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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

4 November 2024

Una buona (e completa) introduzione a Jung e allo junghismo. Intervista ad Andrea Graglia

di POPMed

Abbiamo registrato un’approfondita intervista sui temi dello junghismo con Andrea Graglia, psicoanalista junghiano di Torino.

É qui raggiungibile (riservata agli iscritti POPMed).

Andrea si occupa attivamente di divulgazione a riguardo dei temi dello junghismo, per esempio sul suo profilo Facebook.

Le domande che gli abbiamo posto sono state incentrate su diversi aspetti del pensiero junghiano: dalla sua visione dell’inconscio, sia personale che collettivo, ai complessi, agli archetipi e alla figura dell’Ombra. Ci siamo soffermati anche sulla rottura con Freud, analizzando le cause di questa separazione, e abbiamo esplorato i concetti di maschile e femminile, il ruolo dei sogni nella psicoterapia junghiana, e l’utilizzo del sand-play e dell’immaginazione attiva.

Jung ha raccolto, nel corso della sua vita e della sua carriera, e forse ancor più dopo la sua scomparsa, una sterminata compagine di proseliti, studiosi, interessati e psicoterapeuti, vista la ricchezza del suo pensiero, la fecondità delle domande che ci ha posto, l’inesauribilità dei suoi scritti.

Alla fine di questa lunga chiacchierata, Andrea ci ha fornito diversi spunti di approfondimento, che riportiamo qui di seguito; alleghiamo anche il video su Youtube che ha citato nell’intervista.

Per approfondire:

  1. La bellissima autobiografia di Jung, dettata alla sua fidata collaboratrice Aniela Jaffè
  2. Tra i suoi scritti, meritano particolare attenzione le sbobinature de suoi seminari (per es. i seminari sulle visioni e sull’analisi dei sogni)
  3. A proposito del concetto di ombra, i lavori di Marie Louise Von Franz (in particolare L’ombra e il male nella fiaba)
  4. Gli scritti di James Hillman, il più “eretico” degli junghiani
  5. Questo volume di Neumann
  6. infine, questo documentario (con il contributo di Daniele Ribola):

Buon ascolto!

Article by admin / Generale / interviste

17 October 2024

TRAUMA E PSICOSI: ALCUNI VIDEO DALLE “GIORNATE PSICHIATRICHE CERIGNALESI 2024”

di Raffaele Avico

Da poco è stato pubblicato sul canale youtube di Psychiatry On Line una playlist di video che raccoglie alcuni interventi specialistici sul tema “trauma e psicosi”.

L’occasione è stata quella delle “giornate psichiatriche cerignalesi“, evento che ogni anno raccoglie specializzandi e psichiatri sulla sua montagna dell’appennino ligure-piacentino, organizzato dalla Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica.

Figurano in questa playlist diversi nomi interessanti, che hanno ragionato sul rapporto tra eventi traumatici singoli o ripetuti, e lo sviluppo di successive forme di psicosi. Carlo Ignazio Cattaneo, per esempio, porta il tema del “vuoto nosografico” relativo alle forme di psicosi post-traumatiche. Paolo Calini (membro AISTED) approfondisce gli incastri tra dissociazione e psicosi, ragionando sull’importanza di integrare la teoria di Janet (padre -ricordiamolo- dell’attuale psicotraumatologia) all’attuale concettualizzazione della psicosi.

Sulle implicazioni delle conseguenze del trauma sullo sviluppo di disturbi psicotici, si vedano anche questo lavoro e questo approfondimento, sempre a proposito del sintomo “voci”.

Un’apertura così forte al tema “psicosi post-traumatica” da parte di personaggi di spicco (e giovani) in seno alla “nuova” psichiatria, porta a riflettere su quanto erroneo possa essere declassare la teoria del trauma a semplice moda passeggera.

La playlist è qui raggiungibile.

Article by admin / Generale / ptsd

10 October 2024

“LA GENERAZIONE ANSIOSA”: RECENSIONE APPROFONDITA E VALUTAZIONI

di Raffaele Avico

PREMESSA: per ragioni di comodità in alcuni passaggi si è usato il maschile sovraesteso

“La generazione ansiosa” viene tradotto e pubblicato recentemente da Rizzoli; è un saggio da un titolo forte, che però merita una lettura approfondita, vista l’attualità dei suoi contenuti, e i dati allarmanti riguardanti la salute mentale dei giovani, da più parti denunciate.

Il volume si presenta come una sorta di mega-indagine, una vera e propria inchiesta giornalistica che mette in ordine e sistematizza i più recenti dati a riguardo della salute mentale dei giovani in relazione all’utilizzo di smartphone e social-media, con un focus sul periodo 2010-2015, cornice temporale che ha ospitato diverse innovazioni tecnologiche largamente disruptive, tutte insieme (iphone, app gratuite in cambio di pubblicità, social media, telefoni dotati di telecamere frontali, internet per tutti sempre e ovunque), in grado di avviare un cambio di paradigma a livello di relazioni e comunicazione tra gli individui -per le fasce d’età più giovani coincidente con quello che l’autore chiama, un po’ drammaticamente, la “Grande Riconfigurazione dell’Infanzia”.

Qui ne faremo una recensione approfondita, cercando di cogliere gli aspetti più importanti di quello che l’autore ci vuole passare.

Jonathan Haidt è un professore universitario a NYC, e già in precedenza, con questo libro, aveva indagato la salute mentale giovanile; i suoi studi si posizionano al confine tra la psicologia sociale e la sociologia: ha anche avviato un sito da usare come strumento a latere della lettura, questo: https://www.anxiousgeneration.com/

Vediamone alcune parti di “la generazione ansiosa” in dettaglio, procedendo nella lettura:

  1. Nella prima parte del suo lavoro H. presenta il suo concetto di “Grande Riconfigurazione dell’Infanzia”: la sua idea è che dal 2010 al 2015 qualcosa sia accaduto, e che l’infanzia abbia preso forme nuove, correlate all’introduzione di device tecnologici estremamente additivi, precedente a un preoccupante aumento di disturbi internalizzanti per le femmine in età adolescenziale ed esternalizzanti per i maschi nella stessa età. Il libro è stato scritto nel 2023, è quindi molto attuale: il problema del “malessere psicologico nei giovani” è sulla bocca di tutti.
  2. Il vero fattore discriminante, secondo Haidt, è rappresentato dalla pervasività di utilizzo dei device, che da un certo tempo in poi (l’Iphone è stato introdotto nel 2007), ha garantito di essere tutti sempre connessi -ancor di più dopo l’introduzione dei social network
  3. Haidt ragiona sul fatto che se il malessere dei/le ragazz* in età adolescenziale fosse causato da elementi di macro-contesto nel mondo reale (come crisi economiche o guerre) altre epoche avrebbero dovuto essere più tragiche (come il 2009): no, secondo l’autore parliamo di qualcosa successo nella prima metà degli anni ‘10, e non “esterno”/riguardante guerre, epidemie o altro. Anzi, in questi ultimi casi -l’autore sottolinea-, a volte le comunità fanno gruppo e sperimentano paradossali effetti positivi in senso psicologico
  4. Nel secondo capitolo, Haidt parte da alcune considerazioni riguardanti lo sviluppo “sano” di un bambino, soprattutto nella lenta gestazione delle sue abilità psicosociali/cognitive: tante di queste abilità, il bambino le sviluppa impegnandosi in un’attività sincrona e basata sulla sintonizzazione emotiva con l’altro -attività come il gioco sociale.
    L’autore si chiede cosa produca un bombardamento mediatico operato su di un cervello malleabile come argilla negli anni cruciali, anni come quelli della preadolescenza, arrivando a parlare di un passaggio da un’“infanzia basata sul gioco” ad un’“infanzia basata sul telefono”.
    Haidt parla di una “riconfigurazione” vera e propria dell’infanzia, che attraverso il telefono sarebbe stata espropriata delle attività che evoluzionisticamente sarebbero state più importanti (come appunto il gioco sociale sincrono, la sintonizzazione affettiva, l’autoregolazione nel gruppo dei pari). Sottolinea a proposito di questo l’importanza del gioco “rischioso”, corporeo, citando diversi studiosi che lo  approfondiscono (si veda per esempio questo studio): la natura del bambino è antifragile, necessita cioè di “perturbazione e stress” per evolvere
  5. Nel quarto capitolo l’autore apre il macro-capitolo “pubertà”, età particolarmente delicata in termini di “finestra di apprendimento” soprattutto a livello culturale/di conoscenza (si veda questo approfondimento su “La mente adolescente” di Daniel Siegel): qui pone il problema degli “inibitori di esperienze” (la cultura dell’iperprotezione che Haidt chiama safetyism e la dipendenza da smartphone), e riflette sull’assenza di riti di passaggio (almeno non nel mondo online, esente da questo tipo di logiche)
  6. Proseguendo nella lettura del libro, Haidt fa un veloce excursus storico a partire dal lancio del primo Iphone nel 2007, attraverso la creazione delle prime app (prima a pagamento, poi sostenibili a partire dalla pubblicità) fino ai giorni nostri; parla quindi del notorio “circuito di ricompensa” e di come si possa sviluppare una dipendenza da smartphone, che ritiene “attivamente progettata” negli anni del lancio dei primi social network dai fondatori delle app stesse. Si trattava di ingenerare dipendenza nei ragazzini che avrebbero usato il social, obbligandoli a passare più tempo possibile sulle piattaforme. Ma come fare? Il meccanismo è quello della ricompensa “non garantita”. Così come avviene nel gioco d’azzardo, far seguire a una determinata azione una ricompensa sviluppa un apprendimento veicolato dal rilascio di una certa quantità di neurotrasmettitori: la ricompensa non dev’essere però garantita, per poter ingaggiare in modo più forte chi ne dovrebbe fruire -si evita così l’abituazione ad essa e il darla per “scontata- : il meccanismo è largamente studiato ed è appunto alla base del meccanismo che regge (e avvia) il disturbo da gioco d’azzardo patologico.
    In più, Haidt ragiona sull’elemento “attivo” inerente gli aspetti di rinforzo, ovvero la possibilità da parte dei fruitori di essere in prima persona coinvolti, essendo che l’oggetto del reward è la propria immagine, la rappresentazione sociale di sé. In questo modo, Haidt sostiene, si arriva a un passaggio fondamentale, la generazione di un meccanismo di aggancio basato non solo su trigger esterni (come la notifica, il suono che richiama l’utente al device), ma su trigger interni, “formulazioni mentali”, “call to action mentali” in grado di attivare il soggetto alla compulsione e di disturbare il normale flusso dei suoi pensieri; veri e propri “pensieri-trigger” sospinti alla coscienza dalla “fame” di rilascio neurotrasmettitoriale, come d’altronde accade in ogni dipendenza: “chissà se avrò ricevuto notifiche”, “devo assolutamente controllare”, etc.
  7. Correlazione? No, causa. Proseguendo nella lettura, Haidt propone con forza l’idea che i disturbi psicopatologici osservati a partire dalla finestra temporale 2010-2015, debbano essere attribuiti ai prima descritti cambi di abitudini a riguardo del rapporto con gli oggetti tecnologici. Mette insieme una mole impressionante di dati, che si possono recupare qui.
  8. Nella quarta parte del libro, Haidt seleziona e presenta ulteriori studi, a tratti assumendo un tono paternalistico, moralizzante: unici elementi degni di nota, la questione del maggior impatto dell’utilizzo dei device sulle ragazze, e il tema del distacco progressivo dagli ambienti naturali, alla cui frequentazione l’evoluzione ci avrebbe chiamati: a contatto con la natura, e in generale nella “realtà”, siamo esposti sia a dolore (un rifiuto “dal vivo”, un infortunio corporeo) che ad esperienze trasformative e positive, anche in senso spirituale (per mezzo di attività corali, fatte insieme, funzionali appunto al trascendere -come assistere ad un concerto dal vivo).

