di Raffaele Avico
Il lavoro con i pazienti gravi comprende il confrontarsi con problematiche psichiatriche che non sono totalmente spiegate, né totalmente sotto controllo da parte della scienza medica. Avere a che fare per esempio con pazienti che soffrono di disturbi gravi dell’umore ci confronta continuamente con l’impotenza dei mezzi che la psichiatria e la psicologia clinica hanno a disposizione come strumenti di intervento elettivo. Genericamente sappiamo che gli interventi più efficaci paiono essere gli interventi multi-professionistici, in cui si tenta di attaccare i sintomi più invalidanti da più direzioni contemporaneamente, che è una sorta di compensazione al fatto che non si conosce l’origine unica del disturbo. Si tenta dunque di mettere più risorse in campo e di usare approcci in prima linea farmacologici (mediati dalla figura dello psichiatra), quindi psicoterapici ed educativi, che possano aiutare la persona a trovare un equilibrio sia in senso neurofisiologico, che psicologico, insieme a un discreto e auspicabile inserimento in società e quindi un supporto nei termini di appartenenza a una comunità (elemento questo trascurato ma centrale, purtroppo lontano dall’essere attuabile).
ALCUNE RIFLESSIONI
Uno dei quadri clinici più frequentemente riscontrato, e più complesso nelle sue sfumature nosografiche e di difficile gestione, è il “disturbo borderline”, che un tempo veniva definito come a cavallo tra la psicosi e la nevrosi, e che oggi ha acquisito una caratterizzazione più complessa. Alcuni suoi aspetti sono:
- l’instabilità del soggetto, che si manifesta sul piano relazionale e del tono umorale, come elemento diagnosticamente centrale
- la predominanza della rabbia come emozione prevalente che regola e caratterizza la vita del paziente, rabbia che interviene a regolamentare l’andamento delle relazioni del soggetto, che si presentano come esplosive o bruciate. A tal proposito, i pazienti borderline hanno difficoltà a mantenere i rapporti duraturi perchè è tanto forte l’intensità dell’investimento sull’altro, da rendere ogni relazione troppo intensa e troppo carica di aspettative-emozioni in gioco: il tutto finisce spesso con una rottura, come un’onda anomala che ricade su se stessa
- i manuali di psichiatria psicodinamica parlano del soggetto borderline facendo riferimento alla posizione schizo-paranoide teorizzata da Melanie Klein, psicoanalista inglese che osservò in questi soggetti la tendenza a comportarsi in senso relazionale usando modalità primitive o infantili (non riuscendo a integrare le parti buone con le parti cattive all’interno dello stesso oggetto relazionale, e oscillando quindi tra emozioni di segno opposto, per esempio tra una forte passione e sentimenti di svalutazione e rabbia): Melanie Klein chiamava la posizione alternativa a quella schizo-paranoide “depressiva”, ovvero che consente di integrare i diversi aspetti di uno stesso oggetto in una visione più allargata e adulta tale da consentire l’instaurare di rapporti di durata maggiore
- i soggetti borderline paiono aver familiarità con tutto ciò che riguarda la gestione corporea dell’impulsività e l’uso del corpo a fini regolativi (cioè di regolazione, o di “normalizzazione” dell’emotività): c’è un ricadere della malattia sul corpo (autolesionismo, familiarità con le sostanze d’abuso e spesso dipendenze in corso -che peggiorano l’andamento irregolare del tono dell’umore-, problematiche di tipo alimentare soprattutto per le donne)
- La difficoltà per un paziente borderline è cavalcare il tumulto emotivo senza procurarsi enormi sbalzi d’umore (passando per esempio da una gioia euforica a un senso di vacuità e depressione abissale): in questo senso l’uso di farmaci prescritti da uno psichiatra che conosca a fondo la situazione clinica del paziente può aiutare a regolare meglio un’emotività vissuta come troppo veemente e di cui si è in “balia”
- la gestione delle emozioni veementi procura la difficoltà di mantenere e alimentare relazioni durature, visto l’alternarsi di momenti di grande entusiasmo e sentimenti di svalutazione, rancore e distruttività
- esiste un senso di non-amabilità (cioè il non credere di poter essere compresi e amati per quello che si è), che concorre a rendere complessa la gestione delle relazioni, che sembrano seguire sempre lo stesso schema: idealizzazione, rottura, distruttività, ripresa, rottura, etc.
- spesso il ricorrere a comportamenti distruttivi è un tentativo di gestire le emozioni, sperimentate come troppo intense: “distruggere” un rapporto o provocare l’altro, portandolo a un contraddittorio acceso e violento, può rappresentare un paradossale tentativo di gestire e modulare emozioni intense che faticano a essere auto-gestite: prendendo a prestito la teoria di Freud, possiamo immaginare una quota di energia psichica in eccesso che in qualche modo deve essere smaltita/evacuata.
