di Raffaele Avico
Si è parlato molto negli ultimi mesi di un modello di intervento messo in atto in Islanda per contrastare il fenomeno dell’alcolismo e della tossicodipendenza tra gli adolescenti, che pare aver dato risultanti vistosamente soddisfacenti (dal 1998, i ragazzi forti consumatori di alcol sono scesi dal 48% al 5%, quelli consumatori di cannabis dal 17% al 7%, come evidenziato nell’immagine sottostante.). Al di là del sensazionalismo mediatico intorno a questi interventi, merita cercare di approfondire la questione per capire in che modo il metodo islandese abbia funzionato.
Il programma si chiamava “Youth in Iceland”, poi ripreso a livello europeo con il nome di Youth in Europe (http://youthineurope.org/), ha preso vita nel 1998 e come dicevamo ha condotto a risultati apparentemente radicali:
Il principio di fondo che ha mosso il progetto, dalla sua origine, è che per combattere le dipendenze occorre, oltre a tentare di curarle, fornire delle alternative valide che garantiscano un divertimento altrettanto allettante, non mediato però da sostanze. Come evidenzia brillantemente questo TED talk (https://www.ted.com/talks/johann_hari_everything_you_think_you_know_about_addiction_is_wrong), il contrario della dipendenza non è solo l’astinenza, ma anche e soprattutto la connessione (interpersonale, verso la famiglia, nei confronti della comunità di appartenenza, etc.).
Il progetto si è mosso seguendo due vie: un primo intervento comportamentale che ha creato una sorta di coprifuoco per i ragazzi adolescenti islandesi e ridotto l’accesso alle sostanze d’abuso (divieto di pubblicità di alcolici e tabacco, divieto di vendita di alcolici a ragazzi sotto i 20 anni), e un secondo intervento, più profondo, che ha previsto l’attuazione di un piano di inserimento dei ragazzi adolescenti entro programmi ricreativi ed educativi (corsi di arte, un’implementazione forte del tempo speso facendo attività sportiva).
Questo secondo intervento era stato motivato da una ricognizione iniziale attraverso un questionario somministrato nelle scuole, che aveva messo in luce un minor uso di sostanze d’abuso laddove il ragazzo adolescente mostrava di passare più tempo a casa e di avere un buon rapporto con la famiglia d’origine, e di partecipare a più attività sportive.
L’intervento, tanto intuitivo quanto difficile, nella pratica, da effettuare (non si trattava di fare semplice prevenzione o attuare politiche cliniche per i ragazzi colpiti di dipendenza, ma di rivoluzionare in parte il concetto di welfare, focalizzandolo e ritagliandolo intorno alle necessità pensate per ragazzi di quella fascia d’età), ha mostrato risultati tanto promettenti da far adottare il modello anche ad altre realtà (come la città di Istanbul e di Terragona in Spagna).
In Italia, l’unico comune aderente e sperimentale in questo senso è il comune di Santa Severina, in provincia di Crotone, Calabria, che promuove e adotta questo tipo di intervento, attraverso il coinvolgimento delle scuole (il questionario, presso Santa Severina, è stato somministrato a 50 ragazzi del liceo classico locale, poi spedito in Islanda per essere elaborato e usato infine come base per costruire i piani di intervento attivi, come si può approfondire qui: http://www.comune.santaseverina.kr.it/index.php?action=index&p=452).
L’adesione alla rete Youth in Europe prevede che il comune interessato si presti a una ricognizione per mezzo del questionario fornito dall’associazione islandese, sulle abitudini relative a cannabis, tabacco, alcol, sport, attività ricreative e qualità dei rapporti famigliari, dei ragazzi di 15-16 anni. L’associazione islandese ha il compito di elaborare i questionari e rispedirli al mittente, con un’idea di ciò che andrebbe fatto: ai singoli comuni poi il compito di attuare programmi di intervento a seconda delle realtà e possibilità locali.