di Raffaele Avico
Introduciamo un saggio di Bernardo Paoli e Maria Sperotto, “Qual è il tuo obiettivo?”, incentrato sul macrotema del “goal setting”: come in seguito verrà esplicitato, si tratta di una tematica “trasversale”, adatta al lavoro con individui ma anche a contesti altri (aziende, istituzioni).
La parte introduttiva raccoglie riflessioni riguardanti quelli che Bernardo Paoli chiama “inclinazioni”, strutture di personalità “tipiche”, mosse da obiettivi impliciti primari (si veda qui per approfondire); riflette poi sul tema della complementarietà, che dal suo punto di vista rappresenta una risoluzione al problema degli opposti (qui, di nuovo, per approfondire).
Il punto centrale, il cuore del libro lo si scopre però procedendo nella lettura, arrivando al capitolo sul conflitto tra obiettivi, a una rassegna della letteratura inerente il tema obiettivi e al modello INSPIRE-MAP, che sintetizza le caratteristiche di un obiettivo “buono”.
Ci concentreremo qui sul tema “conflitto” tra obiettivi lasciando ai lettori il compito di approfondire il resto del libro.
Gli autori in questa parte del volume osservano con particolare raffinatezza clinica il tema del conflitto tra obiettivi, che può creare forti malesseri, blocchi nello sviluppo, paralisi/analisi nel cambiamento di un individuo.
Ne estraiamo qui alcune osservazioni:
- un primo livello di conflitto riguarda il conflitto tra obiettivi che gli autori chiamano orizzontale. Esistono diversi livelli di obiettivi, dal più “basso” al più “macro/meta”: entro ognuno di questi livelli possono essere presenti conflitti tra obiettivi, potenzialmente in grado di “crashare il sistema” di un individuo, dai dubbi più basici (dove vado in vacanza? mare o montagna?) a quelli più profondi e metacognitivi (famiglia o carriera?); lavorare con il paziente per produrre una chiarificazione dei conflitti, può portare quest’ultimo a sviluppare una gerarchia tra gli stessi
- il secondo riguarda conflitti verticali, che si sviluppano tra livelli diversi. “Volersi godere la vita nel presente”, può entrare in conflitto con “proteggersi da malattie metaboliche”, livelli diversi che riguardano archi temporali differenti -la quotidianità (oggi) e la vita nel suo insieme, per esempio
- gli obiettivi dovranno svilupparsi in modo coerente e gerarchico, permettendo all’individuo di muoversi nel suo vivere in modo più libero, consapevole di quali di questi di volta in volta persegue
- notevole il riferimento agli obiettivi “impliciti”, non consapevoli, maturati in epoche precoci dello sviluppo e in gradi di “remare contro” ad altre linee di sviluppo dell’individuo; anche qui, il fine del lavoro risulta essere la chiarificazione e lo svelamento del conflitto stesso, al fine di prioritizzare. Interessante l’espediente strategico che gli autori citano a inizio lettura, la domanda degli “estremi che svelano”, per cui si porta il conflitto di un individuo ai suoi estremi per capire cosa sceglierebbe in realtà, cosa metterebbe al primo posto tra due scelte possibili (preferiresti vivere tutta la vita, senza poter cambiare, in città o campagna? – domande di questo tipo forzano la scelta del soggetto, arrivando al cuore di quello che potenzialmente potrebbe essere la proprietà per lui/lei).
- Stando entro la cornice degli obiettivi in conflitto, è possibile che il non raggiungimento di un certo obiettivo stia in realtà soddisfacendo un altro obiettivo implicito, magari non riconosciuto (non raggiungo una stabilità relazionale -fallisco nell’obiettivo- perchè l’obiettivo implicito -retrostante- è quello di pensarmi libero -obiettivo raggiunto-)
- è fondamentale che il paziente riesca a vedere questi conflitti e si muova col terapeuta per scioglierli, isolando anche possibili “obiettivi canaglia”, rischiosi per altre aree delle vita o troppo “richiedenti” (il concetto di obiettivo canaglia è stato introdotto da Mark Cooper ed è sintetizzato qui, sul suo sito: a fine libro è presente anche un’intervista allo stesso Cooper).
Lo strumento più “forte” per lavorare sul conflitto tra obiettivi è stato chiamato in questo volume “cerchio risorse-obiettivi”, che merita un approfondimento dedicato.
CERCHIO RISORSE-OBIETTIVI: lo strumento definitivo per lavorare sui conflitti tra obiettivi e le risorse
Gli autori del volume, dopo aver parlato a lungo di conflitti e aver presentato il modello INSPIRE-MAP, propongono uno strumento per lavorare sugli obiettivi partendo dalle risorse.