Che fare, dunque?

La seconda parte -più breve- del volume, è incentrata su quello che i governi, le scuole e i genitori dovrebbero fare per contrastare il processo di “riconfigurazione dell’infanzia” citato dall’autore.

I capitoli che si susseguono in questa seconda parte, sono per lo più ripetizioni di due concetti fondamentali:

  1. è necessario rivedere e ripensare le norme (e anche le leggi) con cui permettiamo agli individui minorenni di accedere alle pagine internet. Il problema che l’autore pone in tutto il libro, viene anche qui riproposto: abbiamo concesso una libertà smisurata e non protetta alla navigazione su internet, e allo stesso tempo stiamo iper-proteggendo nel mondo reale i bambini e gli adolescenti, inabilitandoli alle esperienza di crescita fondamentali
  2. riprendendo il tema prima accennato, l’autore suggerisce di contrastare la tendenze al safetyism, all’iper-protezione, lavorando (pensando alle nuove generazioni) per la promozione di una maggiore connessione alla vita reale, offline

In conclusione, il volume come prima accennato rappresenta un’indagine -scritta in modo semplice, spesso ridondante- a riguardo degli impatti dell’utilizzo di smartphone e social media sulla salute mentale di ragazz* cresciuti nel periodo “critico” tra 2010 e 2015.

Le parti più interessanti del volume sono quelli inerenti gli studi a riguardo del potere dipendentogeno dei device tecnologici: non rivelano nulla di veramente nuovo, ma sistematizzano gli studi che negli ultimi anni sono stati pubblicati, fornendo prove convincenti a riguardo di una effettiva causalità tra l’immissione nel mercato dei suddetti strumenti tecnologici e il peggioramento della salute mentale delle generazioni che, in quegli anni, si stavano formando.

Declassare una valutazione approfondita come quella eseguita da Jonathan Haidt a “boomerismo”, “trombonaggine” o generico “luddismo”, equivale a non prendere seriamente in considerazione la questione, problematizzandola come è necessario fare. Giungere alla conclusione che “è sempre successo così”, che “ogni cambio di paradigma ha pro e contro”, rischia nuovamente di lasciare tutto così com’è, senza che nessuno faccia nulla nè per avallare, né per modificare/raddrizzare/intervenire sullo stato delle cose.
Perchè inoltre -l’autore si chiede-, spostiamo sempre la questione su problemi “precedenti” che sarebbero la causa “prima”, originaria dei problemi di dipendenza dei ragazzi? Non possiamo intervenire su entrambi i momenti del problema, su tutti gli elementi in gioco di questo fenomeno, senza accanirci su “cosa venga prima” -domanda peraltro difficile, se non impossibile, da indagare?

Tendenzialmente, abbiamo a che fare con una nuova, subdola e ormai endemica nuova forma di dipendenza comportamentale, rinforzata da meccanismi neurobiologici invincibili e inevitabili, soprattutto in chi ha il cervello in maturazione. La sensazione tuttavia è che, al momento, questa nuova forma di dipendenza non sia veramente problematizzata né pensata come tale: altre questioni sembrano sempre più attuali, forse perchè esiste un qualcosa da combattere attivamente, in senso fisico. Perché viene combattuta così ferocemente la cannabis legale, per fare un esempio, e ci si muove con lentezza da pachiderma nel normare l’accesso a siti dannosi per la salute mentale di individui in pieno sviluppo?

Nella parte finale di questo libro, Haidt osserva che sarebbe sufficiente ipotizzare l’intervento di aziende terze coinvolte al fine di controllare che i ragazzini che accedono a social o siti di pornografia siano effettivamente nell’età per farlo: non necessiteremmo di chissà quale tecnologia, sarebbe sufficiente un portale a cui autenticarsi con il proprio documento d’identità, che intercedesse per il soggetto stesso quando questi dovesse entrare in un determinato sito -garantendogli/le allo stesso tempo l’anonimato.

In ultima analisi, i limiti di questa indagine sono di ordine strettamente statistico: pur con questa enorme mole di dati, sembra difficile parlare di una causalità diretta: troppe variabili confondenti sporcano gli esperimenti, rendendo complicato tracciare una linea causale netta (per ora).

É indubbio tuttavia che a un’osservazione attenta, gli effetti dell’utilizzo compulsivo di uno smartphone -con tutto quello che al suo interno vi si possa rintracciare- sono evidenti, almeno agli occhi di un operatore della salute mentale: vanno dal modellare l’architettura dell’attenzione, al “bucare” la forma del pensiero (i trigger interni di cui prima scrivevamo, pensieri intrusivi in grado di portare l’attenzione al device, obbligandoci compulsivamente a ritornare ad esso) fino ad alterare il circuito del reward ingenerando una dipendenza comportamentale “nascosta” -allo stato delle cose accettata socialmente, per nulla problematizzata.

Recentemente è stato pubblicato un articolo abbastanza stupefacente, che indaga il concetto di “salienza” in relazione allo smartphone; il punto di questo studio era dimostrare come la semplice presenza del telefono nei pressi di un individuo, fosse in grado di assorbire una quota significativa delle sue capacità cognitive, di fatto diminuendole.
Si tratta di uno dei primi studi che indagano l’effetto della semplice presenza dello smarphone sulle capacità cognitive e attenzionali di un individuo, senza che necessariamente vi sia un altro compito da svolgere o un’interazione fisica con il telefono. Inoltre, gli autori sottolineavano che l’effetto pareva presentarsi anche nella consapevolezza a riguardo dello spegnimento del telefono stesso, o con lo schermo non visibile, cosa che dovrebbe farci ragionare sul potere che questo oggetto ha nel contesto delle nostre vite quotidiane. Sembrerebbe esistere, gli autori spiegano, una sorta di bisogno “sub-cosciente” di “monitorarlo”. Concludono con un consiglio chiaro: “however, our data suggest at least one simple solution: separation”.

Tornando e concludendo sul libro di Haidt, La generazione ansiosa rappresenta una fotografia di estrema attualità dello stato di salute mentale delle generazioni dei ragazzi nati a partire dalla seconda metà degli anni ‘90, con un focus sulle implicazioni dei profondi sconvolgimenti in campo tecnologico che a partire dagli anni ‘10 del 2000, si sono succeduti con impressionante velocità.
Al centro della sua indagine, Haidt pone i rischi di una forma endemica di dipendenza comportamentale che attribuisce all’uso pervasivo di device tecnologici portatili, fornendo alcune indicazioni generiche su temi di “ecologia della mente”, aiutando il lettore a porsi in una relazione consapevole con questi strumenti tecnologici, finalmente e coraggiosamente problematizzando la questione.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Generale / recensioni

7 October 2024

Speciale psichedelici, a cura di Studio Aegle

di redazione POPMed

PREMESSA: abbiamo chiesto a Caterina Bartoli (aka Studio Aegle –linktr.ee/studio_aegle) di consigliarci 10 articoli “imperdibili” -più o meno recenti- a proposito di psichedelici e loro utilizzo in ambito psicoterapeutico/psichiatrico. Cogliamo l’occasione per spingere una realtà italiana appena nata ma molto promettente -di cui Caterina fa parte- impegnata in ambito di psichedelia, la SIMEPSI, Società Italiana Medicina Psichedelica (qui una presentazione).

Buona lettura!

1. 24 anni fa (ketamina)

Nel 2000, basandosi su una lunga serie di ricerche precliniche in cui si evidenziava il possibile ruolo dei recettori NMDA nella patofisiologia della depressione maggiore, qualcuno si è chiesto se la ketamina, un potente antagonista NMDA, potesse avere proprietà antidepressive oltre che le già note proprietà di analgesico dissociativo sfruttate in anestesia. È stato quindi condotto un piccolo studio randomizzato in doppio cieco, in cui 7 pazienti con depressione maggiore hanno ricevuto ketamina endovena in infusione, oppure soluzione fisiologica. I pazienti che avevano ricevuto ketamina hanno mostrato una significativa diminuzione dei sintomi depressivi nelle 72 ore successive all’infusione: al contrario del placebo, la ketamina ha mostrato evidenti miglioramenti in tutte le scale di valutazione utilizzate. Questo ha aperto la strada ad una lunga serie di ricerche cliniche che hanno portato all’approvazione nel 2019 dell’utilizzo della esketamina (Spravato) nella depressione resistente al trattamento. Nonostante la ketamina sia considerata uno psichedelico non classico, si può dire che da questo momento in poi sono state gettate le basi per la moderna ricerca in medicina psichedelica. Trovi qui l’articolo:

Eccovi l’articolo:

Antidepressant effects of ketamine in depressed patients

2. 18 anni fa (psicolocibina)

Il Dr. Roland Griffiths, recentemente scomparso, viene a ragione riconosciuto come uno dei padri fondatori del cosiddetto Rinascimento Psichedelico, la moderna riscoperta delle proprietà terapeutiche degli psichedelici, dopo che la messa al bando di queste sostanze da parte del presidente Nixon nel 1970 pose fine ad una prolifica serie di ricerche cliniche e al più noto movimento hippie. Griffiths, fondatore del Center for Psychedelic & Consciousness Research alla Johns Hopkins University riuscì ad ottenere nel lontano 2006 il permesso di somministrare psilocibina a 30 soggetti randomizzati che non avevano mai provato psichedelici, giusto per vedere che cosa succedeva. Le profonde esperienze mistiche vissute hanno continuato ad avere ripercussioni positive anche a 2 mesi di distanza dal trip: tutti i partecipanti riferirono duraturi miglioramenti nel loro comportamento e nella loro visione del mondo, cambiamenti notati anche dai loro amici e familiari. Possibile che le esperienze mistiche possano essere indotte così facilmente e anche studiate in maniera rigorosa e statistica? Possibile che gli psichedelici non siano solo droghe brutte e cattive come ci dicono dagli anni Settanta e che, se utilizzate in un ambiente clinico controllato, possano avere anche un effetto positivo? Possibile.

Eccovi l’articolo:

Psilocybin can occasion mystical-type experiences having substantial and sustained personal meaning and spiritual significance

3. Cervello entropico

Un vero e proprio scienziato VIP del Rinascimento Psichedelico è il Dr. Robin Carhart-Harris, allievo dell’ancora più famoso Dr. David Nutt dell’Imperial College di Londra. Insieme, sono tra i più prolifici autori di ricerca in medicina psichedelica, soprattutto in tutta quella parte complessa, e a tratti oscura, delle neuroscienze. A loro dobbiamo la teoria del cervello entropico: una maggiore caoticità nelle connessioni cerebrali corrisponde ad una aumentata ricchezza di informazioni processate. Nella nostra quotidianità operiamo con il risparmio energetico, oscilliamo in un range abbastanza ristretto di entropia cerebrale, ma con i giusti stati di alterazione della coscienza si possono mescolare le carte in tavola e gli psichedelici sono ben noti per alterare lo stato di coscienza. È stata quindi fatta una cosa semplice ma rivoluzionaria: è stata data psilocibina a soggetti sani che sono stati poi infilati in una risonanza magnetica funzionale, per vedere che cosa succedeva al cervello durante il trip psichedelico. Mai prima di allora era stato visto un cervello più caotico. E mai prima di allora era stato visto su schermo il silenziamento del Default Mode Network (DMN), il direttore d’orchestra delle nostre funzioni cerebrali superiori, tutte quelle operazioni metacognitive dalla riflessione sul sé ai sogni ad occhi aperti (Freud avrebbe forse parlato di ego). Curioso che nella depressione, nell’OCD e nelle dipendenze il DMN sia particolarmente attivo. Curioso anche che gli psichedelici siano noti per dissolvere l’ego.