LA TERAPIA DIALETTICO COMPORTAMENTALE DI MARSHA LINEAN
La terapia psicodinamica non ha risolto del tutto le problematiche del borderline, e ha nel tempo lasciato spazio ad altre soluzioni più complesse e articolate, per esempio la DBT (dialectical behavior therapy) di Marsha Linehan, metodologia pensata per la presa in carico di soggetti borderline e affetti da abuso di sostanze riconducibile -ma non ascrivibile in toto- al gruppo delle terapie comportamentali, e incentrato su quattro interventi:
- psicoterapia individuale (con uso di farmaci dove necessario)
- terapia di gruppo incentrata sulla psicoeducazione e sullo sviluppo delle “skills”, ovvero delle competenze necessarie a gestire il disturbo
- consultazione telefonica e reperibilità di un operatore formato
- psicoterapia erogata al terapeuta stesso
Come si nota, lo strumento viene complessificato in ragione della complessità fenomenologica del disturbo stesso. Così come accade per altri tipi di terapie di stampo comportamentale, gli obiettivi hanno priorità diverse e sono propedeutici l’uno all’altro (se non si è prima fatto un lavoro sulla stabilizzazione dei sintomi più invalidanti o dell’ideazione suicidaria, per esempio, non si potrà lavorare sulle skills relazionali). Nel caso per esempio dei pazienti che oltre al quadro borderline, soffrono anche di disturbo da abuso di sostanze, il primo obiettivo sarà quello di incentivare l’astinenza, e così via. Il lavoro a fasi si basa sul pensiero piuttosto intuitivo di regolarizzare un paziente prima di poter fare, con lui, un lavoro di approfondimento sul suo mondo “interiore”.
LAVORO D’EQUIPE
La terapia dialettico-comportamentale si struttura come una terapia erogata da un’equipe di lavoro, e non da un singolo terapeuta. Come prima evidenziato, uno degli obiettivi è la trasmissione di skills relazionali: si tratta in questo caso quindi di un intervento di tipo psico-educativo di gruppo, non finalizzato dunque a un lavoro di tipo esplorativo (come invece fa il terapeuta individuale).
Lo skill training contempla quattro moduli diversi (che si realizzano attraverso 8 incontri di gruppo, ognuno, con una partecipazione di 8/10 persone):
- MINDFULNESS, per il recupero della presenza nel momento presente per mezzo di pratiche mutuate dalla meditazione buddhista, attraverso la ri-educazione dell’attenzione focalizzata e il controllo del respiro
- LA REGOLAZIONE EMOTIVA, incentrato su tutto ciò che concerne la manifestazione sregolata dell’emotività (per esempio vengono prese in considerazione le manifestazioni esplosive di rabbia in concomitanza a una sensazione di rifiuto o di abbandono percepito, oppure i momenti di profonda apatia vissuta dal soggetto, cercando di ragionare sulle strategie soggettive per fuoriuscire dalla tirannia dell’emozione veemente)
- I RAPPORTI INTERPERSONALI, per un’acquisizione delle buone prassi di comunicazione e convivenza
- LA TOLLERANZA AL DOLORE PSICHICO, costruito intorno al concetto di accettazione. Questo punto è connesso al primo (1); attraverso l’osservazione della propria emotività si ricerca uno stato di dis-identificazione dai propri vissuti emotivi, e si fugge dall’impulso (i pazienti borderline, ma in generale chi soffra di disregolazione emotiva, sono così in balia della veemenza dell’emotività, da ricorrere a forme di auto-cura per mezzo di azioni che coinvolgono il corpo -per esempio attraverso l’uso sregolato del cibo, o l’abuso di sostanze, o il ricorso ad altri tipi di strumenti auto-regolativi, come la masturbazione compulsiva usata a fini ansiolitici-). Questo modulo di skill training insegna a procrastinare l’impulso, dato che abbandonarvisi ha per il paziente, spesso, l’unico realistico effetto di peggiorare ulteriormente i sintomi e il malessere, come in un circolo vizioso in senso psicopatologico.
L’evidenza dell’importanza di un trattamento non solo psicoterapico, ma anche psico-educativo, ha una particolare centralità soprattutto con pazienti di questo tipo, che vivono con sofferenza non solo la propria emotività, ma anche le ripercussioni in senso sociale di quella stessa emotività fuori controllo. Parliamo di “cicli interpersonali problematici” per descrivere le ripercussioni (sempre in negativo) di un’emotività di cui si è in balia, che provoca rotture e scoppi relazionali (proprio quando si avrebbe maggiore bisogno di vicinanza e supporto).
Su Jama Psychiatry uno studio randomizzato ha dato consistenza a quest’evidenza, in particolare appunto nei termini dell’importa del lavoro sulle skills. Qui l’approfondimento: https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2205835?resultClick=1
NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)