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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

9 May 2024

Un’alternativa alla psicopatologia categoriale: Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP)

PREMESSA: su questo blog avevamo già parlato di HiTOP qui. Qui invece un’intervista fatta a Simone Cheli a fine 2021, su questi temi e altro. (R. Avico)

di Simone Cheli (PhD; Department of Psychology, St. John’s University, Roma)

Tra tutti i tentativi di rispondere alla crisi dei modelli diagnostici in psicopatologia, il Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP) è uno dei più recenti.

HiTOP nasce infatti meno di 10 anni fa (Kotov et al., 2017: Cicero et al., 2024) come un gruppo di ricercatori interessati a supportare una prospettiva dimensionale. In breve, l’idea di fondo (che ritroviamo anche nel modello alternativo di diagnosi dei disturbi di personalità del DSM-5) è quella di soppiantare le diagnosi basate su un modello tradizionalmente medico con una prospettiva nuova

Prendiamo due esempi. La Corea di Hungtington è attribuibile ad un profilo sintomatologico preciso e confermata solo e soltanto dalla presenza di una mutazione del gene IT15. Queste caratteristiche permettono chiaramente di identificare una categoria diagnostica discreta (sì o no) e totalmente ripetibile (almeno da chiunque sia in grado di sequenziare il gene in questione). Se invece io devo formulare un profilo diagnostico di un paziente con prominenti sintomi depressivi, rischio di aprire il vaso di Pandora. Può sussistere una depressione maggiore conseguente ad un disturbo di adattamento alla fine di una relazione. Oppure i sintomi in questione (e la possibile diagnosi di depressione maggiore) corrispondono allo stato di vuoto di un paziente con disturbo narcisistico di personalità, ma al contempo quello stesso disturbo di personalità può essere in comorbidità con un disturbo evitante di personalità che esacerba tali sintomi attraverso meccanismi fobico-sociali…

Tutti noi che ci siamo progressivamente uniti ad HiTOP Consortium riteniamo che una prospettiva basata su dimensioni organizzate gerarchicamente sia non solo più utile al clinico, ma anche più coerente con i dati ad oggi raccolti.

Da un lato, molti clinici riconoscono sempre di più come esistano dei profili “macro” che possono spiegare l’eterogeneità e variabilità dei sintomi. Si pensi a come almeno un paziente su due con sintomi depressivi abbia anche sintomi ansiosi. Questo ha portato autori come David Barlow a sviluppare protocolli terapeutici transdiagnostici per i disturbi emotivi nel suo insieme e ad individuare un tratto di personalità trasversale e duraturo che corrisponde al nevroticismo (Sauer-Zavala & Barlow, 2024) Dall’altro lato, i numerosi studi meta-analitici condotti da HiTOP e altri gruppi di ricerca suggeriscono come esistano delle dimensioni latenti a tutti i sintomi psicopatologici e queste dimensioni sono organizzabili gerarchicamente in macro-fattori (definiti spectra o super-spectra).

Nel linguaggio di HiTOP abbiamo a che fare con lo spettro internalizzante (pazienti che internalizzano la sofferenza mostrando primariamente disturbi emotivi), lo spettro esternalizzante (pazienti che esternalizzano la sofferenza mostrando primariamente forme di disregolazione), i disturbi del pensiero o il super-spectrum psicosi (riferibili a disturbi in cui è a rischio l’esame di realtà) e simili.

Tutte queste dimensioni convergerebbero su quello che da molti è stato definito il fattor p, ovvero un generale rischio di manifestare psicopatologia.

Per quanto le analisi condotte lascino ancora spazio a numerose interpretazioni (e non siamo tutti concordi su queste!), è interessante notare come siano sempre di più le convergenze tra studi clinici e studi meta-analitici.

Gli spectra di HiTOP sono facilmente sovrapponibili alle dimensioni del modello alternativo del DSM-5, al Five Factor Model, nonché ai modelli di concettualizzazione e trattamento dei disturbi in età evolutiva. Non solo, sempre più clinici sviluppano protocolli spectrum-specifici come Barlow e colleghi per il nevroticismo, il nostro gruppo di ricerca per la schizotipia e tanti altri (Cheli & Lysaker, 2023).

Infine, il costrutto di fattore p è stato più volte ripreso da autori come Fonagy e Bateman e messo in relazione a fattori di funzionamento come la mentalizzazione o la fiducia epistemica.

In futuro è da augurarsi che la ricerca si concentri su due ambiti. Il primo è quello dello sviluppo di strumenti di assessment basati su modelli dimensionali come HiTOP (è in corso di validazione il protocollo HiTOP Self Report o HiTOP-SR). Il secondo corrisponde invece all’uso di HiTOP e altri modelli dimensionali e gerarchici nella pratica clinica a partire da protocolli validati sino ad uno uso pragmatico da parte dei singoli clinici nel loro quotidiano.

Bibliografia

Cheli, S. & Lysaker P.H. (2023). A dimensional approach to schizotypy. Conceptualization and treatment. Springer.

Cicero, D. C., Ruggero, C., Balling, C., Bottera, A. R., Cheli, S., Elkrief, L., … Thomeczek, M. L. (2024). State of the Science: The Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP). Behavior Therapy, Online publication. Qui il link

Sauer-Zavala, S., & Barlow, D.H. (2024). Nevroticismo. Una nuova concernice per i disturbi emotivi e il loro trattamento (A cura di S. Cheli). Fioriti Editore.

Kotov, R., Krueger, R. F., Watson, D., Achenbach, T. M., Althoff, R. R., Bagby,… Zimmerman, M. (2017). The Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP): A dimensional alternative to traditional nosologies. Journal of abnormal psychology, 126(4), 454–477. https://doi.org/10.1037/abn0000258

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Article by admin / Generale

8 May 2024

INVITO A BION

di Redazione POPMed

Abbiamo scritto in precedenza su Bion, psicoanalista di provenienza indiana e naturalizzato inglese.

Bion iniziò tardi la sua carriera da psichiatra e psicoanalista: i primi anni lo videro impegnato in altri studi (storia), oltre ad essere caratterizzati dallo scoppio delle due guerre mondiali, che lo psicoanalista conobbe prima da soldato civile, poi da medico militare (e da osservatore attento: risalgono a quegli anni le sue intuizioni sui conosciuti “assunti di base”).

Questo post raccoglie alcuni contenuti che, della teoria di Bion, forniranno alcuni punti fermi, aspetti della sua teoria che non possono essere trascurati. Qui di seguito un brevissimo indice dei contenuti:

  1. PRIMA PARTE: un approfondimento sulla teoria sulla nascita del pensiero di Bion, e spunti dal lavoro di Antonino Ferro
  2. SECONDA PARTE: riportato per intero, un articolo del 1981 (inedito in rete) scritto da Mauro Mancia, uno dei padri della neuropsicoanalisi italiana, che scrisse questo contributo tentando di raccordare gli aspetti teorici bioniani con quello che -al tempo- si sapeva di neuroscienza del sonn

..continua su POPMed.

Article by admin / Generale / recensioni

18 April 2024

INTERVISTA A FEDERICO SERAGNOLI: IL VIDEO

di Raffaele Avico

Il gruppo di interesse sulla psicopatologia di Aisted ha organizzato un incontro con Federico Seragnoli, psicologo e dottorando a Ginevra, a proposito della psicoterapia assistita da psichedelici.

Seragnoli descrive la realtà di Ginevra, il rationale di intervento per i pazienti in cura, come accedere a un servizio di questo tipo (offerto solo ai cittadini svizzeri), le sue impressioni su questo tipo di pratica.

Offre inoltre molti spunti di riflessione e approfondimento sul tema.

Per chi volesse, il video è qui sotto disponibile.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Generale / interviste, ptsd

9 April 2024

INCONSCIO NON RIMOSSO E MEMORIA IMPLICITA: UNA RECENSIONE

di Raffaele Avico

Questo volume raccoglie molteplici contributi di personalità legate alla neuropsicoanalisi, al mondo della psicoanalisi e delle neuroscienze a proposito del concetto psicoanalitico di inconscio non rimosso.

Vi trovano spazio nomi di assoluto spessore nel panorama attuale, da Solms, padre della moderna neuropsicoanalisi, al nostro Giovanni Liotti, a Clara Mucci, a Mauro Mancia.

Il volume è curato da Giuseppe Craparo (che su questo blog abbiamo già incontrato) e Clara Mucci per la collana sul trauma che dirige lo stesso Craparo, edita da Giunti.

Il concetto di inconscio non rimosso si configura come una sorta di evoluzione, o allargamento del concetto freudiano di inconscio. Muove dal concetto “classico” di inconscio freudiano, per il quale veniva ipotizzata la presenza di un atto di rimozione da parte dell’individuo, per descrivere un territorio della psiche caratterizzato da elementi pre-verbali e pre-simbolici, stratificatosi nei primi anni di vita del bambino, entro una dimensione per lo più interpersonale.