Eccovi l’articolo:

The entropic brain: a theory of conscious states informed by neuroimaging research with psychedelic drugs

4. Connettomica psichedelica

Se uno non è neuroscienziato o se non ha la più pallida idea di che cosa voglia dire homological scaffolds, è possibile capire in maniera semplice cosa succede al cervello sotto l’effetto della psilocibina? Questa immagine, la più famosa e caratteristica nella ricerca psichedelica moderna, aiuta anche i più naive: a sinistra le connessioni, alquanto noiose, di un cervello normale, a destra le connessioni di un cervello in pieno trip psichedelico.

Aree cerebrali che normalmente non hanno alcun tipo di comunicazione tra di loro, iniziano interessanti conversazioni: da qui nascono tutte quelle caratteristiche di un trip psichedelico, dalle sinestesie alla dissoluzione dell’ego, dalle alterazioni visive alle esperienze mistiche.

Eccovi l’articolo (per i più smanettoni):

Homological scaffolds of brain functional networks

[—>prosegui su POPMed per gli altri 6 articoli]

Article by admin / Generale

3 October 2024

Le interviste di POPMed Talks

di Raffaele Avico

POPMed Talks, il podcast di POPMed.
Qual è l’idea di questo podcast? Conoscere, intervistare e dialogare con professionisti della cura, esperti nella propria area di competenza, sull’onda del ”giornalismo utile”, porgendo loro domande a proposito della “pratica” quotidiana e trovare in essi un’altra fonte diretta di conoscenza parallela a quella strettamente scientifica, altrettanto essenziale.

É qui raggiungibile.

Qui, le interviste fino a questo momento pubblicate.

  • Febbraio 2024 POPMed Talks #1: un’intervista a Daniele Bruzzone sull’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana, e su Viktor Frankl
  • Marzo 2024 POPMed Talks #2: un’intervista a Matteo Buonarroti sul training organizzato dalla Mind Foundation a Berlino sulla psicoterapia assistita da psichedelici
  • Aprile 2024 POPMed Talks #3: un’intervista a Giancarlo Dimaggio sui princìpi cardine del modello della Terapia Metacognitiva Interpersonale
  • Maggio 2024 POPMed Talks #4: un’intervista a Massimo Agnoletti sul concetto di esperienza ottimale e di “flow”
  • Giugno 2024 POPMed Talks #5: un’intervista a Costanza Jesurum, autrice del blog “bei zauberei”, psicoanalista junghiana e scrittrice
  • Luglio 2024 POPMed Talks #6: un’intervista a Francesca Belgiojoso sull’utilizzo della fotografia in psicoterapia, nelle sue varie declinazioni e modalità
  • Agosto 2024 POPMed Talks #7: un’intervista a Francesco Sena a proposito di arte e arteterapia, Art Brut e disagio psichico
  • Settembre 2024 POPMed Talks #8: una conversazione con Fernando Espi Forcen e Matteo Respino a proposito della salute mentale statunitense
  • Ottobre 2024 POPMed Talks #9: una conversazione tra Emiliano Toso e Raffaele Avico per rispondere alla domanda: la terapia del trauma, è una forma di terapia espositiva?

Si veda anche il mini-podcast “fuga di cervelli“.


NB: “POPMED”, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO A TEMA “PSI”, A PAGAMENTO. Qui per iscriverti.

Article by admin / Generale / interviste

17 September 2024

Disturbi da sintomi somatici e di conversione: un approfondimento

di Roberta Spiga, Costanzo Frau, Studio Psicoterapia e Ricerca Trauma & Dissociazione Associazione DBR Italia (e-mail: deepbrainreorienting@gmail.com)

I disturbi da somatizzazione e conversione fanno parte di una categoria diagnostica del DSM- 5, definita disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati (APA, 2013). Questo cluster di disturbi non è sempre stato categorizzato allo stesso modo nel corso dei decenni ma ha subito diverse modifiche nelle diverse edizioni del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM).

La prima classificazione dei disturbi da somatizzazione è da attribuire al DSM III (1980) che le descriveva come delle lamentele somatiche, esagerate, multiple e ricorrenti, della durata di parecchi anni, apparentemente non legate a nessun disturbo fisico di origine medica. Le manifestazioni cliniche si riferivano a sintomi di conversione come paralisi o cecità, fastidi gastrointestinali, difficoltà genitali nella femmina, problemi psico-sessuali, dolori muscolari come mal di schiena e sintomi cardio-polmonari. I disturbi da conversione, invece, venivano descritti come un’alterazione o perdita di funzionamento fisico, collegati all’espressione di un conflitto o di un bisogno psicologico.

I sintomi di conversione riguardavano paralisi, afonia, convulsioni, alterazioni della coordinazione, acinesia, discinesia, cecità, visione a tunnel, anosmia, anestesia e parestesia. Inoltre, il DSM III specificava come i sintomi del disturbo non dovessero essere prodotti intenzionalmente ed essere spiegati con un altro disturbo fisico o meccanismo fisiopatologico conosciuto.

Sia il disturbo di somatizzazione che quello di conversione facevano parte dei Disturbi Somatoformi assieme al disturbo da dismorfismo corporeo, all’ipocondria e al disturbo da dolore somatoforme (APA, 1980).
Nella quarta edizione del DSM, il DSM-IV, le diagnosi precedentemente descritte nel manuale sotto il disturbo somatoforme furono riorganizzate sotto l’ombrello dei cosiddetti disturbi somatici che includevano:

  • Disturbo di Somatizzazione: indicato come disturbo caratterizzato da molteplici sintomi, con esordio prima dei 30 anni, riguardanti dolore e sintomi gastro- intestinali, sessuali e pseudo-neurologici;
  • Disturbo Somatoforme Indifferenziato: caratterizzato da lamentele fisiche non giustificate ma che non raggiunge la soglia per la diagnosi di Disturbo di Somatizzazione;
  • Disturbo di Conversione: sintomi di deficit riguardanti le funzioni motorie volontarie e sensitive non giustificati a livello medico
  • Disturbo Algico: caratterizzato dal dolore come punto focale principale della alterazione clinica.
  • Ipocondria: preoccupazione legata al timore o alla convinzione di avere una grave malattia
  • Disturbo di Dismorfismo Corporeo: preoccupazione riguardante un difetto presunto o sopravvalutato del proprio aspetto fisico;
  • Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato: è stato incluso per registrare i disturbi con sintomi somatoformi che non soddisfano i criteri per nessuno dei Disturbi Somatoformi

Nel DSM 5 (APA, 2013) questa categoria diagnostica viene descritta sulla base dei sintomi e segni positivi, ovvero sintomi somatici accompagnati da pensieri, sentimenti e comportamenti anomali che vengono adottati in risposta a questa sintomatologia.

I principi che sono alla base dei cambiamenti apportati nelle diagnosi del disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati sono fondamentali per comprendere le diagnosi del DSM-5. In questa versione cambia la categorizzazione dei disturbi rispetto al DSM -IV:

  • Disturbo da sintomi somatici
  • Disturbo da ansia di malattia
  • Disturbo da conversione (Disturbo da sintomi neurologici funzionali)
  • Disturbo fittizio
  • Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati con altra specificazione
  • Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati senza specificazione

I criteri delle versioni precedenti attribuivano un’eccessiva importanza alla centralità dei sintomi che non avevano una spiegazione medica. La nuova classificazione definisce, invece, la diagnosi principale, disturbo da sintomi somatici, sulla base di sintomi oggettivi. Rimane la categoria del Disturbo da conversione, che include i sintomi che non hanno una spiegazione medica: in questa diagnosi i sintomi neurologici risultano incompatibili con la fisiopatologia neurologica.

Sebbene sia classificato con i disturbi da sintomi somatici/somatoformi nel DSM-III fino al DSM-5-TR, il disturbo di conversione è classificato come disturbo dissociativo nell’ICD-10, mantenendo la sua lunga associazione con l’isteria (Kanaan et al., 2010; Brown et al., 2007).

I sintomi da conversione includono le pseudoparalisi, pseudocrisi epilettiche, deficit della vista e di altre funzioni sensoriali, disturbi dell’equilibrio e un insieme di disturbi neurologici, transitori e reversibili, dove non è dimostrata una lesione nervosa (Farina e Liotti, 2011).

Le somatizzazioni più comuni, invece, sono caratterizzate da disturbi a carico del sistema gastrointestinale, muscolo-scheletrico e genito-urinario come ad esempio vaginismo, dispareunia, eiaculazione dolorosa, minzione dolorosa (Farina e Liotti, 2011).

Nel loro meccanismo di base, sia i sintomi somatoformi che quelli di conversione possono essere ricondotti ad un processo dissociativo. In effetti fu Freud a distinguere l’isteria di conversione dall’isteria dissociativa per dire che quest’ultima era rarissima o inesistente.

Il DSM successivamente separò i disturbi di conversione dai disturbi dissociativi, inserendo il disturbo di conversione tra i disturbi somatoformi. Utilizzando una categoria arbitraria che li abbraccia entrambi, potremmo dire che i pazienti che presentano sintomi di dissociazione somatoforme sono molti e probabilmente affollano gli studi dei medici di medicina generale richiedendo un consulto medico per uno stato di malessere fisiologico generalmente non riconosciuto dai propri familiari. Questi sintomi non possono essere sicuramente letti tramite un modello medico riduzionista ma possono trovare una spiegazione all’interno di un paradigma più complesso, paradigma che abbraccia l’interazione tra i tre assi psico-neuro-endocrino-immunologico e che considera centrale la relazione mente-corpo (per un approfondimento vedi Anjum et al. 2020; Gonzales-Diaz, 2017; Bottaccioli, 2015).

Per esempio, un tipico sintomo descritto dal paziente come uno sbandamento continuo o la sensazione di perdere l’equilibrio, è l’atasia-abasia. Si tratta di un deficit di origine nervosa che consiste nell’impossibilità o difficoltà a camminare e che causa una riduzione della coordinazione dei movimenti, nella maggioranza dei casi non giustificato da una patologia (come, per esempio, l’ictus). In realtà questo sintomo è molto comune nei quadri dissociativi e veniva descritto in maniera molto dettagliata nei casi di isteria nella letteratura di fine 1800 (Janet, 1889; 1909).

La conversione e tanti altri sintomi somatoformi sono stati chiamati dissociazione somatoforme sulla base di solide prove empiriche. Diversi studi hanno messo in evidenza come questi sintomi fossero fortemente correlati alla dissociazione psicoforme (Nijenhuis, 2000; Nijenhuis et al., 1999) e come i pazienti con sintomatologia somatoforme e anche quelli con diagnosi di disturbo dissociativo presentassero in anamnesi esperienze traumatiche (Saxe et al., 1994; Nijenhuis et al., 2004; Tezcan et al., 2003).

Questi dati spiegherebbero il motivo per cui i termini dissociazione e somatoforme sono tenuti assieme nell’ICD-10 e nella sua versione aggiornata, l’ICD-11.

La manifestazione somatica della dissociazione è probabilmente causata da una perdita di integrazione verticale della componente somatoforme dell’esperienza e rappresentata da varie forme di sintomi pseudo-neurologici che possono includere funzioni quali: l’inibizione motoria o la perdita del controllo motorio, sintomi gastrointestinali, convulsioni, sintomi dolorosi, alterazione nella percezione del dolore (analgesia, anestesia cinestesica) come può succedere nei pazienti che non riescono a riferire lo stato di dolore o mantenere il contatto con lo stato affettivo in conseguenza di un’esperienza traumatica (Bob et al., 2013).