Propongono di disegnare due cerchi concentrici: in quello più interno andranno elencate le risorse possedute dal soggetto (materiali, cognitive, relazionali, spirituali), in quello più esterno gli obiettivi. In un gioco poi di creazione di connessioni tra elementi, come fosse una sorta di sociogramma, al paziente viene chiesto di tracciare delle linee a unire risorse e obiettivi (con questa risorsa, quale obiettivo posso raggiungere?): facendo questo lavoro potrà produrre un’immagine di questo tipo (estratta dal volume):
Qui la consegna esatta:
LE ISTRUZIONI PER CREARE UN CERCHIO RISORSE-OBIETTIVI
Prendi carta e penna e disegna due cerchi concentrici. Il cerchio interno è dedicato alle tue risorse, quello esterno ai tuoi obiettivi. Nel cerchio interno inserisci, in modo sintetico, le risposte alle seguenti domande:
- «Che cosa sta andando bene nella mia vita?»,
- «Quali sono i risultati che ho raggiunto?»,
- «Cosa sta accadendo nella mia vita che voglio continui ad accadere?»,
- «Che cosa mi piacerebbe continuare a fare?»,
- «In cosa mi sento bravo?»,
- «Di che cosa sono soddisfatto?».
Si tratta delle risorse su cui poter far leva per raggiungere i tuoi obiettivi. Nel cerchio esterno inserisci, sempre in modo sintetico, le risposte alle seguenti domande:
- «In che cosa vorrei essere diverso?»,
- «Che cosa desidero ottenere?»,
- «Che cosa voglio migliorare?»,
- «Quali nuove competenze vorrei acquisire?»,
- «In quale nuova direzione vorrei andare?»,
- «Quali sono i miei obiettivi?».
Fra tutto ciò che hai scritto nel cerchio esterno degli obiettivi, identifica qual è il più urgente al momento. Poi chiediti:
- «Fra le risorse del cerchio interno, quali sono quelle su cui posso far leva per raggiungere quell’obiettivo?».
Ogni volta che ripenserai al tuo obiettivo, anziché cercare nuove soluzioni, focalizzati sulle risorse già disponibili, e su come utilizzarle in modo finalizzato.Ti consigliamo due ulteriori focus. Il primo consiste nel chiederti, per ciascun obiettivo che hai indicato, quali sono le risorse connesse. Poniti poi le seguenti domande:
- «Ho tutte le risorse necessarie per raggiungere tutti i miei obiettivi?», se no, valuta dove reperire le risorse che ti mancano.
- e «Fra tutte le risorse che ho indicato, ve n’è qualcuna che è multi finale, ovvero che serve la realizzazione di più obiettivi in contemporanea?»; se sì, si tratta di una risorsa-chiave.
Il secondo focus consiste nel valutare se alcune tue risorse sono contro finali, ovvero se sono di ostacolo anziché rappresentare una facilitazione.
…
Osservando le diverse connessioni tra gli elementi, notiamo che alcune risorse sono collegate a più obiettivi: queste risorse vengono chiamate dagli autori risorse chiave, “multifinali”, particolarmente “potenti” nel favorire il raggiungimento di determinati obiettivi per il soggetto; altre linee, barrate, rappresentano elementi tra di loro in conflitto, chiamati “controfinali”.
Come si osserva questo cerchio mette in evidenzia chiaramente, da subito, i conflitti tra obiettivi: ha il pregio inoltre di poter essere usato in differenti contesti (pensiamo per esempio a come uno strumento del genere possa essere usato anche in ambito di analisi/organizzazione aziendale, lavorando per esempio sulla cultura di un’azienda, tra gli obiettivi in conflitto in ambito di “business”). Rappresenta dunque uno strumento duttile, applicabile in ambiti diversi.