Alcune riflessioni a riguardo:

  1. è indicativo che un libro sull’inconscio non rimosso venga incluso in una collana sul trauma. In effetti, le scoperte più recenti sul trauma convergono con gli studi psicoanalitici inerenti le traumatizzazioni più precoci, neanche arrivate a essere rimosse (essendo, come leggiamo qui, che la rimozioni prevede l’uso del pensiero simbolico e del linguaggio), ma dissociate e depositate in un luogo pre-verbale e pre-psichico o, se vogliamo, entro la memoria “implicita”, incarnata
  2. l’inconscio non rimosso viene concettualizzato in questo volume come un contenitore, un deposito delle memorie relazionali più precoci; non essendo possibile per il bambino rimuoverle attivamente, queste ultime produrranno molteplici conseguenze sullo sviluppo della sua psiche, ri-attivandosi in condizioni peculiari in senso relazionale, nel contesto del transfert con l’analista, o attraverso enactment (ne avevamo scritto qui). É il capitolo scritto da Clara Mucci a fornircene la definizione più chiara; immaginiamo l’inconscio come un deposito, un contenitore; al suo interno, solo una parte dei ricordi sono ricordi rimossi: larga parte del restante spazio psichico, è abitato da memorie relazioni primordiali, precedenti a ogni possibile rimozione
  3. I capitoli scritti da Mauro Mancia e Liotti brillano per particolare semplicità, chiarezza e coerenza. Liotti cita Mancia più volte nel suo lavoro; notevole osservare come i due articoli presenti nel volume arrivino presto a convergere: Liotti riprende Mancia proprio sul concetto di inconscio non rimosso, citandolo più volte. Come sappiamo, e come su questo blog più volte abbiamo osservato, Gianni Liotti sapeva attingere da differenti matrici teoriche per formulare idee originali e geniali a riguardo della psicopatologia: all’interno di questo volume, nel suo capitolo, Liotti integra il concetto di inconscio non rimosso al suo modello sui sistemi motivazionali opposti e contraddittori, tipici di uno “sviluppo traumatico”.
    Sarebbe infatti la compresenza di sistemi motivazionali opposti verso la madre (paura e attaccamento) a generare nel bambino rappresentazioni di sé dissonanti e conflittuali, riproposte -nella vita adulta- all’interno dei rapporti significativi. Liotti appoggia in pieno il concetto di inconscio non rimosso, apportando ad esso alcune puntualizzazioni, e spingendo per un superamento del modello pulsionale inerente la formazione dell’inconscio (l’inconscio non si costituirebbe come un contenitore di fantasie pulsionali inaccettabili, ma -di nuovo- si formerebbe per via di memorie relazionali primarie, introiettate nei primi anni di vita). Liotti era un bowlbiano convinto, e in questo lavoro lo sottolinea un’altra volta
  4. la comunicazione madre-caregiver-bambino, nei primi, anni, è una comunicazione “tra emisferi destri” (ovvero, tra emisferi dominanti); il capitolo di Schore, autore del volume Psicoterapia con l’emisfero destro, rappresenta un aggiornamento sulle scoperte neuroscientifiche più recenti a riguardo proprio della neuroanatomia della vita relazionale precoce, che coinvolgerebbe per lo più struttura sottocorticali dell’emisfero destro, sede fisica di quelle tracce mnestiche implicite, seminali e iniziali, chiamate qui “inconscio non rimosso”. Sulla dominanza dell’emisfero destro, avevamo scritto estesamente qui recensendo “The master and his emissary”
  5. il capitolo di Clara Mucci riprende e dilata il contributo di Schore, e rappresenta il “centro di gravità” del volume, essendo che la Mucci contestualizza il lavoro teorico sull’inconscio non rimosso nella cornice dei paradigmi attuali riguardanti la psicoanalisi, con critiche abbastanza pesanti alla visione freudiana, troppo individualistica e intrapsichica, in favore di un paradigma maggiormente relazionale e in linea con le evidenze più attuali in ambito di psicotraumatologia.
    La Mucci è conosciuta per il suo lavoro sulle ipotesi eziopatogenetiche dei disturbi di personalità più gravi, in particolare è conosciuta per la sua ipotesi psicotraumatologica nella genesi del disturbo borderline. Nel suo capitolo riprende un modello di mente, e di sviluppo della mente, che avevamo già trovato qui riprendendo idee di Janet.
    La patogenesi dei disturbi di personalità più gravi, sarebbe cioè da rintracciarsi nella fase pre-verbale, pre-cognitiva dello sviluppo del bambino, non ancora in grado di “rimuovere attivamente” i contenuti traumatici dalla sua coscienza. Come prima anticipato, il contenitore dell’inconscio sarebbe formato solo in parte dai contenuti rimossi: una larga parte dei suoi elementi costitutivi, sarebbe rappresentata dai contenuti “non rimossi” e implicitamente memorizzati nelle prime, fondamentali fasi dello sviluppo. La stessa pulsione di morte, la Mucci propone, sarebbe da attribuire a introiezioni problematiche di oggetti interni persecutori, una spinta insomma figlia di elementi relazionali inter-psicologici; sarebbe incorretto, seguendo Freud, attribuirla a una spinta “innata”. Inoltre, la Mucci evidenzia un oscurantismo freudiano a proposito del fenomeno clinico della dissociazione, sviluppato come sappiamo da Janet in parallelo a Freud, e poi da altri pionieri del trauma, come Ferenczi.
  6. nel suo capitolo, Craparo distingue in maniera fruttuosa i concetti di acting out da quello di enactment: quest’ultimi sarebbero da imputare a un processo di evacuazione di materiale non rimosso, ad una riattualizzazione in chiave relazionale/intersoggettiva di modalità interpersonali racchiuse -di nuovo- nel “contenitore” dell’inconscio non rimosso.

Per concludere, troviamo nel concetto di inconscio non rimosso un punto di congiunzione, e di saldatura, tra differenti approcci.

Le teorie di Liotti sull’attaccamento disorganizzato e la creazione di rappresentazioni dissonanti di sé, i molti studi sulle esperienze avverse infantili e la patogenesi della dissociazione, il concetto di scissione in età precoce raccontato dagli analisti: tutte queste formulazioni teoriche convergono in questo volume presentandoci l’immagine di un “terreno” psichico entro cui, precocemente, si crearono le prime -implicite- memorie relazionali, in grado di influenzare in modo radicale il successivo sviluppo della mente dell’individuo.

Come osserviamo, Giovanni Liotti ancora una volta si dimostra in grado di incarnare questa integrazione nelle sue formulazioni teoriche, portando la teoria dell’attaccamento e la teoria dei sistemi motivazionali interpersonali (innati) a completamento delle concettualizzazioni psicoanalitiche inerenti la nascita (intersoggettiva) del pensiero. Viene qui illuminata inoltre una concezione dell’inconscio solamente, intrinsecamente interpersonale, post-freudiana, evoluzionisticamente giustificata, svuotata dei suoi aspetti scabrosi inerenti le pulsioni sessuali, “moralmente” bonificata.

Infine, possiamo con questo volume osservare come l’interpsichico preceda l’intrapsichico: sarebbero le relazioni interpersonali a creare il sostrato di memorie implicite che determinerebbero la nostra vita adulta, le nostre scelte relazionali, i nostri transfert e i nostri enactment; l’inconscio stesso sarebbe un contenitore delle memorie implicite più antiche, e -in linea con la letteratura psicotraumatologica- l’ambiente di sviluppo avrebbe finalmente riacquistato una posizione centrale nella sviluppo della mente, con il bambino impegnato ad adattarsi ad esso, spinto da motivazioni innate interpersonali, impegnato nell’eseguire “adattamenti acrobatici” quando lo stesso ambiente fosse problematico, o traumatico.

Qui le altre recensioni presenti su questo blog.

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Article by admin / Generale

3 April 2024

UN FREE EBOOK (SUL TRAUMA) IN COLLABORAZIONE CON VALERIO ROSSO

di Raffaele Avico

In collaborazione con Valerio Rosso, abbiamo pubblicato un free ebook sul Trauma e sulla dissociazione, con diversi link di approfondimento, e la grafica realizzata da Andrea Pisano.

Qui l’indice, e in fondo il link per poterlo scaricare.

Qui per scaricarlo (sul blog di Valerio Rosso).

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28 March 2024

GLI INCONTRI DI AISTED: LA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A GINEVRA (16 APRILE 2024)

di Raffaele Avico

Il 16 aprile 2024 alle 19 via Zoom e accessibile a tutti, AISTED ha organizzato un incontro con Federico Seragnoli, psicologo e dottorando presso Hôpitaux Universitaires de Genève (HUG), a proposito dell’uso terapeutico delle sostanze psichedeliche.

Attualmente in Svizzera (e in pochi altri luoghi in Europa) viene usata la psicoterapia assistita da psichedelici: come sappiamo l’MDMA è studiato da anni come possibile aiuto farmacologico nel contesto della cosiddetta “fase 2” del trattamento delle sindromi post-traumatiche, essendo in grado di predisporre la mente a un miglior lavoro di esposizione ai ricordi traumatici, mitigando le risposte di allarme.

Federico ci racconterà della sua esperienza in Svizzera, delle sue osservazioni a riguardo, del suo lavoro come psicologo in quel contesto.

