di Matteo Respino
In questo Commentary, recentemente pubblicato su Nature Neuroscience, JA Gordon fornisce una descrizione accurata di quella che sembra essere una delle strade oggigiorno percorse dalla ricerca in psichiatria, con le sue possibili direzioni, obiettivi, ma anche limiti e difficoltà. Così facendo, accenna ad una nuova figura che pare pronta a entrare in campo, dopo lungo tempo in panchina, nella partita contro la sofferenza mentale. Questo nuovo attore sarà il Circuit Psychiatrist.
Costui utilizzerà strumenti innovativi per l’identificazione e la manipolazione di specifici circuiti cerebrali. Una volta passata l’era della frenologia, quando si pensava che ad un’area cerebrale corrispondesse una funzione complessa, per molto tempo si è ritenuto folle poter associare specifici corrispettivi anatomo-funzionali a funzioni cognitive “di alto livello”. Con l’avvento della Circuit Psychiatry tale ambizione non può più essere ritenuta fuori portata: tale avvento corrisponde infatti alla nascita di un nuovo approccio allo studio delle funzioni mentali complesse: lo studio delle reti neurali. Utilizzando questa prospettiva “di circuito funzionale”, o “di rete”, sono stati sviluppati strumenti con la potenzialità di “accendere” o “spegnere” circuiti neurali che sottendono a specifici vissuti o corrispettivi comportamentali. L’Autore cita l’esempio dell’amigdala e dell’immenso contributo fornito allo studio dei suoi circuiti da diversi gruppi di ricerca, in primis dal gruppo di J. Le Doux. Oggi, infatti, sappiamo che a livello amigdaloideo alcuni circuiti consentono l’attribuzione di valenza positiva a situazioni/oggetti (sostenendo la “motivazione”), mentre altri sono alla base dell’attribuzione di valenza negativa (che sostiene ansia e i corrispettivi comportamentali di evitamento o fuga). L’Autore ci invita a immaginare una situazione in cui nuovi strumenti terapeutici, fondati su questo nuovo modello delle malattie mentali, consentiranno di ridurre l’attivazione dei circuiti che sostengono la valenza negativa, riducendo l’ansia, senza per questo spegnere/disattivare quelli che sostengono la valenza positiva e quindi la motivazione.
Innanzitutto tali circuiti potrebbero essere oggetto primario di manipolazione diretta. Un esempio è l’utilizzo della stimolazione magnetica transcranica (TMS), già ampliamente usata in contesto clinico. Nonostante la TMS sia già un trattamento disponibile e praticato, è come se oggi venisse praticata “alla cieca”. Infatti, poco ancora si conosce circa l’attivazione downstream di circuiti specifici indotta dalla stimolazione transcranica di un’area corticale o di un’altra. Per colmare questa lacuna, alcuni gruppi di ricerca stanno lavorando proprio all’identificazione delle conseguenze “circuitali” (e dei suoi corrispettivi comportamentali) secondarie alla stimolazione di alcuni aree corticali ben definite. La Circuit Neuroscience consentirà quindi di identificare target mirati per un ventaglio di possibili trattamenti “anatomo-specifici”. Un altro esempio, che in questo caso tocca il livello dell’azione molecolare, è l’utilizzo di vettori virali per ottenere effetti terapeutici agendo sui circuiti di livello sottocorticale, come nel caso della malattia di Parkinson.
Nonostante i grandi (e realistici) entusiasmi, la strada è ancora lunga. Sarà infatti necessario aumentare la consapevolezza sul “come” certi circuiti cerebrali degenerano, o “malfunzionano”, in certe patologie, e quantificare l’efficacia di eventuali nuovi interventi terapeutici fondati su queste basi. Infatti, per quanto tale ambito sia, di fatto, un’affascinante frontiera della psichiatria contemporanea, non è affatto detto che gli interventi sviluppati a partire dalla Circuit Psychiatry avranno la capacità/opportunità di divenire “costo-efficaci”: questo richiederà la dimostrazione di un’efficacia reale, un costo accessibile, e una semplificazione degli interventi che ne consenta la diffusione anche al di fuori di contesti altamente specializzati. Una strada sicuramente lunga da percorrere, ma molto promettente.
Link pubmed all’articolo: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27786177