A tal proposito è interessante notare come la regolazione emozionale sfrutti gli stessi circuiti fisiologici che riguardano il dolore fisico. Il dolore viene trasmesso dalla sua origine periferica ad una prima tappa localizzata nella cellula gangliare, in maggioranza tramite le fibre C non mielinizzate e per questo lente, e in misura minore tramite le fibre A-delta caratterizzate da un basso livello di mielinizzazione e definite “semilente”. Successivamente il messaggio raggiunge il neurone a livello del ganglio spinale, dove si può verificare un’esaltazione della percezione del dolore tramite la sostanza P o una sedazione per mezzo delle encefaline, per poi raggiungere le corna posteriori del midollo spinale e infine i centri encefalici (talamo, amigdala, giro cingolato, corteccia sensoriale) (Panizon & Barbi, 2010).

Parallelamente si assiste ad una attivazione del sistema anti-nocicettivo che sfrutta come mediatori gli oppiodi endogeni, le endorfine e le encefaline e che forma un circuito dal nucleo accumbens al grigio periaqueduttale (PAG) lungo il midollo per giungere all’interneurone delle radici posteriori e al ganglio spinale (Panizon & Barbi, 2010). Questi circuiti top-down hanno una funzione fondamentale nella regolazione del dolore, assumono un ruolo più complesso durante lo sviluppo ontogenetico e sono implicati nelle manifestazioni sintomatologiche che caratterizzano i pazienti con storie traumatiche cumulative, in cui è evidente la dissociazione somatoforme.

La dissociazione somatoforme si basa sui meccanismi più bassi localizzati nel cervello più profondo, dove il lavoro di miglioramento delle capacità autoriflessive del paziente e la consapevolezza dei suoi stati mentali non riesce ad arrivare.

I pazienti con disturbi da sintomi somatici e nello specifico con disturbi da conversione necessitano per questo di trattamenti integrati che, oltre al lavoro classico portato avanti dalle diverse forme di psicoterapia basate sull’evidenza, preveda un lavoro specifico sul corpo, unico canale di accesso che può permettere una re-integrazione delle memorie somato-sensoriali dissociate.

Per bibliografia, qui.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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20 August 2024

TRAUMA E DISSOCIAZIONE: IL CONGRESSO ESTD DI OTTOBRE 2024, A KATOWICE (POLONIA)

di Raffaele Avico

Dal 10 al 12 ottobre 2024, a Katowice, in Polonia, si terrà un importante evento organizzato dalla ESTD, la European Society For Trauma and Dissociation.

Su questo blog abbiamo spesso parlato di trauma e dissociazione, riferiendoci anche all’AISTED, l’Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione, affiliata all’ESTD stessa; la European Society For Trauma and Dissociation è un macro-contenitore che negli ultimi anni ha visto un alternarsi di differenti presidenti da molti stati europei, al fine di costruire un dispositivo divulgativo il più possibile “democratico” e rappresentativo del movimento psicotraumatologico.

Il movimento per lo studio del trauma ha negli ultimi anni ha preso forza radicandosi in Europa, aiutando psichiatri e psicoterapeuti a superare la visione “intrapsichica” della sofferenza mentale, verso una giusta collocazione dei pazienti dentro il loro ambiente. Si tratta di riabilitare l’ambiente nel processo di indagine eziopatogenetica, di andare a cercare adattamenti problematici a contesti difficili, attaccamenti insicuri o disorganizzati, abusi fisici o psicologici -unici e violenti o “piccoli” ma ripetuti-, sindromi post-traumatiche e relative ricadute sul corpo, al fine di meglio inquadrare (e trattare) i disturbi stessi, nel modo più integrato possibile.

Il convegno avrà luogo a Katowice e sarà facilmente raggiungibili da Cracovia, durerà dal giovedì al sabato (dal 10 al 12 ottobre), e sarà anticipato da una giornata (il mercoledì) dedicata, per chi vorrà, a visitare i luoghi di interesse della zona, compreso il vicino campo di concentramento di Auschwitz/Birkenau, o quartieri di interesse storico in Katowice, come il Nikiszowiec. Dal giovedì al sabato, poi, si alterneranno nelle diverse sale del convegno, molteplici riferimenti europei (ed extraeuropei) in ambito psicotraumatologico, portando testimonianze e informazioni aggiornate sulla diagnosi e il trattamento delle più comuni forme di trauma e dissociazione.

Tra gli altri saranno presenti:

  • Eli Somer, lo scopritore del maladaptive daydreaming, una forma peculiare di disturbo dissociativo di cui qui avevamo scritto
  • Anabel Gonzalez, che negli ultimi anni ha rappresentato un riferimento per gli studiosi del trauma di tutta europa, oltre a esercitare ruoli di responsabilità per la ESTD
  • Sandra Baita, per  il trattamento delle sindromi post-traumatiche in età infantile
  • Suzette Boon, per le sindromi dissociative e la scala TADS-I, che presenteranno insieme ai nostrani Matteo Cavalletti e Maria Paola Boldrini (prossima presidente ESTD).

L’occasione si rivelerà importante per chi voglia approcciarsi al tema trauma in modo rigoroso e soprattutto integrato, potendo toccare con mano la complessità delle ricerche negli ultimi anni sviluppate, e “vedere” il mosaico di approcci al problema che i relatori potranno presentare durante le sessioni del convegno.

Non mancheranno, come prima accennato, riferimenti ai progressi della psichiatria psichedelica anche in relazione al trattamento del trauma: come sappiamo sono in corso studi sull’utilizzo di farmaci psichedelici per forme acute di PTSD resistente; in alcune aree del mondo come la Svizzera, già vengono impiegate sostanze psichedeliche a questo scopo.

Qui il programma in italiano.

Possono accedere anche non-membri dell’ESTD. Il costo pieno (per soci ESTD) è di 550€ dal vivo, e 350€ online: ci si può iscrivere qui.

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3 August 2024

POPMed Talks #7: Francesco Sena (speciale Art Brut)

di Raffaele Avico

Francesco Sena è un artista contemporaneo con una lunga esperienza alle spalle in ambito di lavoro con pazienti psichiatrici e una vasta conoscenza in termini di storia e attualità della cosiddetta arte irregolare (Art Brut o Outsider Art).

In questa intervista ci ha parlato del suo lavoro per la struttura psichiatrica Il Porto di Moncalieri, della sua idea di lavoro con l’utenza psichiatrica, dell’importanza del “fare” arte senza troppo vincolarsi ai dettami -a volte rigidi- dell’arte terapia, e dei progetti che attualmente segue (come la galleria GliAcrobati di Torino).

Meritano un approfondimento alcuni degli spunti che Sena ci ha fornito nel corso dell’intervista, tra cui:

  • il progetto Gugging di Vienna
  • il lavoro di Tea Taramino
  • il lascito artistico di Giuliano “spasmo” Addari
  • il riferimento a una delle più conosciute opere di arte irregolare al mondo, conservata (ma non visibile) a Torino

La comunità terapeutica Il Porto ha negli anni contribuito alla diffusione delle opere generate dall’atelier aperto da Sena, attraverso diverse mostre aperte per lo più sul territorio torinese.

Dal catalogo pubblicato in occasione di una di queste (“Malamente”), estraiamo queste indicazioni scritte da Metello Corulli (fondatore del Porto insieme a Raffaella Bortino) sui “luoghi” da visitare per introdursi al tema “art brut”.

Corulli, venuto a mancare qualche anno fa, teneva in grande considerazione l’importanza di dotarsi di strumenti di simbolizzazione artistico/espressiva, al fine di meglio elaborare il disagio psichico.

Scrive (indicando luoghi da visitare in ambito Art Brut):

  1. Collezione Prinzhorn presso la Clinica psichiatrica dell’Università di HeidelbergLa Collezione conserva un patrimonio di dipinti ed opere realizzate da pazienti di ospedali psichiatrici tra 1°800 ed il 900, messa a punto dallo storico dell’arte e medico presso l’istituto di psichiatria dell’Università di Heidelberg, Hans Prinzhorn ( 1886 – 1933 ) tra il 1919 ed il 1921.
    La raccolta comprende circa 5.000 pezzi, prevalentemente disegnati a matita e pastello, ma anche dipinti con colori ad acqua ed a olio, lavori su tessuti, collage, testi scritti e sculture in legno. Si possono ammirare le espressioni artistiche di 435 pazienti/artisti di tutte le età, classi sociali e professioni, tra cui 80 donne, ricoverati con la diagnosi prevalente di “schizofrenia” in istituti psichiatrici della Germania, Svizzera ed Austria. Anche Italia ha contribuito alla collezione con opere provenienti da l’Aquila, Ceccano e da Roma. La collezione divenne subito nota tra gli artisti delle avanguardie: Paul Klee, Kubin, Max Ernst…
  2. Museo Waldau a Berna, fondato dal dr. Morghentaler per i lavori dei suoi pazienti.Paul Klee è stato tra i primi artisti ad accordare valore creativo a queste opere. Nel 1912, nei suoi Diari – tra i primi visitatori del museo – scrive “nell’arte si può ricominciare da capo […] Anche i bambini conoscono l’arte e vi mettono molta saggezza! Quanto più sono maldestri, tanto più ci offrono esempi istruttivi …. Fenomeni analoghi sono le creazioni dei malati di mente: sarebbe un insulto parlare in questi casi di ingenuità o di pazzia…”. Adolf Wolfli, considerato fra i più importanti artisti storici, ha vissuto 35 anni nella Clinica psichiatrica di Waldau
  3. Ospedale Psichiatrico Maria Gugging, Casa degli artisti, Klosterneuburg, (circa 20 km da Vienna ).Nel 1981 Leo Navratil giovane laureato ha aperto un padiglione all’interno dell’ospedale psichiatrico. Inizialmente egli riteneva che la produzione artistica di alcuni suoi pazienti (disegni, dipinti, sculture) potesse essere utilizzata a fini diagnostici e terapeutici; ben presto propende nel ritenere una modalita di espressione emozionale: La Galerie Nachst St. Stephen, una delle più importanti gallerie di Vienna ha ospitato la prima mostra degli “artisti del Gugging” Attualmente i loro lavori sono esposti in 180 musei in tutto il mondo e contesi da collezionisti privati. Attualmente la casa degli artisti è diretta dal Dr. Johann Feillacher. Ognuno degli ospiti che vi è stato ricoverato ha lasciato la propria impronta sui muri esterni e nelle stanze interne, che sono stati affrescati a più riprese.
  4. Museo di Antropologia ed Etnografia di TorinoFondato nel 1923 da Giovanni Marro (1875 – 1952), ex Direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Coregno, e fondatore dell’istituto di Antropologia dell’Ateneo Torinese, archeologo nelle campagne di scavi in Egitto. II Museo raccoglie numerose opere dei pazienti dell’Ospedale Psichiatrico di inizio secolo, tra cui un capolavoro dell’arte irregolare: Francesco Toris, brigadiere dei carabinieri, ricoverato con la diagnosi di paranoia, compie una imponente scultura di centinaia di ossa nell’arco di cinque anni, ossa provenienti dai pranzi della mensa, finemente cesellate in figure fantastiche e decorazioni, assemblate assieme. Per anni lo psichiatra chiede al paziente un qualche significato fino a quando Francesco, in una lettera, scrive: la rappresentazione del nuovo mondo.
  5. Collezione de l’Art Brut, LosannaLa ricerca iniziata nel 1945 da Jean Dubuffet di opere al di fuori dei circuti culturali e di tendenze alla moda è diventata negli anni sempre più corposa. Anche grazie all’attività della Compagnie de l’Art Brut, fondata dallo stesso Dubuffet assieme ad Andre Breton, Jean Paulhan e Michel Tapié. Dopo essere stata ospitta in Francia e negli Stati Uniti, dal 1975 la Collezione ha sede stabile a Losanna. Dubuffet ha anche coniato il termine Art Brut per indicare un arte praticata da coloro che, per una ragione o un’altra, sono sfuggiti al condizionamento culturale e al conformismo sociale: individui solitari, disadattati, ricoverati di ospedali psichiatrici, detenuti, emarginati… che comunque hanno prodotto opere altamente originali per contenuti ed opere.