L’incontro verterà sulle seguenti domande:

  • Federico, ci racconti chi sei e di cosa ti occupi? Quali sono i progetti che porti avanti con il tuo gruppo di lavoro?
  • Parliamo del tuo lavoro in ambito psichedelico: Ginevra sembra essere l’unico luogo in Europa dove la psicoterapia assistita da psichedelici è erogata al pubblico. Ci spieghi com’è possibile e come funziona l’iter?
  • Come si svolge, nel concreto, una sessione? Ci racconteresti qualcosa di un caso da te seguito?
  • Quali sono i professionisti coinvolti in un percorso di psicoterapia assistita, e quali sono i razionali di intervento (disturbi-target, principio di funzionamento della PAP, e risultati attesi?)
  • Ci daresti un parere personale sulla psicoterapia assistita da psichedelici, e sul rinascimento psichedelico in generale?
  • Spunti di approfondimento (siti, film, libri, articoli, gruppi di lavoro in ambito di ricerca, etc.)?

Qui la pagina per iscriversi sul sito AISTED.


Altro su questo blog a proposito di psichedelia e psichedelici:

  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO)
  • VERSO L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL PTSD
  • RUBRICA: TERAPIE PSICHEDELICHE
  • PHENOMENAUTICS

Article by admin / Generale / ptsd

21 March 2024

La teoria del ‘personaggio’ nell’opera di Antonino Ferro

di Raffaele Avico

Antonino Ferro è uno dei pochi psicoanalisti che in Italia hanno sviluppato e approfondito una teoria del personaggio che sia funzionale in modo diretto all’ambito clinico.

I personaggi che cita Ferro, come si vedrà, hanno il compito di esemplificare attraverso il loro modo di essere situazioni emotive confuse (come quando per esplicitare un clima molto teso in seduta immagina alcuni cowboys in un saloon), oppure possono essere considerati come proiezioni di oggetti interni che descrivono ciò che il paziente sente emotivamente durante la seduta.

L’utilizzo del personaggio occupa buona parte della teoria elaborata da Ferro; nelle sue opere emerge l’importanza attribuita a questo strumento teorico: si ha l’impressione che l’intera impostazione dell’analisi venga largamente influenzata e indirizzata dal fattore personaggi.

Il tema dell’utilizzo del personaggio viene qui ripreso a partire da come essi furono pensati dalle origini della psicoanalisi, cioè da Freud in poi.

Successivamente l’attenzione si focalizza sulle modalità con cui Ferro considera il personaggio all’interno del campo d’analisi; al termine di questa lettura vengono proposti cenni di esempi clinici, per illustrare in pratica la funzionalità di questo strumento terapeutico.

Tracce storiche riguardo all’utilizzo del personaggio

La psicoanalisi ha per lungo tempo evitato di occuparsi dell’utilizzo del personaggio in ambito clinico.

Nella teoria di Antonino Ferro, come si è visto, è spesso sottolineato quanto l’ambito della narratologia e quello della psicoanalisi siano legati dall’utilizzo di strumenti clinici comuni, come le storie terapeutiche, la metafora o appunto il personaggio.

La narratologia ha compiuto un percorso relativo al personaggio legato allo studio della fiaba e della favola: è stata progressivamente sottolineata l’importanza del “ruolo” del personaggio e della sua “funzione” all’interno dell’intreccio narrativo.

In ambito clinico il personaggio assume peculiare importanza già dagli inizi – per esempio nelle opere di Freud – , ma è considerato in modo molto differente da come viene attualmente teorizzato: con il maturare delle teorie psicoanalitiche, infatti, assumerà molteplici sfaccettature e significati differenti.

Nella teoria di Antonino Ferro viene analizzata l’evoluzione dell’utilizzo del personaggio in psicoanalisi: l’Autore propone tre principali “tappe” di questo percorso (Ferro stesso sottolinea che in realtà una distinzione così netta sia da considerarsi artificiosa, anche se utile); le tre fasi proposte da Ferro sono:

  • modello freudiano
  • modello kleiniano
  • modello relazionale insaturo.

Il modello freudiano

Ferro descrive la modalità con cui storicamente il padre della psicoanalisi considerava i personaggi che prendevano vita durante la seduta psicoanalitica.

La tecnica terapeutica degli inizi era orientata principalmente sulla necessità, da parte dell’analista, di ricostruire e portare al ricordo del paziente una serie di situazioni traumatiche che erano state rimosse. Il terapeuta si presentava quindi come una sorta di archeologo con il compito di analizzare il materiale rimosso affiorato a livello dell’Io (la nevrosi per Freud era da collocare nell’affiorare indistinto e confuso del materiale rimosso a livello dell’Io).

Nella teoria di Freud, all’interno del racconto portato dal paziente, i personaggi emersi dovevano essere considerati come “nodi in una rete di rapporti storici”, cioè erano funzionali all’analisi delle dinamiche interpersonali passate del paziente.

Si vede quindi come in quest’ottica essi assumano la valenza di persone reali con cui il paziente ha avuto un qualche rapporto in passato.

Il personaggio da questo punto di vista è come una “persona viva” a cui vanno attribuiti tratti psicologici e caratteriali ben definiti.

Ferro fa notare inoltre che questo tipo di approccio “fortemente realistico” si inserisca nella tendenza narratologica dell’epoca secondo cui il personaggio era da considerarsi come detentore di un’esistenza propria nella fabula (in questa visione la narrazione e i suoi personaggi riproducono in modo fedele la realtà).

L’analista (Freud) deve quindi ricondurre tutti i personaggi che nascono dal contesto terapeutico alla realtà passata del paziente. Ferro cita il caso clinico dell’Uomo dei lupi, in cui Freud riconduce i personaggi/lupo osservati in sogno alla scena primaria vissuta molti anni prima dal piccolo paziente. Si vede quindi come l’approccio freudiano debba ricondurre tutti i personaggi (compresi quelli del sogno) a persone reali coinvolte in avvenimenti accaduti nel passato.

A proposito del sogno, Ferro sottolinea che

“Il traguardo ermeneutico è raggiunto quando il personaggio diventa, a tutti gli effetti, persona: quando cioè cade la finzione narrativa e il re, finalmente, come nella fiaba, appare nudo” (Ferro A., 1999, p. 99).

Se nel sogno compaiono dei personaggi, essi devono essere considerati come finzioni narrative, e necessitano dell’interpretazione dell’analista per “spogliarsi”, riprendendo così il loro statuto reale, storico.

Ferro propone una riformulazione della definizione di modello freudiano: parla di modello a forte impronta realistica delle comunicazioni (ibidem, p. 101).

Una riflessione interessante è fatta dall’Autore in proposito alla natura del personaggio, che da antropomorfo passa lentamente – in narratologia come in psicoanalisi – ad assumere forme differenti: può diventare “qualsiasi elemento figuratizzativo a livello superficiale che si pone come unità sintattica profonda” (ibidem, p. 101).

Naturalmente un personaggio non antropomorfo verrebbe ricondotto nella prospettiva di Freud ad una persona in carne ed ossa esistita nella realtà storica del paziente.

Il modello kleiniano

Il secondo modello a cui Ferro fa riferimento, riguardo l’utilizzo del personaggio, è quello da lui stesso definito kleiniano.

In questa visione il personaggio che entra in seduta appartiene al mondo interno del paziente, e lì deve essere ricondotto.

Questo tipo di concezione del personaggio si riferisce come è intuibile all’approccio terapeutico adottato da Melanie Klein a riguardo all’introiezione di oggetti “buoni” o “cattivi” a partire dalle relazioni esterne. Qui le problematiche del paziente sono da analizzare a livello di oggetti interni introiettati, che “appaiono” esteriormente attraverso proiezioni difensive.

Questo aspetto della teoria della Klein si traduce in termini di teoria del personaggio nel senso che essi devono essere considerati in realtà come dei “doppi da ricondurre all’unità”, cioè proiezioni di vissuti emotivi interni.

Questa seconda modalità di concepire il personaggio in seduta, originata da una ripresa della teoria kleiniana, trova il suo corrispettivo in narratologia nelle opere attinenti al tema del doppio o dell’alter ego (Ferro cita l’interesse per la dimensione dell’ombra nella fiaba di Andersen, il Sosia di Dostoevskij o il Clandestino di Conrad).

Nell’ambito della psicoanalisi è chiaro come considerando il personaggio un oggetto interno al paziente (o anche all’analista, se si considera il campo come prodotto da entrambi), emerga la necessità di creare un codice comunicativo più generalizzabile (Ferro, 1997).

Il personaggio comincia ad essere considerato come possibile strumento comunicativo nel campo d’analisi.

Se si considera il primo modello, freudiano, e il secondo, kleiniano, i personaggi possono essere definiti come rispettivamente referenziali e commutatori.

Queste due definizioni si trovano nell’opera di Hamon (1972), anche se sviluppate in ambito narratologico: i personaggi pensati da Freud sarebbero referenziali in quanto appartenenti al mito e alla storia e dotati di un coefficiente di realtà assai elevato; quelli kleiniani invece commutatori in quanto spie dell’autore e delle sue idee (in questo caso l’autore del personaggio sarebbe in analisi il paziente stesso).

Ferro ridefinisce il termine approccio kleiniano, e parla di modello a forte impronte fantasmatica focalizzata sul mondo interno del paziente (Ferro, 1999).

