di Luca Proietti
Il testo si apre con un’analisi sull’inflazione diagnostica ed il conseguente aumento della prescrizione di psicofarmaci, verificatasi in concomitanza con il passaggio dal DSM-III al DSM-5 e l’entrata in commercio di nuovi psicofarmaci, come gli antidepressivi SSRI (inibitori specifici della ricaptazione della serotonina) e gli antipsicotici atipici.
Gli autori sostengono, in accordo con Allen Frances, direttore della task force del DSM-IV, che all’aumento prescrittivo possa aver contribuito la medicalizzazione eccessiva di alcune “condizioni parafisiologiche”, ovvero condizioni cliniche a cavallo tra normalità e malattia. Tra queste, la depressione reattiva, il lutto, il disturbo disforico premestruale. Altro esempio portato è il disturbo oppositivo provocatorio, in cui spesso “le norme sociali e culturali vengono confuse con quelle biologiche, trasformando un comportamento socialmente fastidioso in una psicopatologia”.
Gli autori procedono con citazioni controcorrente rispetto a quelle della letteratura scientifica e opinioni di esperti. Tra questi vi sono Matthias Angermeyer e appunto Allen Frances che criticano il DSM-5 per le sue potenziali conseguenze in termini di inflazione diagnostica. Proprio in ragione di ciò, il libro è consigliato a tutti coloro che desiderano integrare le loro conoscenze sull’argomento con questo tipo di letteratura, e costruirsi una visione completa sul tema trattato.
Il filo argomentativo inciampa solo quando, in alcune occasioni, gli autori traggono a sostegno delle loro ipotesi considerazioni eccessive dagli articoli citati. Ad esempio, quando per dimostrare che i livelli cerebrali di dopamina e serotonina sarebbero normali nella Schizofrenia e nella Depressione, citano il lavoro di Post del 1975. Da questo studio in realtà si evince che solo i livelli dei metaboliti nel liquido cefalorachidiano risultano normali, e che correlano con il metabolismo dei neurotrasmettitori – ma non con i loro livelli cerebrali.
Di seguito alcuni temi riportati nel libro che ho apprezzato sia per il modo in cui sono stati affrontati sia per la loro peculiarità.
- Troverete un’agile descrizione dei due approcci alla psicofarmacologia: il modello centrato sul farmaco e quello centrato sul disturbo, con le rispettive evidenze.
- Gli Autori non risparmiano le critiche mosse dalla comunità scientifica e da psichiatri esperti ai nuovi antidepressivi, agli antipsicotici di seconda generazione e alla metodologia dei trial clinici di questi farmaci.
- Nel capitolo 5 troviamo le strategie per prescrivere eticamente e strategicamente una psicopillola. La regola dei tre di Ippocrate è utile nel valutare il rapporto rischi-benefici di un trattamento: “Vi sono pazienti che guariscono da soli, quelli che hanno bisogno di cure e quelli che non rispondo ad alcun tipo di trattamento”. Nella valutazione ricordiamoci anche che il costo economico è minore per alcuni tipi di psicoterapie che per la terapia psicofarmacologica, e di discutere con il paziente, ove possibile, sulle sue preferenze riguardo la terapia da adottare.
Psicoterapia, farmacoterapia o entrambe? Gli autori rispondono a questo interrogativo discriminando tra i disturbi in cui il farmaco risulta la parte centrale della cura, quelli in cui il farmaco facilita, sostiene la cura, e quelli in cui il farmaco è sopravvaluto (questi ultimi sarebbero, secondo gli Autori, i disturbi d’ansia, del comportamento alimentare, e il DOC).
Gli autori evitano, a mio avviso, la trappola in cui spesso si cade, per cui ogni professionista tende utilizzare la propria impostazione per tutti i pazienti, indipendentemente dal disturbo che presentano. Chi ha un approccio semplicemente biologico rischia di ricondurre tutti i quadri patologici a stati misti dell’umore del Disturbo Bipolare, i terapeuti psicodinamici a disturbi di personalità e gli strategici a casi da psicoterapia.
Caputo e la Milanese ci ricordano che la prescrizione di un farmaco ha importanti implicazioni non solo a livello biochimico ma anche a livello relazionale-comunicativo per il significato che trasmette, aspetto che troppo spesso è tralasciato. Con la terapia automaticamente si veicolano anche una diagnosi e una prognosi, che in alcuni casi possono divenire una condanna di cronicizzazione, tramite il meccanismo della “profezia autoavverante” (Watzlawick et al., 1971).
L’ultimo capitolo è dedicato alla fase della prescrizione, con il richiamo ai tre aspetti della cura Ippocratica: il tocco, il rimedio e la parola. A tal proposito gli Autori riportano che troppo spesso, soprattutto in psichiatria, il focus sulla “scientificità” ha come conseguenza una perdita in capacità di comunicazione. Sono in particolare gli aspetti emotivi, non-verbali e ipnotico-suggestivi a essere scotomizzati: questi potrebbero aumentare la compliance del paziente e potenziare l’effetto placebo, attivando le stesse vie neurochimiche dei farmaci (Carlino & Benedetti, 2016).
Nell’ultima parte del testo sono presentati concetti utili come: la “Reticenza Autorizzata” in cui si chiede al paziente il consenso a tacere i possibili effetti collaterali di un farmaco per evitare il rischio di indurglieli con effetto nocebo; vengono descritte alcune strategie per informarlo sugli effetti collaterali senza produrre effetto nocebo e vengono esplorate le “giuste leve” da ricercare per motivare un paziente al trattamento.
L’invito è quindi a dosare scrupolosamente la terapia psicofarmacologica e la psicoterapia per ogni specifico disturbo, ma ancor più importante è praticare entrambe in maniera corretta, liberandosi da pregiudizi e condizionamenti non scientifici.
Carlino & Benedetti, Different contexts, different pains, different experiences, Neuroscience 2016.
Post et al., Cerebrospinal Fluid Amine Metabolites in Acute Schizophrenia, Archives of General Psychiatry, 1975.
Watzlawick et al., Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1971