Buon ascolto!

[-> continua su POPMed per l’intervista]


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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30 July 2024

LA (NEONATA) SIMEPSI E UN INTERVENTO DI FABIO VILLA SULLA TERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A LOSANNA

di Raffaele Avico

La neonata SIMEPSI ha da poco pubblicato un video sul suo canale youtube in cui il direttivo presenta la Società Scientifica, e invita uno psichiatra italiano e formatosi in Svizzera e ora di ruolo a Losanna, Fabio Villa, a raccontare la sua esperienza in ambito di terapia assistita da psichedelici. Interviene anche, nella fase finale del webinar, Henrik Jungaberle della Mind Foundation di Berlino, a proposito della formazione in PAP (psicoterapia assistita da psichedelici) erogata da Mind.

Presenti anche Gjergj Cerri (che aveva già scritto questo su questo blog) e Matteo Buonarroti, vicepresidente di SIMEPSI che qui avevamo intervistato.

L’intervento di Fabio Villa si configura come il più formativo e ricco di spunti.

Interessanti le osservazioni che Villa porta a proposito del “livello” di intervento del farmaco psichedelico, che sembra riuscire a intervenire sugli aspetti pre-simbolici e pre-linguistici di alcuni disturbi.

Chi lavora con pazienti affetti da disturbi gravi di ansia o da PTSD, si rende perfettamente conto di come i sintomi del disagio psichico persistono nonostante il paziente abbia razionalmente compreso le cause e ogni aspetto del disturbo stesso. Nonostante il lavoro sulla metacognizione sia eseguito alla perfezione, non sembra sufficiente per scardinare le risposte “automatiche” e “autonomiche” che alcuni disturbi portano con sé. Il farmaco psichedelico sembra intervenire su un livello più emotivo o come direbbero gli strategici percettivo/reattivo, inerente le risposte del corpo, senza passare dal linguaggio o dal semplice “pensiero a proposito del disturbo stesso”. La differenza che esiste insomma tra il “parlare” di un disturbo dell’attaccamento  -per esempio-, e vivere un’esperienza correttiva con qualcuno che ci possa far sperimentare dal vivo un modo “diverso”, e farcelo interiorizzare.

Ci troviamo all’interno di un luogo, di un ambito di “intervento” della psicoterapia non necessariamente misurato dal linguaggio, che ricorda la “psicoterapia con l’emisfero destro” di Schore, le metafore/aneddoti “terapeutici” di Milton Erickson, le suggestioni degli strategici, gli interventi sul corpo per il PTSD. Non sempre infatti la razionalità aiuta nel rileggere in modo terapeutico i disturbi: il potere della cura passa a volte da altro, da altre esperienze, dallo sperimentare modalità nuove, dal rileggere la propria situazione per via di metafore e immagini potenti (pensiamo solo all’immagine/concetto del confine interpersonale), dall’esporsi a situazioni temute (e qui rimandiamo agli articoli a proposito del lavoro di Emiliano Toso che su questo blog abbiamo più volte citato). Avevamo scritto in precedenza a proposito dell’inconscio non rimosso, il luogo di “deposito” delle esperienze primarie inerenti l’attaccamento, non rimosse perché pre-cognitive e pre-linguistiche, “incarnate” senza passare dal pensiero. I farmaci psichedelici promettono di poter “arrivare” anche lì in senso psicoterapico, “bypassando” per certi versi il pensiero stesso.

Estremamente interessanti le osservazioni fatte dai relatori a proposito della “ego death”, e su come il disturbo venga – a volte- fatto proprio dal paziente, e diventi un aspetto della sua identità/personalità: il lavoro con gli psichedelici aiuterebbe -anche- a lasciarlo andare, o a promuovere una dis-identificazione dallo stesso.

Qui il video:

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18 July 2024

L'”IMAGERY RESCRIPTING” NEL PTSD

di Raffaele Avico

PREMESSA: questo breve articolo è estratto da POPMed

60 pazienti diagnosticati con PTSD primario, trattati solamente con la tecnica dell’Imagery Rescripting. Quali risultati? Facciamo un passo indietro e diamo una definizione di Imagery Rescripting: si tratta di uno strumento della psicoterapia CBT finalizzato a cambiare la risposta emotiva alle memorie traumatiche modificando il contenuto delle immagini associate ad esse.

Si basa sull’idea che le memorie traumatiche siano immagazzinate sottoforma di immagini e che queste immagini possano essere accessibili e modificate attraverso tecniche di visualizzazione.

L’applicazione del protocollo prevede di guidare il paziente a immaginare l’evento traumatico in modo diverso, al fine di ridurre la risposta emotiva (la fear response) associato alla memoria, con l’obiettivo di creare una nuova immagine meno disturbante che possa essere utilizzata come alternativa alla memoria originale.

Al di là dei risultati dello studio in sé, troviamo riassunte nell’articolo che vi proponiamo le fasi dell’Imagery Rescripting, che sono 3 (da un’immagine tratta dall’articolo, tradotta):

  • Fase 1: i pazienti vengono invitati a immaginare un’esperienza traumatica dell’infanzia con gli occhi chiusi il più vividamente possibile dal punto di vista del bambino. Non appena vengono attivate forti emozioni legate al trauma, il terapeuta e il paziente passano alla fase successiva.
  • Fase 2: i pazienti entrano nell’immagine come adulti che assistono alla situazione e vengono incoraggiati a intervenire e fare ciò che ritengono necessario.
  • Fase 3: in cui i pazienti immaginano la scena nuovamente come un bambino e sperimentano l’intervento dell’adulto sviluppato nella Fase 2 dal punto di vista del bambino. 

Trovate qui l’articolo: Imagery Rescripting as a stand-alone treatment for posttraumatic stress disorder related to childhood abuse: A randomized controlled trial

PS sulle tecniche immaginative da usare per il trattamento del trauma, si veda anche questo. Sul trauma invece in generale, qui.

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1 July 2024

Intervista a Francesca Belgiojoso: le fotografie in psicoterapia

di redazione POPMed

Abbiamo intervistato Francesca Belgiojoso, psicoanalista, a proposito dell’utilizzo dello strumento “fotografia” in ambito clinico.

Francesca ha svolto un periodo di formazione con Judy Weiser (di cui avevamo qui scritto in modo più esteso), e si occupa attivamente di formazione sul tema, sia in Italia che all’estero. Utilizza inoltre abitualmente la fotografia nel lavoro dal vivo e online: per queste ragioni ci è sembrato utile e interessante intervistarla.

La fotografia è un dispositivo che lo psicoterapeuta può utilizzare in differenti modi: come approfondisce la Belgiojoso in questa puntata di POPMed Talks, una delle modalità più utilizzate consiste nel chiedere al o alla paziente di scegliere alcune fotografie che abbiano per lui/lei un certo grado di salienza affettiva, un “punctum” che sappia triggerarlo/a per via di un impatto emotivo, e aiutarlo/a nel contesto della terapia a creare un contesto e una cornice di significato a quella stessa fotografia.

Una fotografia contiene molti elementi evocativi, dal contesto alla posa dei personaggi in essa contenuti, al panorama sullo sfondo, al momento in cui fu scattata, all’epoca in cui fu scattata, all’espressione degli individui ritratti, alla storia della fotografia stessa (chi la conserva? in che formato è stampata?).

Usare le fotografie internamente al lavoro di psicoterapia può rappresentare un valido strumento per complessificare gli argomenti affrontati con il/la terapeuta, per spingere a riflessioni ulteriori.

[continua su POPMed]

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24 June 2024

Attaccamento traumatico: facciamo chiarezza (di Andrea Zagaria)

PREMESSA: un approfondimento a cura di Andrea Zagaria dell’Università di Trento sul concetto di “attaccamento traumatico”, ovvero sulle consueguenze di “esperienze emotivamente soverchianti all’interno di una relazione di attaccamento”. Interessante osservare come si parli non solo di età infantile, ma anche di età adulta: “un’esperienza soverchiante in una relazione di attaccamento adulta può avere conseguenze simili alle esperienze soverchianti vissute da bambini”. (R. Avico)

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Attaccamento traumatico: facciamo chiarezza (di Andrea Zagaria)

A chiunque di noi è capitato di pensare di avere dei “traumi infantili”. Nella lingua parlata, l’espressione è ormai diventata di uso comune, spesso anche ironico: “Questa cosa mi ha fatto venire un trauma!” o “Lei deve avere proprio tanti traumi, se si comporta così!”.

In effetti, una delle principali scoperte della psicologia clinica è che le esperienze traumatiche, specie se situate con le figure importanti della nostra vita (es. madre, padre, partner, fratello, sorella), possono avere una grande ripercussione sulla nostra vita adulta. Janet, Breuer, Charcot e Freud, tra i principali fondatori della moderna psicologia clinica a fine Ottocento, si sono tutti dedicati, in diversi modi, allo studio delle esperienze traumatiche infantili e dei loro effetti.

L’assunzione che le esperienze infantili siano fondamentali per determinare la nostra salute mentale è rimasta un bagaglio teorico della psicologia clinica attraverso tutto il Novecento. Tuttavia, è solo dagli anni ‘80, e specificatamente dagli anni ‘90, che la ricerca scientifica ha cominciato a riprendere sul serio il concetto di trauma, e in particolare il trauma infantile.

Negli ultimi anni, in particolare, si è diffuso un nuovo concetto: quello di attaccamento traumatico, ossia di trauma legato al sistema di attaccamento. Definiremo precisamente cos’è più avanti; per ora ci basti sapere che indica una serie di conseguenze psicologiche derivanti da un’esperienza soverchiante che si verifica in una relazione in cui siamo vulnerabili, dipendenti e bisognosi di aiuto (una relazione di attaccamento, appunto). Il fatto che siamo “aperti” e “vulnerabili” e che ci aspettiamo aiuto e comprensione, ma riceviamo invece “indietro” qualcosa di disturbante, soverchiante e spaventoso, determina delle conseguenze disastrose sulla nostra salute mentale.

I modi in cui l’attaccamento traumatico si rende evidente da adolescenti ed adulti sono i più disparati: disturbi da dipendenza di sostanze, disturbi d’ansia, disturbi dell’umore tra cui depressione, disturbi post-traumatici, disturbi alimentari, disturbi di personalità… Insomma, un insieme molto eterogeneo.

I professionisti sanno bene che, tra gli altri, autori come Giovanni Liotti, Alan Schore, Jon Allen, Peter Fonagy, Patricia Crittenden e Julian Ford hanno parlato di attaccamento traumatico.

Tuttavia, questa nozione è per ora solo un’euristica clinica, ossia un concetto utile ai terapeuti che cercano di aiutare i loro pazienti. Vale a dire: i terapeuti che investigano le vite di coloro che soffrono molto da adulti spesso scoprono che queste persone sono state esposte a esperienze traumatiche quando erano molto giovani. Ed emerge anche che se si “aggiusta” il funzionamento del sistema di attaccamento attraverso la relazione terapeutica, queste persone stanno meglio.

Tuttavia, non è chiaro se, oltre ad essere un concetto clinico “retrospettivo”, l’attaccamento traumatico sia qualcosa di misurabile oggettivamente, qualcosa che può essere messo al vaglio della ricerca scientifica.

Chi scrive questo articolo ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a studiare il concetto di attaccamento traumatico.

Come ne hanno parlato i ricercatori? Come lo hanno reso misurabile? Che cosa ci dice, in sintesi, la letteratura scientifica a riguardo?

Abbiamo da poco pubblicato una rassegna proprio su questo argomento, sul giornale European Journal of Trauma and Dissociation, l’outlet ufficiale dell’European Society for Trauma and Dissociation. Dopo aver investigato in modo approfondito la letteratura, abbiamo scoperto qualcosa di inquietante e affascinante allo stesso tempo: nessuno è d’accordo su questo tema. La confusione regna sovrana.

Tutti sembrano parlare della stessa cosa o di fenomeni molto simili tra loro. Eppure, ognuno sa cosa accade esclusivamente nel proprio “giardinetto” e, nel migliore dei casi, ignora cosa viene fatto in un campo di ricerca “fratello”. Nel peggiore, lo conosce ma lo critica.

E così troviamo diversi concetti collegati tra di loro, come l’attaccamento disorganizzato nei bambini, lo stato della mente non risolto negli adulti, l’attaccamento “spaventato” misurato attraverso i questionari auto-compilati; ma anche il disturbo post-traumatico complesso, le esperienze infantili avverse, e infine la biologia e le neuroscienze del trauma. Per non parlare della teoria del trauma da tradimento, il trauma interpersonale, il trauma relazionale precoce…

Tuttavia, raramente qualcuno all’interno di queste tradizioni di ricerca cita o si rivolge a concetti nati in altre tradizioni “parenti”. Insomma, una sorta di “campanilismo” scientifico, che è tutto fuorché raro in Psicologia!

Il risultato? Una schiera di risultati in qualche senso connessi, eppure frammentari, contrastanti e in sostanza incommensurabili, cioè non “sommabili” l’uno con l’altro dal punto di vista della misurazione.

Una vecchia favola buddhista, risalente al VI secolo a.C., sembra descrivere bene la situazione.

La storia racconta di alcuni uomini ciechi alla nascita che vengono condotti a conoscere un elefante. Nessuno di loro ha mai potuto toccare o sentire parlare di un elefante prima di quell’occasione, quindi la loro conoscenza di questo animale è nulla. Dopo che si sono avvicinati, ogni cieco ha occasione di toccare una parte diversa del pachiderma. Ciascuno trae dunque le sue conclusioni, basandosi esclusivamente sulla parte che riesce a esplorare con le proprie mani.

Il primo tocca la zampa e conclude che un elefante è simile a un tronco d’albero; un altro tocca la coda e pensa che sia come un serpente; un terzo tocca l’orecchio e lo descrive come un enorme ventaglio, e così via. Le discussioni tra i diversi uomini ciechi su cos’è un elefante diventano quindi molto accese, ed essi finiscono per insultarsi l’un l’altro, arrivando talvolta alle mani.

Le tradizioni di ricerca sembravano apparire proprio come questi uomini ciechi.

Studiando ciascuna di queste diverse linee di ricerca, io e i miei colleghi abbiamo deciso di provare a chiarire chi stava studiando cosa. Chi è e come si chiama l’uomo che sta tendendo stretta la zampa? Che cosa significa, nell’economia della comprensione dell’elefante, tenere stretta solo la zampa? E come devono essere interpretati i racconti dell’uomo che è sopra l’elefante e sta toccando solo il suo orecchio?

Ovviamente, pensare di aver trovato l’elefante attraverso l’analisi accurata dei racconti di ognuno dei ciechi sarebbe trionfalistico e un po’ narcisistico. Qualcuno potrebbe anche accusarci una sorta di “apofenia”, ossia la tendenza di vedere collegate cose tra loro che in realtà non lo sono. Rispettosamente, dissentiamo.

Quello che speriamo di aver fatto è innanzitutto chiarire che ci sono sei uomini diversi, che spesso ignorano addirittura l’esistenza dei loro compagni, anche se l’oggetto di ricerca è sostanzialmente lo stesso.

In particolare, questi sei uomini sono stati categorizzati come segue.

Le prime tre linee, collegate alla tradizione dell’attaccamento, sono:

  1. L’attaccamento disorganizzato infantile, operazionalizzato nella Strange Situation Procedure (SSP)
  2. Lo stato mentale adulto non risolto/disorganizzato, emergente nelle trascrizioni dell’ Adult Attachment Interview (AAI)
  3. L’attaccamento adulto spaventato (“fearful”) della psicologia dellapersonalità/sociale, valutato tramite questionari auto-compilati

Le restanti tre linee di ricerca sono collegate agli studi sul trauma:

  1. Gli studi sul Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (cPTSD), una sindrome clinica associata all’esposizione prolungata e sistematica a traumi cumulativi
  2. La linea di ricerca che studia le esperienze infantili avverse, prevalentemente tramite l’uso di questionari
  3. I lavori neuroscientifici e psicofisiologici riguardo la psicologia del trauma e specialmente del trauma relazionale precoce

Riconoscere questi “sei uomini” e evidenziare che essi potrebbero stare guardando lo stesso problema da sei angolature diverse è si è configurato come un primo significativo passo in avanti.

In secondo luogo, abbiamo cercato di chiarire quale parte dell’elefante ognuna di queste linee stava analizzando, cioè in che modo queste tradizioni di ricerca erano simili e in che modo erano diverse tra loro. Proprio grazie a questa opera di integrazione concettuale abbiamo cercato di delineare una possibile silhouette dell’elefante (fuor di metafora: l’attaccamento traumatico) e di offrirne una definizione.

La nostra nuova definizione di attaccamento traumatico recita così:

“Variabili e durature conseguenze biologiche, psicologiche e relazionali derivanti da una mancata codificazione e integrazione di esperienze emotivamente soverchianti all’interno di una relazione di attaccamento.”

La definizione può apparire complessa, e infatti va analizzata parola per parola, come abbiamo fatto nella nostra review. Ognuno di questi termini reca con sé un universo concettuale da spiegare e delimitare molto dettagliatamente. Purtroppo, questa sede non offre il necessario spazio per tale operazione, ma il lettore interessato potrà trovarla direttamente nel paper originale in inglese.

Tuttavia, vale la pena notare che abbiamo delimitato il costrutto di trauma a quello di “conseguenze”. In letteratura (anche tra esperti) vige la confusione più assoluta riguardo all’accezione di questo termine. Non è ben chiaro se esso indichi l’evento traumatico, l’emozioni soggettive esperite durante questo evento (es. terrore), o le conseguenze evidenziabili a breve, medio e lungo termine sul sistema psicosomatico dell’individuo (es. flashback, pensieri intrusivi, disregolazione affettiva, etc).

In questa definizione di attaccamento traumatico, abbiamo delimitato il concetto di trauma a quello di conseguenze.

Dopotutto, l’etimologia di trauma è proprio quella di “ferita”, e in questo senso il termine viene usato in medicina. Perché non utilizzare anche la stessa accezione in psicologia?

Un altro conundrum da sciogliere in letteratura era quello della delimitazione concettuale del sistema di attaccamento, ossia la motivazione profonda in ciascuno di noi a monitorare la presenza di qualcuno di fidato attorno a noi e a rivolgerci allo stesso per chiedere aiuto quando ci sentiamo minacciati.

Alcuni psicologi dello sviluppo pensano che questa motivazione sia investigabile quasi esclusivamente nei bambini e meno negli adulti. Altri, tra cui molti psicologi della personalità e alcuni clinici, pensano che invece sia presente anche negli adulti. Dopo avere analizzato il sistema di attaccamento dal punto di vista evoluzionistico, ontogenetico, biologico e cognitivo, abbiamo supportato la scelta che vede il sistema di attaccamento attivato – anche negli adulti! – qualora l’individuo si senta minacciato e sia incapace di porre fine alla minaccia in modo indipendente.

Per riassumere, la definizione proposta di attaccamento traumatico tenta di conciliare le diverse sfumature concettuali evidenziate da differenti filoni della letteratura, attraverso le due macro-tradizioni dell’attaccamento e del trauma.

L’attaccamento traumatico (“Variabili e durature conseguenze biologiche, psicologiche e relazionali derivanti da una mancata codificazione e integrazione di esperienze emotivamente soverchianti all’interno di una relazione di attaccamento”) è stato dunque inquadrato come un insieme diversificato di adattamenti a esperienze emotivamente soverchianti verificatesi all’interno di una relazione di attaccamento.

Una caratteristica distintiva dell’attaccamento traumatico è che esso implica divisione, o, in altre parole, dissociazione strutturale. Ossia, i ricordi traumatici sono dissociati peri- traumaticamente, ossia nel momento dell’esperienza traumatica, quando vengono codificati in parallelo nella memoria, in due sistemi non comunicanti (la memoria sensoriale/emotiva e memoria contestuale/cognitiva). Essi rimangono dis-integrati tra di loro a medio e lungo termine, esercitando il loro potere angosciante tramite la re-intrusione coatta nella coscienza proprio perché non comunicanti tra loro!

Le linee di ricerca collegate all’attaccamento disorganizzato e allo stato della mente non risolto dimostrano chiaramente come le memorie dissociate determinino i comportamenti infantili osservabili nella Strange Situation Procedure e i lapsus osservabili nei trascritti dell’Adult Attachment Interview.

Il conflitto avvicinamento-allontanamento e la paura dell’intimità mostrati negli individui con attaccamento “impaurito”/fearful studiati nella tradizione della psicologia della personalità, d’altro canto, sono facilmente ricollegabili anch’essi a tendenze compartimentate (“mi voglio avvicinare…ma voglio anche scappare!”).

La sezione sui correlati biologici del trauma dettaglia in profondità come la disintegrazione/dissociazione della memoria e del sé sia associata a una vasta gamma di correlati psicofisiologici, come un’attivazione abnormale del sistema ortosimpatico e parasimpatico, una sovrelevata attivazione dell’asse ipolatamico-ipofisario-adrenale, una mancata comunicazione tra le aree prefrontali e quelle limbiche, un malfunzionamento dei large-scale-networks collegati al senso di sé, alla attribuzione della salienza degli stimoli, e alla pianificazione dei compiti, e ad un’abnormale produzione di oppioidi ed endocannabinoidi. Per citarne solo alcuni.

Le conseguenze (traumatiche) – che si estrinsecano in un’ampia gamma di risultati a seconda delle variabili individuali e ambientali, tra cui il sesso, l’età di esposizione, il supporto sociale, il tipo di trauma (es. deprivazione o minaccia), etc.- possono essere ricondotte sotto lo stesso ombrello (l’attaccamento traumatico) a causa della natura evoluzionistica e biologica del legame di attaccamento. Quello che riunisce concettualmente queste esperienze insieme è che derivano tutte dalla disintegrazione della stessa relazione determinata evoluzionisticamente – il sistema di attaccamento!

La natura dell’attaccamento stabilisce infatti gli schemi interpersonali che guidano lo sviluppo della personalità – i famosi Modelli Operativi Interni (MOI). Se tali schemi sono dissociati, la vita dell’individuo ne è profondamente influenzata. Ne segue, logicamente, che l’attaccamento traumatico è concepito come una caratteristica strutturale e duratura di una persona.

Alcuni clinici sono tentati di applicare il concetto di attaccamento traumatico prevalentemente alla popolazione clinica. Tuttavia, riteniamo che questa nozione non debba essere confinata esclusivamente alla “patologia”. Gli approcci e evoluzionistici delle esperienze di vita precoce avverse sottolineano come l’AT possa essere inquadrato anche come un adattamento. L’attaccamento traumatico può essere vantaggioso in determinate circostanze, anche se tipicamente associato ad alti costi per la salute mentale di chi ne è affetto. Quello che succede tipicamente è che adattamenti efficaci in alcune fasi di vita (es. infanzia, adolescenza) diventano improduttivi, se non nocivi, in età adulta.

Inoltre, sosteniamo che, sebbene il paziente “tipico” con attaccamento traumatico sia colpito pervasivamente, potrebbero esistere forme “puntiformi” o “isolate” di questo fenomeno che non sono necessariamente legate a un funzionamento globalmente compromesso.

In seguito, dopo aver proposto la nostra nuova definizione di attaccamento traumatico, abbiamo dimostrato come esso potrebbe configurarsi come un nuovo paradigma di ricerca.

Come prima cosa, abbiamo proceduto nel chiarire come ognuna delle linee di ricerca si rivolge a questo primo da diverse prospettive.

Per esempio, l’attaccamento disorganizzato sembra essere esclusivamente una manifestazione comportamentale infantile dell’attaccamento traumatico.

Entrambi i concetti, tuttavia, mantengano la loro autonomia. Infatti, contrariamente a una diffusa vulgata, l’attaccamento disorganizzato (DA) è esclusivamente un set di comportamenti osservati sperimentalmente dai 12 ai 20 mesi di età e non una caratteristica diagnostica o un tratto che può persistere nell’età adulta. L’attaccamento traumatico, invece, rappresenta un concetto più ampio, e racchiude al suo interno le conseguenze psicobiologiche dovute a un’esperienza soverchiante avvenuta in una relazione di attaccamento, ed è collegato, ma indipendente, rispetto ai pattern infantili di approccio-evitamento e di paura del caregiver tipici dell’attaccamento disorganizzato.

Allo stesso modo, abbiamo cercato di chiarire tutte le altre sei linee di ricerca.

Il lettore può trovare tutte le distinzioni emerse dalla nostra review integrative nel paper online.

Infine, abbiamo proceduto a dimostrare come il concetto di attaccamento potrebbe portare a nuove predizioni empiriche.

Ricordiamo che, avendo definito il sistema di attaccamento come operante sia nei bambini sia negli adulti, ne consegue, almeno teoricamente, che alcune istanze di attaccamento traumatico possono avere radici non nell’infanzia, ma esclusivamente in relazioni di attaccamento adulte.

Proprio a questo riguardo esiste una forma di cPTSD non esplicitamente legata a traumi infantili, ma derivante dalla violenza subita da o agita verso un partner romantico (Intimate Partner Violence; IPV).

Le evidenze empiriche sembrano indicare che l’IPV non sia collegabile in modo inequivocabile a traumi infantili. Ossia: si può subire o agire IPV senza essere stati abusati durante l’infanzia (e in una quota considerevole di casi!).

Sebbene questo possa sembrare confondente a prima vista rispetto a tutto quanto abbiamo detto finora, è in realtà una prova a sostegno della nostra riconcettualizzazione di attaccamento traumatico. Un’esperienza soverchiante in una relazione di attaccamento adulta può avere conseguenze simili alle esperienze soverchianti vissute da bambini.

Alcune evidenze preliminari sembrano supportare la nostra previsione. Un recente studio mostra come i sintomi del cPTSD nelle vittime di IPV siano significativamente predetti dall’abuso nelle relazioni di attaccamento adulte, ma non dai traumi precedenti. Ovviamente, futuri studi dovrebbero approfondire la questione.

Per concludere: il concetto di attaccamento traumatico, come definito in questo documento (“conseguenze biologiche, psicologiche e relazionali variabili e durature derivanti dall’incompleta codifica e integrazione di esperienze emotivamente travolgenti all’interno di una relazione di attaccamento“), sembra non solo riconciliare con successo un insieme eterogeneo di tradizioni di ricerca, ma anche chiarire le loro differenze.

Riteniamo che la nostra formulazione abbia molti punti di forza:

  1. Si basa su un concetto biologico ed evoluzionistico: il sistema motivazionale dell’attaccamento. L’architettura biologica ed evoluzionistica dell’attaccamento è ciò che fa risaltare il concetto di attaccamento traumatico rispetto alle sue alternative (trauma relazionale, trauma da tradimento, ecc.) in termini di solidità e potere esplicativo.
  2. Non è centrata esclusivamente sulla patologia ma sottolinea anche il lato adattativo dell’attaccamento traumatico. Sebbene esso sia di norma una condizione indesiderabile legata a molte conseguenze negative, il suo lato adattativo va anche sottolineato.
  3. Implica una nuova predizione empirica, ossia la separazione concettuale tra l’attaccamento traumatico che si verifica nell’infanzia e quello che si verifica nell’età adulta. Anche se alcune evidenze sembrano sostenere la nostra visione, futuri lavori empirici dovrebbero indagare più a fondo quanto sia sostenibile.
  4. Infine, la nostra formulazione fa da ponte a linee di ricerche tradizionalmente separate e mira ad aprire il campo a un nuovo programma di ricerca. Questo programma aspira ad avvicinare la teoria dell’attaccamento e la teoria del trauma.

L’attaccamento traumatico è conosciuto da lungo tempo nella pratica clinica, sotto questo o altri nomi. Sebbene la pratica clinica abbia da tempo riconosciuto l’importanza fondamentale di questo concetto, la ricerca sembra non aver ancora catturato accuratamente questa intuizione. Con questo paper, speriamo di aver fornito un contributo in questa direzione.

Riferimenti Andrea Zagaria: Ig/tunonseimicanormale/, zagaria.andrea@gmail.com


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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10 June 2024

KNOT GARDEN (A CURA DEL CENTRO VENETO DI PSICOANALISI)

di Raffaele Avico

Riportiamo di seguito un estratto da un PDF in free download erogato dal Centro Veneto di Psicoanalisi.

Il Centro Veneto di Psicoanalisi da un po’ di tempo pubblica degli Ebook chiamati “Knot Garden”.

Il nome Knot Garden evoca una tipologia di giardino inglese, caratterizzato da molti sentieri tra di loro intersecati:

“Viaggiando per la Gran Bretagna si possono visitare alcuni knot (nodo) garden ricostruiti sulla base di disegni ed antecedenti di epoca elisabettiana. Si tratta di piccoli giardini costruiti in modo da poter essere percorsi in modo continuo in innumerevoli catene di vie: specie di labirinti senza un unico punto d’arrivo; intrecci di sentieri tra basse aiuole che possono essere percorsi senza mai perdere di vista l’insieme delle altre possibili strade”.

Il Centro Veneto di Psicoanalisi ha da anni avviato la pubblicazione di questi free ebook di pregevole fattura, e ricchi nei contenuti. In precedenza aveva pubblicato un lungo approfondimento su Melanie Klein, reperibile qui.

L’ultima loro fatica esplora il mondo della musica, comprese le tendenze più recenti, in rapporto al mondo dell’adolescenza e alle sue metamorfosi identitarie, spesso dolorose. Lo si può scaricare qui. Di seguito ne pubblichiamo un estratto a proposito della poetica dei Nirvana e di Kurt Cobain, suicidatosi 30 anni fa.

[..]

Rock e brandelli di sé

Faccio ora un salto in avanti di una quindicina d’anni, per parlare di due opere prime di gruppi che hanno fatto la storia degli anni Novanta, i Nirvana e i Cranberries, e dei loro leader, Kurt Cobain, morto suicida a ventisette anni, e Dolores O’Riordan, annegata a quarantasette anni in una vasca piena d’acqua, sola e ubriaca in una stanza d’albergo londinese.

Sono anni di grande fermento musicale: la nascita del grunge offre una nuova via identitaria al rock e, al contempo, molte cantanti si affermano grazie alla loro voce e alla loro capacità compositive; Kurt Cobain e Dolores O’Riordan sono i massimi esponenti di questi due fenomeni del mondo rock.

Nella loro storia di vita l’arte è un tentativo di prendersi cura di sé, di cercare in essa e nell’ascolto offerto dai fans un vello d’oro che possa alleviare il dolore causato dalle ferite traumatiche.

Bleach, il disco d’esordio dei Nirvana, raccoglie nella sequenza dei brani lo spirito degli adolescenti di quegli anni, attraverso quella distruttività e quella rabbia che sono l’essenza del grunge; ma la passione e il coinvolgimento che Cobain mette in ogni brano è il tentativo di “ricucire i brandelli di un sé” (Spagnolo e Northoff, 2022, 96) fragile che non reggerà il peso della vita e la pressione futura dello show business. Un giro di basso oscuro e claustrofobico apre l’album e Blew, una canzone abrasiva dove il sofferto cantato di Cobain, magistralmente supportato da un sound cupo e distorto, offre un’immediata risonanza musicale-affettiva del giovane cantante e dei suoi dolori, radicati nella traumatica separazione dei genitori e in un’adolescenza caratterizzata dallo sviluppo di gravi e persistenti dolori di stomaco – di probabile origine psicosomatica – e abuso di sostanze, in una realtà di provincia che generava il senso claustrofobico che pervade non solo questa canzone ma tutta la breve discografia dei Nirvana.

Kurt Cobain e tutto il movimento grunge esprimono il senso di disillusione, cinismo e rabbia della cosiddetta generazione X, quella dei figli dei figli dei fiori ma, a mio parere, questo non è sufficiente a spiegare la forza espressiva della loro musica, a partire da Bleach, un disco che è il tentativo di prendersi cura di sé attraverso l’arte, recuperando “qualche elemento traumatico in modo da poterlo assimilare in una struttura rappresentazionale e simbolica più evoluta. Ma se la struttura del sé è sfilacciata dalle troppe discontinuità vissute nel corso dell’esistenza, questo movimento di recupero fallisce continuamente” (Spagnolo e Northoff, 2022, 100). Assimilare il trauma in una rappresentazione: questo è stato il tentativo di artisti come Jim Morrison e Kurt Cobain e di molte altre rockstar morte troppo presto o all’apice del successo, troppo fragili come personalità per poter elaborare i traumi attraverso il solo processo di rappresentazione. Cobain utilizzò nel corso degli anni dell’adolescenza la scrittura e il disegno nel tentativo di contenere e dare una forma al suo malessere: in questi diari, scannerizzati e pubblicati nel 2003, caratterizzati da una modalità stream of consciousness – come si può vedere nell’immagine riportata qui sotto – si trovano anche le prime bozze dei testi di alcune canzoni che verranno messe in musica e pubblicate in seguito: la musica rock, con la compresenza di più forme d’arte (scrittura, musica, canto), viene pensata come uno spazio transizionale più resistente del semplice diario; come uno spazio multidimensionale in cui offrire una forma elaborativa più profonda alla sofferenza.

Nella sua lettera d’addio Kurt scriverà che era dall’età di sette anni che provava odio verso tutti gli umani: a quel periodo risale la separazione dei suoi genitori, vissuta con profonda vergogna e intensa rabbia dal figlio; perché Kurt Cobain “non era una rockstar, era un ragazzo che contro la sua volontà era diventato un simbolo” (Vites, 2022, 85), tentando di trovare quel contenimento affettivo, vissuto e poi perduto in infanzia, attraverso la sua opera creativa.

“Mi è andata bene, molto bene, e ne sono grato, ma da quando ho sette anni, sono diventato pieno di odio verso l’umanità in generale. Solo perché sembra così facile per la gente andare d’accordo. Solo perché amo e mi dispiace troppo per le persone probabilmente. Grazie a tutti dal profondo del mio bruciante nauseato stomaco per le vostre lettere e la preoccupazione negli anni passati. Sono un bambino troppo incostante e lunatico!” (Brano tratto dalla lettera d’addio di Kurt Cobain).


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3 June 2024

Costanza Jesurum: un’intervista all’autrice del blog “bei zauberei”, psicoanalista junghiana e scrittrice

di Raffaele Avico

Nel corso di questa nuova puntata di POPMed Talks, intervistiamo Costanza Jesurum del blog “bei zauberei”.

Costanza è una psicoanalista junghiana formatasi nel contenitore dell’AIPA, appassionata di studi di genere, autrice di diversi volumi (raccolti qui).

Le abbiamo chiesto a proposito del suo blog, di come possa essere -il blog- uno strumento in aiuto del lavoro dell* psicoterapeuta, di come “scrivere aiuti a studiare”, e quali teorie psicodinamiche trovasse più utili nel suo operare quotidiano.

[qui l’intervista su POPMed]

 

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29 May 2024

LA SVIZZERA, CUORE DEL RINASCIMENTO PSICHEDELICO EUROPEO

di Raffaele Avico

É stato da pochissimo pubblicato un documento che contiene le linee guida per la psicoterapia assistita da psichedelici in Svizzera, a cura del Gruppo di Interesse Svizzero Terapia Assistita da Psichedelici. 

Il Gruppo di Interesse Svizzero Terapia Assistita da Psichedelici si è formato nel 2023 dalla fusione di tre realtà svizzere già esistenti, l’Association Professionnelle Suisse pour les Psychédéliques en Thérapie (ASPT), la Société Suisse de Médecine Psychédélique (SSMP) e l’Associazione Medica Svizzera per la Terapia Psicolitica (SÄPT), che esiste dal 1985.

Sulla realtà svizzera avevamo qui intervistato Federico Seragnoli: al momento rappresenta -la Svizzera- uno dei 3 luoghi al mondo dove la psicoterapia può in effetti essere integrata con farmaci a base psichedelica. Gli altri due sono -per ora- il Canada e l’Australia.

Il documento rappresenta una buona introduzione alla realtà svizzera, essendo molto ben chiarito il contesto (anche storico) e le prospettive future del “rinascimento psichedelico” europeo; contiene inoltre le considerazioni provvisorie che gli addetti ai lavori si spingono a fare in senso clinico.

Viene anche ben sviluppato il tema “formazione” in ambito di psichedelia (qui per approfondire).

Riportiamo qui di seguito uno stralcio delle linee guida, tradotte in italiano da Christine Meier e Luigi Pintus, reperibili qui per intero: Raccomandazioni_di_trattamento_PAT

In fondo, un estratto dalle linee guido a proposito dell'”integrazione“, un processo di ri-lettura e “assunzione” delle esperienze fatte durante il “trip” psichedelico.

[…]

Uso terapeutico degli psichedelici in Svizzera

Tra il 1988 e il 1993, alcuni medici – tutti membri della SÄPT – sono stati autorizzati dall’UFSP a trattare i pazienti con LSD e MDMA (Gasser, 1996). Dopo una lunga pausa, nel 2014 la Svizzera è diventata l’unico Paese al mondo a consentire all’autorità sanitaria nazionale (Ufficio federale della sanità pubblica, UFSP) di autorizzare, caso per caso, il trattamento con LSD e MDMA e, dal 2021, anche con la psilocibina.

La base è costituita da un articolo di esenzione della legge sugli stupefacenti (articolo 8, comma 5 della NarcA), secondo il quale l’autorizzazione può essere concessa in casi eccezionali per le sostanze che rientrano nel livello di divieto più elevato (lista d), se si tratta di un “uso medico limitato” di malattie gravi. La PAT non è un trattamento di prima scelta, ma viene presa in considerazione solo per le persone che si sono già sottoposte a diverse altre terapie psicoterapeutiche o psicofarmacologiche senza successo duraturo.

In alcuni casi, per questi trattamenti, è stato utilizzato anche il termine “uso compassionevole”, in quanto vengono utilizzati solo dopo aver esaurito i metodi abituali e spesso in pazienti con malattie minacciose o terminali. In termini normativi, tuttavia, il termine uso compassionevole si riferisce all’uso temporaneo di un medicinale non ancora autorizzato in pazienti al di fuori di uno studio di autorizzazione parallelo. Per questo tipo di trattamento, lo sponsor dello studio (l’azienda farmaceutica) deve presentare la domanda di utilizzo a Swissmedic. Tuttavia, l’uso medico limitato degli psichedelici non avviene generalmente in parallelo a uno studio di autorizzazione parallela (in Svizzera) e non viene effettuato su richiesta di uno sponsor e approvato dall’UFSP.

In termini normativi, la PAT in Svizzera è un “uso medico limitato” di una sostanza altrimenti vietata, basato su un’autorizzazione eccezionale dell’UFSP. Dal punto di vista terapeutico utilizziamo il termine “terapia assistita da psichedelici” (PAT). Oltre alla sua adeguatezza in termini di contenuto, la PAT ha il vantaggio che questo termine si sta affermando a livello internazionale.

Attualmente (autunno 2023), la PAT legale al di fuori degli studi approvati è possibile nel mondo solo in Svizzera, Australia (dal 1° luglio 2023, terapisti selezionati, uso dell’MDMA per il PTSD e della psilocibina per la depressione) e Canada (terapisti selezionati, uso della psilocibina per il trattamento palliativo dei pazienti oncologici). In Messico e in Canada esistono anche cliniche specializzate nell’uso dello psichedelico atipico ibogaina per il trattamento della dipendenza da op- pioidi, e in alcuni Paesi del Sud America sono stati creati centri che combinano l’uso sciamanico- indigeno o sincretico legale dell’ayahuasca con approcci psicoterapeutici.

In Svizzera, dal 2014 sono state rilasciate più di 1000 licenze per uso medico limitato a circa 60 medici. Si stima che siano stati effettuati circa 2000-3000 trattamenti psichedelici con MDMA, LSD e psilocibina. Attualmente sono disponibili dati concreti per gli anni dal 2016 al novembre 2023 incluso: Durante questo periodo, ci sono state in totale 1051 autorizzazioni (autorizzazioni iniziali e prosecuzioni), di cui 351 per l’MDMA, 338 per l’LSD e, negli anni 2021-2023, 362 per la psilocibina (informazioni dell’UFSP, al dicembre 2023).

Le autorizzazioni sono valide per un paziente e per una sostanza specifica per un periodo di un anno, con possibilità di proroga se il processo terapeutico lo richiede e viene concessa una nuova autorizzazione. La decisione sul dosaggio della sostanza, sulla frequenza delle sedute psichedeliche, sul setting e sulla forma e intensità della psicoterapia di accompagnamento, spetta al titolare dell’autorizzazione eccezionale e al suo progetto terapeutico individuale.

Da quasi dieci anni l’UFSP rende possibile l’esecuzione di trattamenti assistiti da psichedelici in Svizzera su una scala non trascurabile. Nel 2019 l’UFSP ha commissionato un rapporto di esperti che fornisce informazioni sullo stato e sugli scenari di sviluppo del trattamento con psichedelici (Liechti, 2019).”

[…]

Integrazione

L’integrazione delle esperienze psichedeliche è stata oggetto di grande attenzione solo negli ultimi anni, e in alcuni casi le relative conoscenze vengono insegnate in seminari appositamente creati. In sostanza l’obiettivo è quello di utilizzare un’esperienza psichedelica approfondendone la comprensione e trasferendola nella vita quotidiana. In particolare, le esperienze difficili (talvolta definite colloquialmente “bad trip”), i processi emotivi incompiuti, l’intensificazione delle paure, la disperazione, la frustrazione, il dolore intenso, la rabbia, o simili, necessitano di un lavoro terapeutico per essere compresi e classificati. L’integrazione può essere intesa anche come un processo di cambiamento nel tempo, che a volte può avvenire in modo inconsapevole. I processi di integrazione e di elaborazione iniziano già durante l’esperienza psichedelica quando, verso la fine dell’effetto acuto, il pensiero razionale, analitico e categorizzante torna in primo piano rispetto al pensiero associativo, creativo e intuitivo precedentemente predominante. I pazienti iniziano a ricapitolare e a riflettere su ciò che hanno sperimentato. In determinate circostanze possono anche verificarsi conversazioni più brevi o più lunghe con il terapeuta o con altri partecipanti al gruppo.
Questo processo può essere sostenuto e reso consapevole, almeno in parte, dalla psicoterapia di accompagnamento e da vari metodi di centratura e di calma, come la meditazione, il tempo trascorso nella natura, o qualsiasi processo creativo (come dipingere, fare musica). I pazienti possono anche essere incoraggiati a scrivere un diario e un riassunto descrittivo subito dopo l’esperienza psichedelica, che potrà essere discusso in terapia.

[..]

Qui per il documento: PDF.


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  • Offline is the new luxury, un documentario 22 January 2024
  • MARCO ROVELLI, LA POLITICIZZAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO E UN PODCAST DI psicologia fenomenologica 10 January 2024
  • La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico) – di Emiliano Toso 8 January 2024
  • INTRODUZIONE A VIKTOR FRANKL 27 December 2023
  • UN APPROFONDIMENTO DI MAURIZIO CECCARELLI SULLA CONCEZIONE NEO-JACKSONIANA DELLE FUNZIONI MENTALI 14 December 2023
  • 3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA 12 December 2023
  • Il burnout oltre i luoghi comuni (DI RICCARDO GERMANI) 23 November 2023
  • TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO 9 November 2023
  • 10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE 6 November 2023
  • UN’INTERVISTA A GIUSEPPE CRAPARO SU PIERRE JANET 30 October 2023
  • CONTRASTARE IL DECADIMENTO COGNITIVO: ALCUNI SPUNTI PRATICI 26 October 2023
  • PTSD (in podcast) 25 October 2023
  • ANIMALI CHE SI DROGANO, DI GIORGIO SAMORINI 12 October 2023
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE 7 October 2023
  • Congresso Bari SITCC 2023: un REPORT 2 October 2023
  • GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione 25 September 2023
  • CANNABISCIENZA.IT 22 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST) 18 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA) 4 September 2023
  • POPMED: 10 articoli/novità dal mondo della letteratura scientifica in ambito “psi” (ogni 15 giorni) 30 August 2023
  • DIFFUSIONE PATOLOGICA DELL’ATTENZIONE E SUPERFICIALITÀ DIGITALE. UN ESTRATTO DA “PSIQ” di VALERIO ROSSO 23 August 2023
  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO 12 August 2023
  • NIENTE COME PRIMA, DI MANGIASOGNI 8 August 2023
  • NASCE IL “GRUPPO DI INTERESSE SULLA PSICOPATOLOGIA” DI AISTED (Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) 26 July 2023
  • Psychedelic Science Conference 2023 – lo stato dell’arte sulle terapie psichedeliche  15 July 2023
  • RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS 29 June 2023
  • EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO 21 June 2023
  • Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere! 7 June 2023
  • CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE) 1 June 2023
  • UN RICORDO DI LUIGI CHIRIATTI, STUDIOSO DI TARANTISMO 30 May 2023
  • PHENOMENAUTICS 20 May 2023
  • 6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE 18 May 2023
  • GLI PSICOFARMACI PER LO STRESS POST TRAUMATICO (PTSD) 8 May 2023
  • ILLUSIONI IPNAGOGICHE, SONNO E PTSD 4 May 2023
  • SI PUÓ DIRE MORTE? INTERVISTA A DAVIDE SISTO 27 April 2023
  • CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO 12 April 2023
  • Laetrodectus, che morde di nascosto 6 April 2023
  • STABILIZZAZIONE E CONFINI: METTERE PALETTI PER REGOLARSI 4 April 2023
  • L’eredità teorica di Giovanni Liotti 31 March 2023
  • “UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI 7 March 2023
  • SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN 9 January 2023
  • SUPERHERO THERAPY. INTERVISTA A MARTINA MIGLIORE 5 December 2022
  • Allucinazioni nel trauma e nella psicosi. Un confronto psicopatologico 26 November 2022
  • FUGA DI CERVELLI 15 November 2022
  • PSICOTERAPIA DELL’ANSIA: ALCUNI SPUNTI 7 November 2022
  • LA Q DI QOMPLOTTO 25 October 2022
  • POPMED: UN ESEMPIO DI NEWSLETTER 12 October 2022
  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
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  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
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  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
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  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
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  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
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  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
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Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

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  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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