Compito dell’analista sarà quello di tradurre le fantasie inconsce, poiché i personaggi ad esse rimandano, e non di costruire una storia in cui questi siano nodi relazionali o cause scatenanti di conflitti.

Il modello relazionale insaturo

Ferro rintraccia le origini storiche di quest’ultimo approccio alla teoria del personaggio nel pensiero di Bion e dei coniugi Baranger.

Nelle teorie di questi autori, ripresi nel loro aspetto più propriamente relazionale, è rilevabile un utilizzo del personaggio come indicatore del funzionamento della relazione emotiva attuale analista – paziente.

Secondo Ferro, Bion e i Baranger prenderebbero in seria considerazione la necessità per la coppia analitica di comunicarsi in tempo reale l’andamento della relazione a livello comunicativo / affettivo.

Da questo punto di vista la natura del personaggio che compare in seduta può essere pensata come una riproduzione “artistica” della relazione.

Ferro fa notare che nel considerare i personaggi come ologrammi affettivi si viene a creare una situazione comunicativa in cui il paziente e soprattutto analista non sono vincolati dalla necessità di interpretare ciò che accade in seduta.

Nella prospettiva freudiana e kleiniana, infatti, il paziente invia un messaggio all’analista che deve interpretare “in direzione della realtà”. A questo obiettivo primario sottostanno necessariamente le altre dinamiche analitiche.

Da questo terzo vertice osservativo, invece, paziente e analista lanciano entrambi dei messaggi relativi alla comunicazione che si risolvono poi nell’emergere in seduta di un personaggio.

Ê quindi una relazione maggiormente paritetica, poiché “sia il paziente che l’analista sono contemporaneamente emittenti e destinatari” (Ferro, 1999, p. 105) del messaggio analitico.

Essi sono in questa prospettiva entrambi “padri” del personaggio che emerge nel campo: è un personaggio

“Privo di un aspetto dato, oggettivo, in quanto viene articolato progressivamente attraverso il reciproco gioco dialogico e proiettivo del paziente e dell’analista” (Ferro A., 1999, p. 106).

Si configura una situazione analitica di cooperazione interpretativa, poiché la storia che si crea nel campo assume molteplici aspetti grazie al continuo alternarsi di personaggi e alla plasticità di questi.

Ferro a questo proposito sottolinea come il testo psicoanalitico sia aperto a infinite negoziazioni di significato e, a differenza di quello letterario che nello svilupparsi perde aperture e possibilità narrative, con il procedere dell’analisi nuovi personaggi entreranno sicuramente in gioco aprendo la strada a nuovi “mondi” possibili.

É interessante la definizione data dall’Autore a questa dinamica letteraria:

“[…[Tanto stimolante quanto delicata, contemporaneamente ricca e precaria, e soprattutto libera dalla necessità di giungere a un traguardo narrativo definitivo” (Ferro A., 1999 p. 108).

Il personaggio è creato a “quattro mani”, e questo gli conferisce maggiore mutevolezza: diviene uno spazio importante di proiezione e allo stesso tempo solidifica la relazione terapeutica, poiché ci si “allea” attraverso il parlare di qualcun altro (o qualcos’altro, nel caso di un personaggio non antropomorfo).

La definizione di approccio relazionale insaturo si riferisce all’impossibilità per analista e paziente di caratterizzare in modo definitivo lo statuto del personaggio, che non diventa mai “reale” o “troppo finito”, ma si trasforma con le dinamiche relazionali della coppia analitica.

Riprendendo una definizione data da Ferro, si può dire che

“Il personaggio diventa fluida fantasmatizzazione di coloriture emotive e affettive, di emergenze orografiche e di onde della geografia trasformazionale del campo” (Bezoari, Ferro, 1990, 1991, Ferro, 1994, 1996, in Ferro A., 1999, p. 109).

Ferro aggiunge che è possibile pensare questa teoria del personaggio, oltre che presente all’interno della relazione analista-paziente, anche all’interno della dinamica di gruppo; in questo caso nel campo gruppale si attiveranno dinamiche psichiche da cui poi prenderanno vita particolari personaggi.

Il personaggio in narrazione e psicoanalisi

Nell’introduzione storica all’utilizzo del personaggio si è visto come la psicoanalisi abbia progressivamente modificato ed esteso il modo di utilizzare in seduta questo strumento teorico narrativo.

Tuttavia lo sviluppo della teoria del personaggio in ambito psicoanalitico è sempre stato in coda a quello delle teorie del personaggio in ambito narrativo-narratologico.

Come si è visto Ferro parla di tre principali tendenze in ambito narratologico: una prima tendenza si riferisce allo studio psicologistico del personaggio, che ha un proprio spessore emotivo.

Un secondo raggruppamento è costituito dagli autori che studiano il personaggio all’interno delle leggi di funzionamento del testo, cioè ne visualizzano la funzione e il ruolo subordinati alla trama. Infine, secondo Ferro, esiste una terza tendenza narratologica che pensa il personaggio come prodotto dell’interazione tra testo e lettore (nel senso che quest’ultimo partecipa alla costruzione e alla “significazione” del testo).

La teoria di Ferro prende necessariamente ispirazione da come viene considerato il personaggio in ambito narratologico.

Può essere utile fare un confronto tra la visione del personaggio nei due diversi ambiti, psicoanalitico e letterario.

Innanzitutto è da sottolineare che il personaggio utilizzato in letteratura assume importanza in base a ciò che fa: sono vincolanti per costruire il romanzo le azioni dei personaggi. In psicoanalisi invece il paziente parla di personaggi che si muovono, ma il terapeuta considererà fondamentali più che altro le motivazioni che stanno alla base di queste dinamiche narrative. É più importante svelare ciò che sta dietro all’azione, in modo poi da leggere il romanzo storico sotto una luce differente.

Un fattore che differenzia ulteriormente i due ambiti è il fatto che le vicende in cui si muovono i personaggi letterari hanno schemi mutevoli e ruoli che si modellano a seconda delle esigenze narrative.

Nell’ambito della psicoanalisi invece è la nevrosi stessa a impedire che i personaggi modifichino il proprio ruolo e assumano funzioni differenti nel contesto narrativo: il testo in seduta si presenta come più rigido e inizialmente immobile poiché “quello psicoanalitico è un racconto che pare non avere soluzioni, e che è in attesa di un senso” (Arigoni. e Barbieri, 1998).

A proposito dei ruoli che intercorrono tra i personaggi nell’ambito psicoanalitico e in quello letterario è possibile trovare una terza e importante differenza rispetto a come si modificano gli schemi narrativi a riguardo.

L’obiettivo primario della psicoanalisi è infatti quello di formulare una nuova gestalt che annulli gli schemi narrativi presenti nel setting, nel senso che deve essere cancellato – in quanto patologico – il modo di pensare al rapporto tra i vari personaggi nel campo.

In ambito letterario invece questi schemi non vogliono essere demoliti e ricostruiti, ma modificati a seconda della trama.

In altre parole, quello fatto in analisi è un intervento più massiccio che riformula i rapporti tra i vari personaggi: essi verranno pensati in un’ottica nuova che permetta al paziente di attribuire un senso alla sua sofferenza. Nell’ambito letterario invece i personaggi e il rapporto tra essi mantengono una plasticità che in ogni caso non può e non deve essere stravolta.

La teoria del personaggio pensata da Antonino Ferro

Antonino Ferro propone una teoria del personaggio che si rifà ai modelli teorici presentati nell’introduzione storica (freudiano, kleiniano e relazionale).

Il personaggio che entra nel campo viene considerato da Ferro come potenzialmente visualizzabile alla luce di tre prospettive: può rimandare al romanzo familiare del paziente, al suo mondo interno o alla relazione attuale analista – paziente.

Il primo approccio fa sì che si possa pensare al personaggio da un vertice storico–referenziale: se una paziente in seduta portasse un vissuto di frustrazione legato all’impossibilità di raggiungere l’orgasmo, per esempio, da questo punto di vista la problematica verrebbe analizzata nel suo aspetto più concreto, cioè legato alla fisicità della coppia e senza rimandi alle dinamiche oggettuali interne. Questo primo approccio rimanda alla teoria freudiana e al suo considerare i personaggi in seduta come nodi relazionali o cause di conflitti interpersonali nel passato del paziente.

Accanto a questa modalità “esterna” di considerare il personaggio in seduta, Ferro colloca il vertice osservativo kleiniano, quello cioè che focalizza l’attenzione sul mondo interno del paziente.

Per riprendere l’esempio di prima, è plausibile pensare che il personaggio “orgasmo con penetrazione” (in questo caso il personaggio non assume natura antropomorfa), rimanderebbe all’aspetto dei “rapporti intimi profondi”, e l’ ”impossibilità di raggiungere l’orgasmo” verrebbe interpretata dall’analista come una difficoltà a provare piacere all’interno di questi ultimi.

Si nota come il problema sessuale esterno possa essere considerato, in questo secondo approccio, interno al paziente, cioè attinente alle sue dinamiche intrapsichiche.

Questa modalità di considerare il personaggio utilizzata da Antonino Ferro rimanda al modello storico kleiniano: il personaggio è una proiezione di un oggetto interno (una madre svalutante potrebbe essere pensata in questa prospettiva come una tendenza svalutante del paziente: una madre in realtà interna, introiettata), così come un conflitto o un problema legato al personaggio è in realtà legato a una problematica psichica profonda.

Ferro sottolinea come questi vertici osservativi debbano essere accostati e posti su uno stesso livello di efficacia clinica: sarebbe irrealistico pensare l’esistenza di un’interpretazione più “vera” di un’altra.

É interessante sottolineare che nel campo entrano anche il paziente e l’analista stessi, come personaggi: “il paziente che racconta” e l’ ”analista che ascolta”, l’ ”analista che si impone” o il “paziente che non accoglie i rimandi”, e così via.

Il terzo vertice osservativo da cui Ferro considera il personaggio è quello relativo alla relazione analista-paziente in seduta.

In questo caso l’Autore sostiene che l’analisi debba essere considerata come una sorte di pieces teatrale ideata a quattro mani dalla coppia analitica, e i personaggi in seduta i protagonisti di questo evento narrativo.

Il personaggio viene inserito all’interno di uno spazio “terzo”, virtuale, che funziona da spazio proiettivo: in base alle proiezioni portate nel campo l’analista potrà ipotizzare l’andamento emotivo della seduta.

Secondo Ferro l’utilizzo del personaggio permette di utilizzare la seduta come un esteso sogno di controtransfert (va ricordato che Ferro, riprendendo Bion, considera l’attività del sogno operativa anche durante la veglia).

Questo significa che la seduta, come un sogno, permette di “rivelare” dinamiche psichiche appartenenti al paziente e proiettate sull’analista e di descrivere il campo in termini emotivo-relazionali. Com’è intuibile la modalità di analisi di questo materiale controtransferale avverrebbe in modo privilegiato attraverso l’analisi dei personaggi.

Si è visto a proposito dell’approccio relazionale (storicamente riferito alle teorie di Bion e dei coniugi Baranger), che i personaggi sono pensati come ologrammi affettivi o nodi sincretici emotivi nel campo. Ferro a queste definizioni aggiunge quella di aggregato funzionale .

Ferro ricorre a questa riformulazione teorica contrapponendola al concetto storico di parte personificata utilizzato dalla Klein, per cui inevitabilmente il personaggio apparterrebbe a solo uno dei membri della coppia analitica. Questa definizione permette di sospendere il giudizio sull’appartenenza all’analista o al paziente del personaggio in seduta.

Si vede quindi come Ferro riprenda i tre approcci teorici storici sulla teoria del personaggio (Freud / Klein / Bion-Baranger).

L’innovazione rispetto al passato è che l’Autore propone di utilizzare insieme i tre approcci così da scegliere di volta in volta, e in base al contesto del campo, come interpretare lo statuto del personaggio.

Prima di intervenire con un’interpretazione – che magari saturerebbe il significato in modo prematuro – è necessario pensare al personaggio come ad un attivatore di significati e storie diverse.

Si vede quindi come la segnalazione di un vettore emotivo relazionale nel campo avvenga attraverso dialetti differenti, ognuno con personaggi diversi al suo interno (può avvenire per esempio attraverso un dialetto legato al “posto di lavoro” o a un “rapporto amoroso” o ancora a una “cronaca di viaggio”, e così via).

Ferro aggiunge ai tre approcci narrativi sopra citati un quarto livello osservativo, che si riferisce appunto a un essere “senza memoria e senza desiderio” (Bion, 1962), cioè un approccio aperto a più letture e combinazioni possibili rispetto al significato del personaggio.

Se questo venisse considerato aprioristicamente come persona reale appartenente al passato, per esempio, si creerebbe una situazione di colonizzazione e saturazione del testo (Ferro, 1996): è necessario aspettare che sia lo stesso paziente, attraverso il suo dialetto, a condurre l’analista verso l’approccio più fecondo per quel determinato frangente analitico.

Ferro sostiene infatti che il non aderire aprioristicamente a un modello interpretativo rende

“[…]Impossibile la decodificazione di un messaggio e possibile solo la costruzione di una storia, che avrà la caratteristica di essere necessaria alle due menti” (Ferro A., 1996 p. 40).

Tutto questo avviene solo se l’analista si pone in un atteggiamento di ascolto ed è disponibile a lasciarsi trasportare dalle emozioni e dalle esigenze relazionali del paziente.

In questo modo i personaggi che quest’ultimo porta nel campo sono lasciati liberi di muoversi e di assumere una forma definita che espliciti il “senso” di cui sono portatori.

Nella seduta assume quindi importanza l’aspetto del silenzio dell’analista, che non è più solamente funzionale all’ascolto e alla comprensione del paziente ma riveste un ruolo importante per la “liberazione” e lo “svelamento” del dialetto del paziente.

Ferro, parlando in prima persona, descrive situazioni analitiche in cui rinuncia all’interpretazione per lasciare spazio al dialetto del paziente: sceglie di tacere.

Il silenzio diventa uno spazio importante anche per la liberazione dei già citati flash visivi, cioè allucinazioni “allo stato nascente” che il paziente porta nel campo in forma pittografica (elementi a non elaborati, per utilizzare i termini di Bion).

Si vede quindi come l’Autore proponga un modello analitico basato sulla non colonizzazione del testo del paziente e sull’ ascolto dell’ascolto (si configura un’analisi controtransferale fatta attraverso i personaggi portati in seduta).

Un’ulteriore definizione data da Ferro al personaggio è legata al concetto di analista come “catalizzatore” di elementi b: da questo punto di vista il personaggio sarebbe una nominazione delle identificazioni proiettive del paziente, quindi uno “sfogo” di elementi b che nel campo vengono metabolizzati o “condensati” in un personaggio, per poi emergere nella seduta.

É possibile pensare che il paziente riversi nel campo una quota di elementi b, che questa venga assimilata dall’analista, e che poi il prodotto di questa dinamica prenda forma visibile e narrabile in seduta.

Se questo processo di assunzione (rêverie in termini bioniani) non avviene in modo proficuo, il campo lo segnalerà attraverso l’entrata in scena di un certo tipo di personaggio.

Il personaggio assume in questo caso la funzione di segnalatore delle fratture della comunicazione, o più spesso comunica quando c’è stata in analisi ciò che Ferro definisce un’ “ipersaturazione” del senso.

Ferro porta molti esempi clinici a riguardo: per esempio racconta di come, a seguito di un suo intervento da egli stesso definito “accademico” e iper-saturante, una paziente di quindici anni avesse portato in scena l’immagine di “un uomo con i baffi che con un grosso bastone colpiva e feriva un cucciolo fino ad ucciderlo”; in questo caso la paziente attraverso il personaggio segnala un’attività interpretativa eccessiva, che genera persecuzione.

Si vede come la funzione del personaggio sia assimilabile per certi aspetti a quella del derivato narrativo; va ricordato che nel campo il personaggio si crea a partire da elementi a allo stato grezzo che assumono una forma; questa è anche la genesi del derivato narrativo.

Esempi di utilizzo del personaggio nella pratica clinica di Ferro

Ferro inserisce nei suoi lavori molteplici casi clinici che illustrano e chiarificano alcuni dei suoi concetti teorici più importanti, come l’importanza di un’interpretazione insatura o appunto l’utilizzo del personaggio.

Nell’articolo apparso sulla «Rivista Italiana di Psicoanalisi» Due autori in cerca di personaggi (1992), Ferro porta un esempio clinico che contiene l’utilizzo di questo strumento clinico da parte dell’analista per superare una situazione di impasse in seduta.

La paziente racconta una storia di vita difficile: ha svolto per molti anni la professione di prostituta d’alto bordo; infine si è sposata, ma vive nel timore che il marito lo abbia fatto per interesse, poiché lei ora è molto ricca e in passato è stata mantenuta da più uomini.

La paziente non riesce inoltre a riconoscere il marito come padre di suo figlio, avuto da una precedente relazione.

Ferro racconta a questo punto di aver portato sulla scena analitica una serie di personaggio legati al mondo di Topolino (il “dialetto” di Topolino): utilizza il personaggio Paperone per l’ “avarizia”, Paperino per le “sfortunate vicissitudini” e i Bassotti per i “temuti furti”; sceglie questo “genere” narrativo per dare un riconoscimento alla parte bambina della paziente, che sembra addormentata (l’utilizzo del personaggio è in questo caso volto a modificare una parte interna).

Insieme alla paziente riscrive poi la storia legata al suo romanzo familiare, cosa che permette a questa di ricordare una serie di situazioni in cui il marito aveva inaspettatamente manifestato interesse per il figlio e per un lavoro comune in una fattoria.

Questo sbloccherà nel tempo la situazione di impasse.

L’Autore racconta di aver messo in discussione nell’ambito di questo caso clinico la teoria per cui “un’analisi è comunque tentabile, purchè vi sia una richiesta”, a causa di forti vissuti di frustrazione.

Col procedere della terapia e l’uscita dall’impasse rileggerà questa sua “tendenza a cambiare modo di vedere” come un’assunzione delle identificazioni proiettive provenienti in realtà dalla paziente.

É da sottolineare che qui è l’analista a mettere in gioco nel campo alcuni personaggi; molto spesso questi emergono da soli o provengono dal paziente. In questo caso il personaggio è utilizzato sia per ricostruire la storia di vita della paziente che per risvegliare un oggetto interno addormentato.

Un cenno tratto da un secondo caso clinico può esemplificare ulteriormente la modalità con cui Ferro utilizza i personaggi: l’Autore propone un’esercitazione interpretativa a partire dal frammento “mia madre non vuole prendere il cane perché ha troppo da lavorare”.

I personaggi sono la “madre”, il “cane” il “troppo lavoro”, la “paziente che racconta”e l’ ”analista a cui è rivolto il racconto”.

Distinguendo i tre approcci presenti nella teoria di Ferro, nel primo modello la “madre” è quella reale esterna, il “cane” quello reale esterno e il “lavorare” si riferisce all’attività professionale della madre. La paziente si lamenta del fatto che sua madre non abbia disponibilità per il cane.

Nel secondo modello (kleiniano) la “madre” e il “cane” potrebbero essere pensati come parti della paziente, immagini interne proiettate: quindi la “madre impegnata” verrebbe considerata come la capacità materna della paziente inadeguata rispetto alle aspettative, e il “cane” come la sua parte più animale. Il “troppo lavoro” sarebbe una modalità di lavorare dell’analista, ritenuta inadeguata agli aspetti più primitivi (il cane).

Infine, prendendo in considerazione il terzo vertice osservativo, la “vignetta” clinica presentata rimanderebbe a un’incapacità da parte dell’analista di farsi carico degli aspetti della relazione più primitivi, cioè legati a emozioni non ancora metabolizzate.

Si vede quindi come a partire dallo stesso testo si possa interpretare utilizzando tre modelli differenti: l’importante per Ferro è che essi vengano considerati come aventi la stessa importanza ed efficacia clinica.

Importante sarà per l’analista riuscire a passare da un modello all’altro senza perdere elasticità ed eclettismo interpretativo, a scapito dei miglioramenti clinici del paziente (Ferro parla di “combinatorie narrative assolutamente esponenziali”).

Un tentativo di mappatura dei personaggi

Ferro propone un pratico espediente clinico per riuscire a visualizzare l’alone semantico delle interpretazioni fatte in seduta dall’analista.

L’Autore propone di assegnare ad ogni personaggio emerso in seduta una tesserina (porta come esempio Il castello dei destini incrociati di I. Calvino, 1973), in modo da rilevare chiaramente il numero e la natura dei personaggi che compaiono nel corso del colloquio.

L’analista dovrà poi assegnare per ogni personaggio/tesserina una striscia di colore differente a seconda che interpreti rifacendosi al primo, al secondo o al terzo modello (quindi interpretando come reale, interno o relazionale il personaggio/tesserina considerato).

Una volta attribuiti a ogni personaggio una tessera e un colore (Ferro suggerisce il rosso per aver interpretato il personaggio come reale, giallo per un oggetto interno e verde per un personaggio relazionale – ologramma affettivo), l’analista potrà farsi un’idea della maggiore o minore presenza di un certo colore, e quindi cogliere tutti i mondi possibili “occlusi”.

Questo consentirebbe una sorta di semaforizzazione delle letture della seduta, un capire come essa è stata “siglata” più frequentemente.

Ferro sottolinea in questo modo la necessità per l’analista di monitorare costantemente la sua stessa attività interpretativa, così da non “fissarsi” troppo a lungo su un solo stile interpretativo.

Tornando all’aspetto “pratico” di questo tentativo di mappatura, Ferro propone di aggiungere per ogni tesserina una S o una I in base alla natura dell’interpretazione, cioè Satura o Insatura.

Attraverso la combinazione di questi tre elementi – cioè la tesserina, il colore e il tipo di interpretazione S/I – , l’Autore sostiene si possa ottenere l’indice di relazionalità del campo, cioè un’immagine chiarificata di quanto paziente e analista effettivamente “comunichino” in seduta.

La sessualità come personaggio

Un aspetto particolare della teoria psicoanalitica di Antonino Ferro si riferisce alla possibilità di considerare la sessualità come un personaggio.

In questo senso le comunicazioni inerenti alle problematiche sessuali vengono considerate nella teoria dell’Autore come “narrazioni dell’accoppiamento tra le menti” (Ferro, 1999).

Ferro si propone di utilizzare le comunicazioni di sessualità come tramite per approfondire il funzionamento della mente umana: sottolinea come nella maggioranza dei casi all’interno della stanza d’analisi vengano portati racconti inerenti alla sessualità (non considerando l’aspetto dei transfert eroticizzati o degli agiti sessuali in seduta).

Sottolinea inoltre come nell’ambito della psicoanalisi la sessualità abbia sempre conservato un posto privilegiato sia per ragioni storiche (a Vienna, negli anni della nascita della psicoanalisi, la sessualità era ciò che veniva più condannato e rimosso), che per ragioni “di setting” (analista e paziente fanno in analisi, utilizzando le parole di Ferro, “solo e continuamente sesso”, nel senso che si rapportano l’uno con l’altro attraverso una modalità di funzionamento ♀♂).

La sessualità viene considerata nella teoria di Ferro come personaggio o articolazione tra personaggi, e può essere pensata come attinente a tre ambiti

  • può riferirsi alla sessualità esterna agìta dal paziente, o a quella infantile (quindi si rifà al “prima “ e all’ ”altrove”)
  • può essere considerata come un aspetto interno al paziente (sessualità reale interna)
  • può essere vista come una narrazione all’interno del campo sul campo: un visualizzare attraverso un racconto sulla sessualità l’andamento emotivo relazionale della coppia analitica.

Ferro riprende quest’ultimo punto di vista e lo approfondisce: parla infatti di una sessualità come incontro tra gli elementi β portati dal paziente e la funzione α contenitiva dell’analista.

Si riferisce quindi alla dinamica ♀♂, cioè al rapporto tra oggetto e contenitore: l’aspetto interessante di questa concettualizzazione è che i personaggi legati alla sessualità che appaiono in seduta sono rinarrazioni di questo funzionamento, cioè rimandano alla gestione dei pensieri da parte dell’analista e alla comunicazione di essi attraverso le oscillazioni PS-D (Ferro, 1999).

Per fare un esempio clinico, Ferro porta come personaggi una vagina asciutta ed un’eiaculazione precoce, che potrebbero rimandare in seduta rispettivamente a una “possibile asciuttezza del campo e quindi a un rapporto doloroso” e ad un’ ”esplicitazione di significati precipitosa che tolga il gusto della condivisione”.


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14 March 2024

Psicoterapia assistita da psichedelici: intervista a Matteo Buonarroti

di Raffaele Avico

Abbiamo intervistato Matteo Buonarroti, primo medico italiano – per ora – ad aver completato il training, organizzato dalla Mind foundation a Berlino, sulla psicoterapia assistita da psichedelici..

Matteo ci ha raccontato di aver deciso per una “svolta” in senso professionale in area salute mentale, dopo alcuni anni di pratica come Medico di Medicina Generale. L’interesse per l’area psichedelica e per la psichiatria d’avanguardia, lo hanno portato poi a frequentare un corso di due anni a Berlino, il cui programma può essere recuperato qui.

In Europa, al momento, non esistono altre realtà che erogano training certificato della durata di due anni: negli Stati Uniti sono più presenti, per esempio il corso organizzato da CIIS, o da NAROPA.

Buonarroti ci ha fatto notare che il corso è stato incentrato sugli aspetti teorici e “preparatori” inerenti l’uso di psichedelici in psicoterapia, tenendo conto che non è ancora previsto che la psychedelic therapy si possa applicare su pazienti al di fuori dei contesti di ricerca -tranne in pochi paesi come l’Australia, la Svizzera e qualche stato in USA.

Al momento, come prima accennato, l’unico luogo in Europa dove la psicoterapia assistita da psichedelici è praticata su soggetti umani, è la Svizzera, a Ginevra (si veda questa intervista a Federico Seragnoli).

Matteo ci ha inoltre fornito di alcuni spunti per poter introdurre alla questione e approfondire, tra cui Magic Medicine su Netflix, e il documentario La Sostanza – Storia dell’Lsd.

Ci ha inoltre raccontato dei più attivi e seri gruppi di ricerca sul tema, come il gruppo della John Hopkins University (il più antico) o quello del King’s College a Londra (documentato nel prima citato documentario Magic Medicine, in cui compare anche il “famoso”” tossicologo David J. Nutt, ci cui abbiamo già parlato qui su POPMed).

La puntata è riservata agli iscritti al servizio POPMed, e la si recupera qui.

Qui altro sul “rinascimento psichedelico”.


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27 February 2024

BRESCIA, FEBBRAIO 2024: DUE ESTRATTI DALLA MASTERCLASS “VERSO UNA NUOVA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE”

di Raffaele Avico

A febbraio 2024, a Brescia, Massimo Agnoletti ed Emiliano Toso hanno tenuto una masterclass che aveva come tema centrale la terapia espositiva, che abbiamo su questo blog approfondito in molteplici post.

