di Raffaele Avico
Nel suo libro “Il mondo nella mente”, l’epistemologo Mario Galzigna esegue un’analisi accurata di ciò che dal suo punto di vista rappresenta l’humus dal quale si sarebbe sviluppata la psichiatria moderna, partendo da un’analisi storico-filosofica della psichiatria per come la conosciamo. Epistemologia, l’autore ci insegna, è l’insieme degli assunti su cui si fonda un determinato sapere, e nessun ambito scientifico ne è esente, in particolar modo laddove si utilizzi, come metodo conoscitivo, il metodo ipotetico induttivo (partendo cioè da evidenze fino ad arrivare ad assiomi postulati in base al ricorrere di queste stesse evidenze, metodo mai perfetto, per sua natura, su cui si fondano le attuali scienze umane, medicina compresa).
Compiere un lavoro di analisi epistemologica a riguardo della salute mentale, obbliga chi la esegue a uno sforzo duplice: da un lato gli chiede di mettere in luce il percorso storico (la genealogia) che portò al formarsi di alcune convinzioni, dall’altro lo obbliga ad ammettere come ogni sapere debba contestualizzarsi entro un determinato scenario: l’etnopsichiatria e l’etnopsicoanalisi sono esempi lampanti di come, in culture diverse, germoglino forme diverse di sofferenza mentale. Secondo Galzigna il solo considerare come, in qualsiasi stato dell’Africa centrale, la malattia mentale non abbia né le fattezze né la rappresentazione sociale che ne abbiamo in Occidente, dovrebbe interrogare il clinico su come esistano assunti epistemologici e trame concettuali costituitesi storicamente, pertanto sempre ed indiscutibilmente contestuali, non assolute.
Eseguire un lavoro sull’epistemologia è tuttavia necessario affinché non ci si formalizzi entro percorsi concettuali rigidi, che rischierebbero di oscurare il campo di osservazione nei confronti della malattia mentale, fenomeno complesso e cangiante insieme alla cultura che lo ospita: in questo senso l’autore cita alcuni studiosi di antropologia clinica e medica impegnati a smascherare le sotto-trame epistemologiche dei sistemi di cura del mondo occidentale, come Tanya Luhrmann, che per 6 anni (dal 1989 al 1995) eseguì un lavoro di osservazione antropologica sul campo immergendosi nei luoghi di cura psichiatrica degli Stati Uniti, per arrivare alla stesura del suo volume Of Two Minds, nel quale rifletté sulla distanza apparentemente inconciliabile tra l’approccio neurobiologico e il mondo della psicoanalisi/psicoterapia in ambito di salute mentale. Un lavoro come quello dell’etnografo clinico, prosegue Galzigna, consente di operare un‘ascesi epistemologica: imparare quali sono gli assunti sui quali si ragiona in termini clinici, al fine di superarli, per andare oltre.
In questo senso, negli ultimi anni si è osservata una certa tendenza a movimenti convergenti di discipline che alla radice sembravano inconciliabili (per esempio la neuroscienza e la psicoanalisi, oggi conferite nella nuova -ma già auspicata da Freud- neuropsicoanalisi), che hanno trovato la loro giustificazione nelle scoperte relative a come l’ambiente possa modellare l’espressione genica (gli studi per esempio sull’apprendimento, o sull’ansia o la paura appresa). L’autore si augura, in questo senso, che sempre di più ci si possa muovere verso un approccio integrato.
Per operare il lavoro di ascesi epistemologica, e trascendere i limiti del proprio sapere, spesso cristallizzato dalla storia, Galzigna si spende in un’analisi di quelli che oggi possano essere strumenti concreti di emancipazione dal sapere costituito, soprattutto per quello che concerne il lavoro in ambito di salute mentale.
A questo proposito è interessante il capitolo sugli “psiconauti”, dove viene evidenziato come la frequentazione di luoghi di discussione anonima in rete su varie tematiche potrebbe regalare a un ipotetico psichiatria o terapeuta, un affaccio sulla reale diversità di quelle che sono le nuove forme del pensiero, ed eventualmente garantirsi una testimonianza diretta sulle nuove forme di psicopatologia o perversione. La Rete, sostiene l’autore, rappresenta un contenitore troppo ampio perchè non venga utilizzato per compiere escursioni in un “altrove” di questo tipo. Altro riferimento che Galzigna fa, il mondo del pre-verbale, via privilegiata d’accesso al nucleo più profondo di sé e dei pazienti (cita a questo proposito il lavoro sulle “parole prima delle parole” di Artaud e il suo teatro corporeo e violento, o le sperimentazioni di arteterapia che si fanno, anche oggi, nei CSM un po’ in tutta Italia). L’importanza dell’“immagine” e il suo recupero come strumento conoscitivo/espressivo, emerge potentemente dalle parole dell’Autore, insieme a una concezione plurale e molteplice dell’identità e del mondo interiore di ogni individuo, che andrebbe rispettata e cercata (“multum in parvo”, il molto nel poco)
Il libro, nel suo complesso, è una raccolta di riflessioni ispirata ed esternamente ricca di spunti intellettuali e di letteratura clinica. Primo fra tutti, il maestro intellettuale dello stesso Galzigna, Michel Foucault, con particolare riferimento al lavoro che Foucault fece sul rapporto tra potere e individuo, potere e società.
L’intento dell’autore è di ripensare l’epistemologia della cura, o almeno di prenderne coscienza per trascenderla, il tutto inserito nella cornice di un profondo rispetto umano verso l’unicità di ogni storia di vita di ogni singolo paziente.
Consigliamo la visione di questi video presenti sul canale di Psychiatry On Line con interventi dello stesso autore: