di Matteo Respino
Il recente approccio allo studio delle malattie mentali chiamato Research Domain Criteria (RDoC), del National Institute of Mental Health (NIMH), si pone come obiettivo di sviluppare nuove modalità di classificazione delle malattie mentali a partire da dimensioni comportamentali osservabili e marker neurobiologici. Per quanto tale approccio sia certamente innovativo e molto promettente, presenta alcuni limiti che è opportuno tenere presente.
Josef Parnas riassume tali limiti in un articolo del 2014, pubblicato su World Psychiatry, che titola “The RDoC program: psychiatry without psyche?” . Ecco una sintesi delle osservazioni proposte dall’Autore:
- Per quanto l’RDoC in una certa misura miri a superare la “riduzione” operazionalistica effettuata dal processo di diagnosi categoriale del DSM, allo stesso tempo introduce un diverso tipo di riduzionismo – anch’esso considerato dall’Autore come, in sostanza, neurocentrico. Nello specifico, un riduzionismo “type-type” che consiste nell’ identificare “componenti” (o dimensioni) della vita mentale con “componenti” o “tipi” di attività neurale.
- In un certo senso, operando tale identificazione l’obiettivo implicito (in effetti, nemmeno poi tanto implicito) è quello di superare la (necessità della) fenomenologia descrittiva. L’Autore sostiene che in realtà, per quanto innovativo, anche l’RDoC non consentirà però di superare il cosiddetto explanatory gap, o hard problem of consciousness, ovvero il problema che gli oggetti della psichiatria sono fondamentalmente esperienze soggettive e non “things”, “cose”. [Rimandiamo ad un altro articolo dell’autore sull’argomento]
- L’Autore sostiene che questo approccio potrebbe avere un effetto controproducente sulla ricerca empirica, poichè l’ipersemplificazione di stampo comportamentale delle dimensioni mentali, in assenza di un adeguato contesto descrittivo dei fenomeni in studio, rischia di “fare di tutta l’erba un fascio” e fondamentalmente di perdere quell’accuratezza che dovrebbe/potrebbe guidare i processi della ricerca empirica.
- In conclusione l’Autore mette in guardia dal rischio implicito nel perseguire una strada fondata sulla reificazione dell’esperienza soggettiva. Ci potremmo ritrovare con quella che Jaspers definiva una “psichiatria senza psiche”, situazione che metterebbe a rischio l’esistenza stessa della psichiatria in quanto disciplina accademica.