Il corso si è svolto nel corso di un’intera giornata, e ha avuto come temi centrali la “visione” sulla psicoterapia portata da Agnoletti -ricercatore psicologo esperto di gestione dello stress e “psicoterapia d’avanguardia”-, insieme ad un approfondimento verticale sulla terapia espositiva portato da Toso, che su questo tema scrive e studia da molti anni.

Agnoletti ha parlato di microbiota, visione olistica della salute mentale ed epigenetica, citando molti studi di ricerca (attingendo anche dalla sua vasta produzione in letteratura, accessibile da qui).

Toso ha indagato invece il paradigma inibitorio dell’esposizione formalizzato da Michelle Craske, aggiungendo alcuni aspetti “suoi”: i fattori estrinseci ed intrinseci a una migliore implementazione della terapia espositiva in psicoterapia (si veda qui).

Qui di seguito due estratti del corso, visibili in chiaro sul canale di Psychiatry On Line.


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14 February 2024

CAPIRE LA DISPNEA PSICOGENA: DA “SENZA FIATO” DI GIORGIO NARDONE

di Raffaele Avico

É da poco stato pubblicato un libro scritto da Giorgio Nardone a proposito della dispnea psicogena. La dispnea psicogena è un disturbo che origina dal tentativo di controllare un meccanismo biologico spontaneo, non mediato dalla volontà cosciente dell’individuo: il ritmo del respiro.

Per entrare nello specifico di questo disturbo, avviene che il paziente senta di non riuscire a respirare “ fino in fondo” e, nel tentativo di riempirsi i polmoni di aria, iper-eserciti l’inspirazione -di fatto iperventilando e producendo un effetto paradossale di mancanza di fiato.

Come osserviamo anche in altri disturbi, il tutto può partire da un segnale che arriva dal corpo, il senso di essere affaticati -per esempio-, che innesca una risposta ansiosa e un tentativo da parte del paziente di compensare allo stato di stanchezza percepita per via di un aumento della foga nell’eseguire un determinato “atto fisico”.

Il paziente in questo modo tenta di riempirsi i polmoni aggiungendo aria ad altra aria, iperventilando e aumentando ulteriormente l’ansia.

Nardone fa notare come in questo meccanismo quello che viene lasciato indietro sia l’espirazione, l’atto di vuotare i polmoni fino in fondo.

Per aiutare il paziente a recuperare il ritmo respiratorio, gli suggerisce di immaginare di dover soffiare sulla torta del suo compleanno, e di esercitarsi con questo pensiero in mente ad espirare “fino in fondo” una volta l’ora, per un tot di volte, in modo da riabilitare il paziente a un respiro maggiormente regolare.

Come Nardone fa notare, siamo qui al confine tra la riabilitazione respiratoria e la psicoterapia comportamentale: si tratta di imparare a respirare “come da zero”, e di normalizzare in seguito la spontaneità della respirazione stessa: ripetendo l’esercizio in modo cadenzato (una volta l’ora, poi una volta ogni due ore, poi una volta ogni tre ore, etc.), il “nuovo” modo di respirare diverrà automatizzato, come quando si fa fisioterapia e si ripetono i gesti più volte, fino ad automatizzarli in senso procedurale.

A inizio libro, Nardone fa giustamente notare come “sapere come funziona un disturbo” non basta: occorre fare delle esperienze “correttive” per poi renderle automatiche, affinché il cambiamento possa realmente avvenire.

L’autore propone inoltre un modello di mente basato sul principio della gerarchia delle funzioni mentali, per cui il “livello razionale” in questo caso non riuscirebbe a frenare o regolare il “livello percettivo-reattivo”, posto gerarchicamente più in basso. Cita giustamente LeDoux per portare alcuni dati in senso scientifico sul come funzionino la paura e l’amigdala.

Proseguendo nella lettura del libro, altri autori completano il lavoro con aspetti più medici a riguardo della respirazione, e propongono alcuni suggerimenti pratici per lavorare sulla respirazione. Tra questi merita una nota il metodo Buteyko, che in seguito sintetizziamo:

  • Il metodo Buteyko è una tecnica di respirazione sviluppata dal fisiologo russo Konstantin Buteyko. Questo approccio si concentra sull’allenamento della respirazione per ridurre l’iperventilazione e aumentare il livello di anidride carbonica nel corpo. Come funziona?
  • Respirazione Nasale: Il metodo Buteyko enfatizza la respirazione attraverso il naso anziché la bocca. Ciò consente di filtrare, riscaldare e umidificare l’aria in modo più efficace prima che raggiunga i polmoni.
  • Respirazione Superficiale: L’approccio promuove la respirazione leggera e superficiale, evitando respiri profondi eccessivi. Ciò mira a mantenere un adeguato livello di anidride carbonica nel corpo.
  • Controllo del Diaframma: Si incoraggia l’uso del diaframma nella respirazione, concentrandosi su inspirazioni e espirazioni controllate. Questo può contribuire a ridurre l’iperventilazione.
  • Ritmo Respiratorio: Il metodo suggerisce di mantenere un ritmo regolare nella respirazione, evitando variazioni eccessive nella frequenza respiratoria.
  • Pauses between breaths (pause tra i respiri): Il Buteyko incoraggia brevi pause tra l’inspirazione e l’espirazione per promuovere la ritenzione di anidride carbonica.
  • Monitoraggio del Livello di CO2: Si insegna a percepire i segnali del corpo legati al livello di anidride carbonica, in modo che la persona possa regolare la propria respirazione di conseguenza.
  • Esercizi di Controllo della Respirazione: Il metodo prevede una serie di esercizi di respirazione progettati per aiutare le persone a sviluppare il controllo sulla propria respirazione e a migliorare l’efficienza del processo respiratorio.

ASPETTI CRITICI

Nardone in questo libro usa lo schema che ripropone in altri libri: propone una spiegazione del meccanismo sotteso all’origine del disturbo, quindi suggerisce una pratica clinica abbastanza precisa, e presenta qualche caso clinico che conferma la bontà delle sue intuizioni.
Sono modalità di intervento ritagliate intorno alla figura di Nardone stesso, che suggerisce la “sua” modalità di intervenire in queste situazioni: non c’è nessuna evidenza del fatto che questo sia un metodo replicabile, così come non esiste letteratura scientifica che rappresenti un “basamento” di quanto afferma l’autore. La scuola di Arezzo, da lui fondata, sembra infatti portare avanti una politica di “emulazione del maestro”, che si ascolta in quanto “genio”, ripetendo con i propri pazienti quanto passato dal “venerabile”.
Nardone si rifà inoltre ad antiche massime mutuate dallo psicologia orientale, o dalla cultura classica latina, che utilizza come “verità assolute” pronte a giustificare il razionale delle pratiche da lui create per lavorare con i diversi disturbi. Questi truismi hanno la funzione di “puntelli” alla teoria, come negli articoli scientifici dovrebbero fare i riferimenti ad altri lavori, precedenti. Quando tira in ballo la scientificità dei suoi metodi, dissimula la sostanziale debolezza statistica del suo metodo parlando di “pregiudizi” che impedirebbero agli “altri” (la comunità scientifica, di fatto) di capire la portata concettuale del metodo “Arezzo”.

Nonostante questi aspetti critici Nardone riesce a intuire alcuni aspetti patogenetici di assoluta rilevanza clinica, che in effetti ci raccontano di come riesca a intuire alcuni “modi di funzionare” della mente, che sono però da attribuire a lui come professionista, come fine psicologo, più che a un trattamento psicoterapico strutturato e supportato da evidenze di letteratura.
Siamo di fronte a un personaggio “geniale” della psicoterapia, un fine osservatore di come funziona la mente, che spiega il “suo” modo, le sue scoperte cliniche, che tra l’altro su questo blog abbiamo più volte esaminato e approfondito a proposito per esempio del panico o del doc.

Qui il link ad Amazon.


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Generale / ptsd, recensioni

5 February 2024

POPMED TALKS

di Raffaele Avico

POPMed è una newsletter a tema salute mentale, a pagamento. Costa 9,90€ al mese, e per ora consta di una mail mensile con riassunti 10 articoli di letteratura scientifica inerenti il lavoro da terapeuta, e di un podcast (ogni 1 del mese) con interviste a esperti di settore e clinici.

La prima puntata di POPMed Talks è di questo febbraio, e ha come protagonista Daniele Bruzzone, docente universitario e presidente dell’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana (qui il sito).

Bruzzone ci ha parlato di Viktor Frankl, della realtà della logoterapia in senso europeo, dei lavori migliori per approcciarsi all’autore, della portata “umana” di una terapia basata sul “senso”.

Frankl fu anche un grande psicoterapeuta: per chi volesse alcuni spunti in più da consultare (anche in senso “clinico”), qui un approfondimento.

A Marzo, uscirà un’intervista a Matteo Buonarroti, medico psichiatra in formazione, uno dei due italiani ad aver svolto questo corso sulla psicoterapia assistita da psichedelici.

Cliccando sull’immagine, il link all’episodio:

 

Article by admin / Generale

1 February 2024

NASCE L’ASSOCIAZIONE COALA (TORINO)

di Raffaele Avico, Caterina Bossa

A Torino nasce l’Associazione Coala, partner di questo blog, orientata a fornire prevenzione e cura riguardante gli “esiti del legame di attaccamento insicuro e disorganizzato in ambito perinatale“.

