quanto a un “utilizzo moderato positivo”, cioè a un uso consapevole e sotto il controllo della volontà. Non è quindi prioritario diminuire il numero di ore, ma capire cosa di Internet crei compulsività e ragionare su quello (il focus di una dipendenza da internet può essere il gioco d’azzardo, la pornografia, i Social Network, le informazioni, gli stimoli continui, etc.)
- Young paragona la dipendenza da Internet alla dipendenza da cibo: a proposito di questo parla non tanto di “dieta” digitale (che prevederebbe cambiamenti rapidi di abitudini, digiuni e disintossicazioni) quanto di “digital nutrition”, ovvero di “educarsi” a un uso consapevole dello strumento
- L’uso consapevole deriva da un approccio duplice, che prevede da un lato il mettere dei paletti esteriori (Young dice “check the checking”, ovvero prestare attenzione a quante volte si controlli il telefono, oppure praticare momenti di lontananza dal telefono -”disconnect to riconnect”), e insieme osservare i bisogni che Internet, in quel momento, sembri soddisfare in noi
- per alcune forme di dipendenza, esiste una valenza auto-curativa: il gesto legato alla dipendenza (qualunque essa sia) sembra risolvere un conflitto interno (provocato dai più svariati fattori, che hanno spesso a che fare con dinamiche di tipo relazionale), sopprimere alcune emozioni di difficile gestione o farle “nascere” dove sembrino mancare: stati mentali vissuti soggettivamente male, che in questo modo trovano una risoluzione o un sollievo momentaneo. In questo caso il problema da affrontare viene prima, e la dipendenza si configura come tentativo che il ragazzo o la persona mette in atto per evitarlo (per esempio lo smartphone come tentativo di evitare picchi di ansia)
- La soglia che distingue un problema da una patologia, è soggettiva. Il criterio da adottare per capire quanto un problema stia assumendo forma di patologia, è quanto il sintomo abbia intaccato la qualità della vita della persona, costringendola a comportamenti nocivi o fuori dal controllo della volontà (per esempio sentirsi forzati, obbligati a controllare il telefono mentre si guida, o mentre si ascolta una persona, deviando costantemente l’attenzione altrove)
Qui il Ted Talk di Kimberly Young: