di Matteo Respino
LA PERSONALITÀ SECONDO OTTO KERNBERG
Tutti noi, indipendentemente dal grado di preparazione, abbiamo una certa idea di cosa sia la “personalità”. Si tratta infatti di una parola che veicola un concetto immediato: una sua definizione di getto potrebbe essere “l’insieme delle caratteristiche comportamentali che rendono una tal persona quello che è”. Definizione tanto chiara in apparenza quanto esoterica ad un’osservazione più minuziosa! A ben vedere, se è pur vero che il significato di “personalità” potrebbe apparire colloquiale, alla portata, finanche un po’ scontato, una sua definizione tecnica è invece tutto tranne che ovvia. La difficoltà sta nel fatto che la personalità è un concetto generico, ampio, che raccoglie ed organizza una serie di sistemi minori (tipo il carattere, o il temperamento, eccetera) secondo una serie di regole, producendo un risultato finale che coincide con le specificità peculiari del singolo individuo. Per approfondire l’argomento useremo un articolo di Otto Kernberg. Nel saggio “What is Personality?”, pubblicato sulla rivista Journal of Personality Disorders nel 2016, l’Autore offre infatti una visione tanto sintetica quanto completa sul concetto di personalità.
Link all’articolo: https://guilfordjournals.com/doi/abs/10.1521/pedi.2106.30.2.145
Secondo Kernberg, il concetto di personalità si riferisce all’ “integrazione dinamica della totalità delle esperienze soggettive e dei pattern comportamentali, includendo sia 1) comportamenti consci, concreti e abituali, esperienze del sè e dell’ambiente circostante, pensiero conscio, esplicito, desideri e paure abituali oltre a 2) esperienze, stati affettivi e pattern comportamentali inconsci”. Nel suo complesso, la personalità funziona come un “organizzatore dinamico”, integrando (o disintegrando) singole componenti, di diversa natura, che collaborano ad un risultato finale dotato di coerenza e specificità.
L’Autore sottolinea inoltre come in tempi recenti si stia assistito allo sviluppo di una visione sempre più integrata dei vari “fattori determinanti” della personalità, grazie alla comunicazione sempre più stretta tra aree di investigazione differenti: dagli avanzamenti scientifici nel campo della neurobiologia degli stati affettivi, all’osservazione delle interazioni bambino-caregiver e dello sviluppo psichico dall’infanzia all’età adulta.
La Personalità viene descritta da Kernberg come una sovrastruttura che contiene ed allo stesso tempo organizza una serie di sistemi minori: temperamento, relazioni oggettuali, carattere, identità, sistema di valori e intelligenza.
- Il temperamento è la “struttura costitutiva fondamentale” della personalità. Si tratta di un concetto strettamente legato alla genetica e alla biologia, e corrisponde ad una modalità, particolarmente stabile nel tempo, di rispondere/reagire agli eventi. L’Autore descrive il temperamento come la “reattività generale fisiologica” del nostro organismo. Tale “reattività di fondo”, prima di tutto affettiva ma anche psicomotoria e cognitiva, sarebbe alla base delle interazioni con l’ambiente che potenzialmente inducono stati affettivi positivi (stimoli gratificanti) o negativi (stimoli aversivi). In tal senso il temperamento costituirebbe l’elemento fondante del cosiddetto “sistema motivazionale”. La reattività di fondo del nostro organismo ha poi un ruolo centrale nel delineare le caratteristiche delle modalità di “attaccamento-separazione”, le quali, nel bambino, guidano la ricerca del contatto con il corpo materno stabilendo così le caratteristiche della primissima relazione oggettuale, o relazione oggettuale “prototipo”.
- Il carattere consiste in una “struttura di pattern comportamentali dinamicamente integrati”. Se ci pensate tutti tendiamo a ripetere, in situazioni piu’ o meno simili, gli stessi “tipi di comportamenti”: su questa base si sostiene che “quello sia proprio il carattere di Tizio”. Procedendo con ordine (anche cronologico o di sviluppo): sul temperamento si fonda lo sviluppo e la qualità dei sistemi motivazionali, e pertanto il modo con cui le prime relazioni oggettuali vengono a costituirsi; il carattere si sviluppa invece a partire dall’interiorizzazione di quelle stesse relazioni oggettuali (buone o cattive, idealizzate o persecutorie), essendo quindi “successivo” al temperamento. Tale interiorizzazione avviene nella forma di rappresentazioni (di nuovo, idealizzate o persecutorie) che influenzeranno radicalmente lo sviluppo di certi “modelli interni di comportamento” e, a cascata, di certi pattern comportamentali, ovvero del “carattere propriamente detto”. In parallelo allo sviluppo del carattere avvengono anche l’integrazione ed il consolidamento delle varie rappresentazioni mentali del sé e degli altri: da questa “ricostruzione”, nel suo complesso, origina l’identità dell’Io: la rappresentazione integrata, globale e cristallizzata di se stessi nel contesto delle relazioni abituali con gli altri.
- Anche lo sviluppo di un sistema integrato di valori (Super-Io), per la cui descrizione Kernberg si rifà al lavoro di Edith Jacobson, deriva dalle relazioni oggettuali interiorizzate. Specificamente, esso deriverebbe da un particolare aspetto delle relazioni oggettuali, ovvero da un ampio spettro di richieste e proibizioni (inizialmente parentali, il “No!” della mamma, poi sociali) che danno avvio all’identificazione del bambino con i principi etici e morali che governano in primis la propria casa, e poi l’ambiente sociale. Questo sviluppo di un set di principi etici interiorizzati è parte fondamentale di una personalità sana, tanto che molti “disturbi gravi di personalità”, ovvero disturbi di personalità scarsamente trattabili, a prognosi negativa, presentano anomalie di questa componente specifica. Ad esempio, questo può avvenire nella forma di una mancata o insufficiente integrazione di questi valori nel contesto dell’identità, dinamica che clinicamente si esprime nello sviluppo di comportamenti antisociali.
- Il potenziale cognitivo individuale, o intelligenza, ha un ruolo rilevante nell’influenzare gli altri sistemi e, quindi, la personalità nella sua “manifestazione completa e finale”. In linea generale, tale influenza avviene attraverso la maggiore capacità di astrazione e di lettura dell’ambiente circostante posseduta dalle persone intelligenti. Non si tratterebbe però di un beneficio “a 360 gradi”, quantomeno in termini di “clinica dei disturbi di personalità”: l’Autore sottolinea infatti come si trovino soggetti con personalità patologica per ogni livello di intelligenza. Se da un lato infatti un grande potenziale di controllo cognitivo potrebbe, ad esempio, mitigare gli effetti negativi precoci di un ambiente traumatizzante, dall’altro la “razionalizzazione” di aspetti patologici del carattere può essere fortemente rinforzata da un alto potenziale cognitivo.