di Raffaele Avico
La letteratura in ambito psicotraumatologico che riporta dati rigorosi che attestino l’impatto dell’attività fisica sul PTSD, è in espansione ma ancora poco consistente in termini di protocolli standard e linee guida dettagliate su cosa possa giovare a pazienti affetti da PTSD conclamato. E’ noto l’impatto del PTSD sul corpo, evidenziato in molteplici studi su riviste di grande autorevolezza in senso scientifico, e ben spiegato nel lavoro di luminari nell’ambito che tracciano la via della psicotraumatologia del presente, come il famoso “The body keeps the score” di Onno Van Der Kolk.
Alcune riviste maggiori, come l’American Journal of Psychiatry (https://focus.psychiatryonline.org/doi/abs/10.1176/appi.focus.20170026?journalCode=foc), o il Journal of Clinical Psychology (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/jclp.22549), fanno riferimento a studi condotti di recente su pazienti affetti da PTSD, attraverso l’applicazione di esercizi inerenti il corpo: emerge l’importanza generica di effettuare attività fisica di natura aerobica e mirata a sviluppare “resistenza”, al fine di mitigare gli effetti somatici del PTSD (un ulteriore esempio qui, uno studio del 2015 che indagava gli effetti del praticare surfing su veterani di guerra affetti da PTSD: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25189537).
Lo studio prima citato pubblicato sul Journal of Psychology, presentava un protocollo standardizzato di 12 settimane su pazienti con PTSD, incentrato su attività fisica costante, yoga e mindfulness, con risultati sensibili sui sintomi del PTSD a fine percorso. Questo ulteriore studio del 2018 pubblicato su Journal of Thraumatic Stress (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/jts.22253), ha indagato l’effetto dell’esercizio fisico aerobico sull’attivazione del sistema endocannabinoide, evidenziando un aumento della produzione di endocannabinoidi a seguito di attività fisica prolungata, ma a quanto pare con minore intensità per i soggetti affetti da PTSD. Questo studio meta-analitico pubblicato nel 2017 su Disability and Rehabilitation (https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/09638288.2016.1226412?journalCode=idre20) ha ricapitolato 5 diversi studi per un totale di 192 pazienti affetti da PTSD, evidenziando benefici e suggerendo un generico “2 sessioni settimanali di resistance-training a settimana insieme a un 150’ di esercizio moderato o 75’ di esercizio vigoroso a settimana diviso in più sessioni”.
Su Acta Psychiatrica Scandinavica, questo studio randomizzato del 2014 (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/acps.12371) indaga la differenza tra un trattamento con o senza esercizio fisico su un gruppo di 81 pazienti con PTSD primario (diagnosticato sul DSM-IV, escludendo i casi in cui sarebbe stato meglio parlare di trauma complesso, o gli individui affetti da patologiche croniche a livello fisico che avrebbero confuso il processo di analisi), evidenziando un miglioramento maggiore tra chi trattato anche con l’ausilio di esercizio fisico (in questo caso 30’ di cardio-fitness a settimana supervisionato da un istruttore nel contesto dell’ospedale, due sessioni da effettuare a casa e un programma controllato di camminata minima -fino a 10000 passi- da fare al giorno per ogni soggetto). Questo studio rappresenta il primo tentativo sistematizzato di offrire una risposta ultima alla domanda se l’integrare un approccio incentrato sul corpo al trattamento usuale per il PTSD (formato solitamente da psicoterapia, approccio farmacologico e interventi di gruppo), offra risultati clinici duraturi nel tempo. L’articolo risponde, con i suoi risultati, in modo affermativo, con enfasi particolare posta sugli esercizi di resistenza e sugli esercizi aerobici, da usare di preferenza con questo tipo di pazienti.
L’impressione generale è che si vada verso una sempre maggiore integrazione di approcci a ispirazione cognitivista (quindi tecniche mutuate dalla CBT, come l’esposizione progressiva agli stimoli fobici per via immaginativa, oppure tecniche più recenti come l’EMDR), con approcci di natura somatica che funzionino in direzione bottom-up. C’è ottimismo in tal senso, vista anche la natura grandemente somatizzata dei sintomi del PTSD. Non esiste tuttavia in letteratura un protocollo di esercizi fisici standardizzato (cosa fare e con quale tipo di paziente) da applicare con pazienti affetti da PTSD. La maggiorparte degli studi rilancia a future esplorazioni la questione specifica di “cosa far fare” ai pazienti nel corso di un percorso di riabilitazione integrata che metta insieme psicoterapia, approccio psicofarmacologico e terapia incentrata sul corpo.
Per un approfondimento autorevole a rigiardo degli effetti sul corpo dello stress (in senso lato, non solo post traumatico): “Perchè alle zebre non viene l’ulcera?” di R.M. Sapolsky