Riportiamo qui il manifesto dell’Associazione, a cura di Caterina Bossa (che già intervistammo):

“L’associazione Coala nasce il 10 novembre 2023 dall’esperienza decennale della dott sa Bossa Caterina e Federica Paschetta; altri colleghi e colleghe esperti di perinatale e infanzia si sono in seguito uniti al progetto.

Sappiamo quanto l’attaccamento sia vitale per un cucciolo e quanto la sicurezza sia preventiva di future traiettorie disfunzionali patologiche. Un attaccamento sicuro è come un mantello protettivo che ti tiene al sicuro durante una bufera, che purtroppo può accadere.

Il gruppo di lavoro vuole formare psicologi e psicologhe capaci di osservare le dinamiche relazionali tra genitori e bambini, riconoscere segnali di attaccamento insicuro o disorganizzato e porsi come base sicura per l’aiuto, il sostegno e l’accompagnamento della relazione.

Crediamo nell’importanza del confronto e del gruppo,  avere una cornice teorica di riferimento come la teoria dell’attaccamento di Bowlby, ci permette di costruire un linguaggio chiaro e un approccio condiviso oltre che un contenitore forte.

In questi anni le ricerche sul trauma e sulla disorganizzazione dell’attaccamento si sono concentrate sulla diagnosi e sul trattamento ma riteniamo che si può prevenire, evitando MOI insicuri.

La prevenzione passa attraverso lo screening in gravidanza o in fase pre-adottiva, continua con l’accompagnamento al parto in gruppo,  osservazione della diade o triade, coparenting, family home visiting e circolo della sicurezza.

In questo percorso diventa fondamentale la collaborazione con gli asili nido e le scuole, i consultori e le Asl.

Creare un contesto sicuro farà sentire la fda un po’ più al sicuro, e questo le permetterà di sperimentare un nuovo modello relazionale.

Il nostro obbiettivo è creare sicurezza per garantire l’esplorazione:

  • CO sta per fare insieme
  • ALA per permettere il volo sicuro

Se siete interessati a saperne di più consultate il sito www.associazionecoala.it“


NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

Article by admin / Generale

29 January 2024

Camilla Stellato: “Diventare genitori”

di Raffaele Avico

Per chi fosse interessato al tema del parenting, consigliamo il lavoro di una psicoterapeuta romana, Camilla Stellato, autrice di Diventare genitori.

Diventare Genitori rappresenta un buon manuale introduttivo per chi voglia approcciarsi al tema del parenting senza avere già conoscenze pregresse in ambito di psicoterapia e psicologia infantile. La Stellato ha una formazione in psicoanalisi transazionale, e sta divulgando e approfondendo il tema del parenting integrando differenti visioni e approcci teorici, compresa la prospettiva metacognitiva interpersonale di DiMaggio, di cui ci siamo spesso occupati su POPMed.

Per introdursi al suo lavoro, mettiamo qui un link a un suo intervento sul ciclo della rabbia che spesso un genitore può sperimentare nei primi anni di accudimento di un bimbo o di una bimba, spiegato passo dopo passo e in modo molto chiaro.

All’interno del volume Diventare Genitori troviamo elencate alcune problematicità inerenti la “transizione alla genitorialità”, compresi alcuni spunti pratici per far fronte ai problemi più comuni.

La Stellato giustifica le sue affermazioni con evidenze scientifiche di livello alto, per esempio -parlando di come il legame di coppia cambi dopo l’inizio della genitorialità- il lavoro di una sociologa torinese, Manuela Naldini, a proposito di uno squilibrio tra i carichi dei due genitori una volta nat* il/la figli*, un ritorno a una modalità “anni ‘50”, per via di quello che la Naldini, sulla scia di altri autori, chiama ri-tradizionalizzazione.

A livello di letteratura scientifica, “ri-tradizionalizzazione” sembra essere un fenomeno non solo italiano, ma internazionale.

Eccone una definizione generica:

”La parola “ri-tradizionalizzazione” suggerisce un ritorno a pratiche o modelli più tradizionali. Nel contesto del parenting, potrebbe riferirsi a un movimento o a un approccio che cerca di abbracciare o ripristinare pratiche di genitorialità considerate più tradizionali o classiche. Le pratiche di genitorialità tradizionali possono variare da cultura a cultura e da epoca a epoca, ma spesso coinvolgono ruoli di genere più definiti, con aspettative specifiche per le madri e i padri, modelli familiari più conservatori e un’enfasi su valori culturali o religiosi tradizionali”.

  • Qui un lavoro italiano del 2014.
  • Qui un articolo tedesco sul tema.

NB Sul blog sono presenti alcuni “serpenti di articoli” inerenti disturbi specifici. Dal menù è possibile aggregarli intorno a 4 tematiche: il disturbo ossessivo compulsivo (#DOC), il disturbo di panico (#PANICO), il disturbo da stress post traumatico (#PTSD) e le recensioni di libri (#RECENSIONI)

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22 January 2024

Offline is the new luxury, un documentario

di Raffaele Avico

Un documentario neo-luddista citato da Beppe Grillo in questo post, sufficientemente distopico, poco distante dalla realtà in cui viviamo immersi. Vi si constata una certa amarezza dei soggetti intervistati, consapevoli di come internet ai suoi primordi fosse stato ideato e pensato per essere un’arma di libertà e democrazia, non un enorme centro commerciale costruito per estrarre dati psicometrici dal comportamento dei suoi utenti.

A proposito dei movimenti neo-luddisti, interessante anche questa intervista a Logan Lane, di Brooklyn, fondatrice del cosiddetto Luddite Club, ragazzi adolescenti che decidono di disconnettersi usando dumb-phones e organizzando ritrovi “dal vivo”: Logan ragiona su quanto, nella sua stessa scuola, avesse osservato un inquietante modellamento della realtà sui contenuti di Instagram, come se il permanere costantemente immersi nella realtà dei social avesse il potere di riversarsi nella quotidianità del suo liceo, con ragazzi e ragazze vestiti/e “come se” fossero su Instagram, con modalità relazionali in linea con quelle virtuali, e altri segnali che la stessa Logan guardava con sospetto prima di creare il Club.

Il messaggio neo-luddista è inoltre sempre più al centro del lavoro di Mangiasogni, che nella sua ultima striscia animata ambienta in una Venezia del 2050 una lotta tra le “nuovissime” generazioni e quella dei millennials (la striscia si chiama appunto Death to millennials). Mangiasogni definisce i prosumer dei social di oggi e del futuro, ortaggi coltivati dagli “estrattori” di dati. La si può reperire qui.

Qui il documentario:

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10 January 2024

MARCO ROVELLI, LA POLITICIZZAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO E UN PODCAST DI psicologia fenomenologica

di Raffaele Avico

I redattori del blog psicologiafenomenologica.it hanno avviato da poco un podcast condotto da Gianluca D’Amico, chiamato Cosedapazzi.

Nell’ultima puntata viene intervistato Marco Rovelli a proposito di un suo libro uscito di recente, Soffro dunque siamo. Rovelli in questa intervista si mostra bravissimo nel portare una lettura della sofferenza psichica integrata agli aspetti più sociali, cosa che, oggi, risulta essere preziosa, vista la tendenza a concentrare la problematicità psicologico/psichiatrica solamente su elementi individuali. Rovelli pone l’accento su uno degli elefanti della stanza della sofferenza mentale del presente, la comparsa di forme di psicopatologia direttamente collegate alla cultura della performance dominante e al senso di frammentazione e di scarsa tenuta sociale in cui siamo immersi.

Possiamo estrarre da questa intervista alcune riflessioni e spunti.

[continua su POPMed]

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  • IL PRIMO CORSO DI PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI IN ITALIA (PESCARA, 2026) 22 September 2025
  • Recensione e riassunto di “Liberi dal panico” di Pietro Spagnulo (un agile ed economico ebook per introdursi al problema-ed autoaiutarsi) 15 September 2025
  • Being Sapiens e la rubrica “psicoterapeuti italiani”: intervista a Gianandrea Giacoma 1 September 2025
  • 10 ESERCIZI PER LAVORARE CON LE SOTTOPERSONALITÀ GENERATE DAL TRAUMA (#PTSD) 28 July 2025
  • IL PRIMO CONGRESSO AISTED A MILANO (24 E 25 OTTOBRE 2025) 21 July 2025
  • INTERVENTI CLINICI CENTRATI SULLA SOLUZIONE: LE CINQUE DOMANDE (da “Terapia breve centrata sulla soluzione” di Cannistrà e Piccirilli) 15 July 2025
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  • Clinica del trauma oggi: un approfondimento da POPMed 30 June 2025
  • Collegno: la quarta edizione del Fòl Fest (“Quando cantavo dov’eri tu?”) 11 June 2025
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  • L’UOMO SOVRASOCIALIZZATO. INTRODUZIONE AL PENSIERO DI Ted Kaczynski (UNABOMBER) 23 April 2025
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  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
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  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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a cura di Raffaele Avico ‭→ logo
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