Ulteriori aspetti di nota (invitiamo il lettore a leggere il libro per intero):
- Il capitolo sulla “significatività” degli obiettivi, il che rimanda al tema sul senso della vita, invitando i professionisti a lavorare sugli elementi che per il paziente “rendono la sua vita degna di essere vissuta”
- Il capitolo sul nuovo realismo ispirato al lavoro filosofico di Maurizio Ferraris, che si costituisce come “presupposto” epistemologico dell’intero libro, in qualche modo giustificando l’intero affondo degli autori sul tema “obiettivi”. Per “nuovo realismo” si intende qui un approccio alla realtà a metà tra realismo (la realtà esiste e noi non ci possiamo fare nulla) e antirealismo/costruttivismo radicale (la realtà è completamente creata da come la leggiamo/vediamo o da come la narriamo), un “giusto mezzo” che considera la realtà esistente, ma modellabile (“inclinati, ma liberi”). Per un approfondimento su questo modo di intendere il rapporto realtà/individuo, si veda questo
- Un’intervista a Mark Cooper sulla scienza del goal-setting. Cooper osserva come sempre più si osservi, entro differenti matrici teoriche della psicoterapia (psicoanalisi, psicoterapia CBT, etc.), un’attenzione al tema “obiettivi” (magari chiamati con nomi diversi -“direzionalità”, “scopi”). Interessante l’osservazione per cui il terapeuta a volte aiuta il paziente a osservare “obiettivi nascosti”, impliciti; abbiamo prima osservato come a volte fallire alcuni obiettivi possa essere pensato come una vittoria in realtà di altri obiettivi, posti su “livelli diversi” o più impliciti: fondamentale portare alla luce obiettivi e lavorare -ancora una volta- sui conflitti tra di essi
- Un capitolo sulle domande “strategicamente orientate” per portare alla luce gli obiettivi (a proposito delle “domande” in psicoterapia breve o strategica rimandiamo a questo precedente post, in qualche modo affine) e un interessante affondo su modalità visive/percettive di portare alla luce obiettivi (gli autori osservano come la nostra mente sia “immaginativa” e “narrativa”), che nel testo viene esemplificata tramite la descrizione della cosiddetta “passeggiata artistica”, un esercizio “sensoriale” volto a bypassare gli strumenti più “cognitivi” della propria psicologia, per fare emergere, appunto, scopi e obiettivi; riportiamo qui di seguito la consegna nella sua interezza, sempre tratta dal libro:
Passeggiata artistica
Scegli un museo d’arte che ti ispira (per esempio di arte contemporanea) e passeggia tra le varie opere, lasciandoti “chiamare” da un’opera esposta come se quell’immagine esercitasse su di te un’attrazione magnetica. Fai sì che la scelta avvenga in modo spontaneo, che risulti inizialmente inspiegabile («Non so perché, ma quest’opera mi dice qualcosa, ma non so cosa»). È come se fosse l’opera a scegliere te e non il contrario: gli occhi ti restano attaccati a quell’immagine; semmai neanche ti piace, o forse ti turba, ma sicuramente ti “parla”.
Una volta scelta l’opera, soffermati a contemplarla. Lascia che i tuoi occhi si riempiano e si nutrano di quell’immagine e, dopo qualche minuto di contemplazione, chiediti: «Che cosa mi attira così tanto di quest’opera d’arte?», «Che cosa mi sta dicendo? Qual è il messaggio per me? Che emozione mi suscita?», «Che cosa di me e della mia storia vedo riflessi in lei?», «Se quest’opera rappresentasse un mio problema di oggi, che problema sarebbe?», e «Se volessi cercare una soluzione a questo problema, in quale altra opera presente nel museo posso trovare un indizio risolutivo?». Metti tutto per scritto, in un taccuino che avrai acquistato prima di entrare nel museo.
Guarda poi chi è l’autore dell’opera, qual è il titolo e la sua storia. Leggi anche la recensione fatta dal curatore della mostra. E chiediti se queste informazioni acquisite arricchiscono di altri significati ciò che l’opera d’arte ti ha suscitato.
Acquista infine nel bookshop del museo la cartolina che la ritrae, in modo tale da poterla contemplare anche una volta tornato a casa. E acquista due ulteriori cartoline di altre due opere d’arte, usando il medesimo criterio della scelta “a pelle”. Disponi poi le tre cartoline acquistate nell’ordine che a te pare corretto, e scrivi un racconto che metta insieme tutte e tre le immagini. Per aiutarti a restare sul piano metaforico, puoi iniziare con «C’era una volta…». Non si tratta di un esercizio di scrittura creativa, ma di un’esperienza espressiva: non cercare l’estetica (non importa che la storia sia bella e ben scritta), ma l’espressività (importa che emerga spontaneamente). Dopo averla scritta, chiediti: «Quali parti di me e della mia vita sono riflesse nel racconto che ho scritto?», «Oggi, in quale delle tre immagini mi trovo?», «Ci sono dei nodi che restano in sospeso nella storia? Se sì, come potrebbero essere sciolti?».
Metti tutto per scritto, e lascia decantare il materiale per qualche giorno, per poi rivalutarlo domandandoti se ci sono degli obiettivi di coltivazione personale che emergono da questa esperienza.
Per approfondire, questo videocorso. Qui invece altro su Bernardo Paoli, su questo blog.
Ps tutto il materiale su trauma e dissociazione presente su questo blog è consultabile cliccando sul bottone a inizio pagina (o dal menù a tendina) #TRAUMA.


