di Luca Proietti
CONTESTO
Uno studio di tre ricercatori americani, tra i quali vi è Irving Kirsch di Harvard, ha evidenziato come il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) abbia caratteristiche specifiche di risposta alla terapia e al placebo, che lo differenziano da altri disturbi a componente ansiosa. Questo risultato è in linea con la nuova classificazione del DSM5, che separa il DOC dai disturbi ansiosi, e con le idee di alcuni autori che ritengono che i pazienti con DOC estendano il bisogno di controllo anche gli effetti della terapia psicofarmacologica. Il principio attivo del farmaco agisce, ma risulta ridotta la risposta aspecifica alla terapia (risposta placebo o mediata dal contesto) che contribuisce in maniera importante all’efficacia di ogni trattamento.
Recentemente la rivista Journal of Affective Disorders ha pubblicato una review di Sugarman, Kirsch e Huppert dal titolo “Obsessive-compulsive disorder has a reduced placebo (and antidepressant) response compared to other anxiety disorders: A meta-analysis”. A seguire un breve report su quanto sostenuto dagli autori nell’articolo. Link alla pagina: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=obsessive+compulsive+disorder+has+a+reduced+placebo
REPORT
L’ effetto placebo è la risposta terapeutica che si può osservare somministrando una pillola placebo (priva di principio attivo o inerte), ma che è anche presente in qualsiasi trattamento, essendo infatti attivata dal “contesto di cura”. L ’effetto finale di un trattamento attivo è quindi dato dalla somma degli effetti del principio attivo (componente specifica) e degli effetti provocati dal contesto (effetto placebo, componente aspecifica); somministrando una pillola inerte (pillola placebo) si otterrà unicamente quest’ultima risposta, come abbiamo qui approfondito.
Da ciò ne consegue che i disturbi con maggiore risposta “placebo” presentano meno differenza di risposta tra trattamento attivo e pillola inerte (differenza farmaco-placebo). La letteratura concorda: all’aumentare dell’effetto placebo diviene più difficile dimostrare un’efficacia reale e statisticamente significativa di un farmaco (Chen et al. 2011).
In questo studio gli autori hanno incluso nella loro meta-analisi tutti i clinical trials registrati (studi sperimentali) sul trattamento dei Disturbi d’ansia (DA) con antidepressivi, includendo anche quelli non pubblicati. Ciò ha permesso di evitare un bias (errore che falsa l’analisi) di selezione, derivante dal fatto che gli studi con esito positivo sono pubblicati con frequenza maggiore rispetto a quelli con risultato negativo (Roest et al., 2015).
Gli autori riportano che la risposta placebo ai farmaci antidepressivi è minore nel DOC, inoltre la differenza farmaco-placebo si riduce notevolmente includendo nell’analisi anche trial registrati non pubblicati.
La risposta al trattamento farmacologico, all’effetto placebo e la differenza farmaco-placebo variano considerevolmente da un disturbo d’ansia a un altro, mentre per ciascun disturbo d’ansia risultano simili indipendentemente dal principio attivo utilizzato.
DISCUSSIONE
Aspetti specifici di questo disturbo spiegherebbero la riduzione della risposta placebo e alla terapia psicofarmacologica:
- Il soggetto potrebbe attribuire ai rituali compulsivi invece che al trattamento la riduzione del disagio e dell’ansia derivante dalle ossessioni, riducendo così l’aspettativa positiva nel trattamento.
- Il paziente con DOC inoltre tende a preferire le compulsioni ai farmaci quale strategia per controllare l’ansia, con un rischio aumentato di ricaduta.
- L’età di insorgenza più precoce del DOC, rispetto ad altri disturbi d’ansia potrebbe comportare una maggiore durata di malattia e quindi resistenza ai trattamenti.
- I pazienti con DOC risultano spesso insicuri e tendono a dubitare eccessivamente, ciò può contribuire a ridurre nel tempo l’aspettativa positiva e quindi l’effetto placebo.
- La spiegazione più interessante parte dalla considerazione che la ripetizione di comportamenti stereotipati (come le compulsioni) o il controllo mentale compulsivo potrebbero paradossalmente diminuire la sicurezza e aumentare i dubbi, concorrendo al mantenimento del pensiero ossessivo. I pazienti con DOC potrebbero essere portati, per loro natura, a controllare e monitorare mentalmente l’efficacia del trattamento stesso, inficiando così il fenomeno dell’effetto placebo. I pazienti con DOC credono infatti che il ri-controllo abbia il potere di ridurre l’ansia e i loro sintomi, per questo sono indotti a controllare ripetutamente se il trattamento stia funzionando.
PROSPETTIVE
- Il fatto che il DOC abbia una ridotta risposta alla terapia antidepressiva e al placebo ha importanti implicazioni cliniche, anche perché un’importante meta-analisi (Cuijpers et al., 2013) ha dimostrato che nel DOC la psicoterapia potrebbe essere più efficace del trattamento farmacologico.
- La differenza farmaco-placebo deriva, oltre che dalle caratteristiche del disturbo, anche da fattori che i diversi trial potrebbero avere in comune. Tra questi i ricercatori mettono in guardia riguardo allo svelamento del cieco, (il paziente e/o il clinico identificano qual è il gruppo dello studio che riceve il trattamento attivo e quale quello trattato col placebo). Fenomeno che spesso avviene per gli effetti collaterali e causa la sovrastima dell’efficacia di un farmaco.
BIBLIOGRAFIA
De Vries et al. Influence of baseline severity on antidepressant efficacy for anxiety disorders: meta-analysis
and meta-regression. Br. J. Psychiatry 2016; 208, 515–521.
Chen et al. Evaluation of performance of some enrichment designs dealing with high placebo response in psychiatric clinical trials. Contemp. Clin. Trials 2011; 32, 592–604.
Cuijpers et al. The efficacy of psychotherapy and pharmacotherapy in treating depressive and anxiety disorders: a meta-analysis of direct comparisons. World Psychiatry 2013; 12, 137–148.
Huppert et al. Differential response to placebo among patients with social phobia, panic disorder, and obsessive-compulsive disorder. Am. J. Psychiatry 2004; 161, 1485–1487.
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Roest et al., Reporting bias in clinical trials investigating the efficacy of second-generation antidepressants in the treatment of anxiety disorders: a report of 2 meta-analyses. JAMA Psychiatry 2015; 72, 500–510.
Van den Hout et al., Phenomenological validity of an OCD-memory model and the remember/know distinction. Behav. Res. Ther. 2003a; 41, 369–378.
Van den Hout et al., Repeated checking causes memory distrust. Behav. Res. Ther. 2003b; 41, 301–316.