di Raffaele Avico (su PopMed)
Abbiamo in precedenza recensito questo libro introduttivo alla psicoterapia a seduta singola.
Il libro che oggi presentiamo brevemente vuole invece introdurci al tema “terapia breve centrata sulla soluzione“; è uno scorrevole lavoro scritto da Flavio Cannistrà e Federico Piccirilli, fondatori dell’Istituto ICNOS. Lasciamo a chi fosse interessato la lettura del volume (molto corto e scorrevole), riportando qui solo alcuni spunti -in particolare un’introduzione al modello del BRIEF, a cui la terapia centrata sulla soluzione si ispira, e un riassunto scritto dalla “macchina” a proposito delle “domande mirate” fatte dal terapeuta nel corso della terapia centrata sulla soluzione.
Zero interpretazione, zero concetto di resistenza, zero idea di “portare alla coscienza quello che conscio non è”: si tratta -nel contesto di questo approccio peculiare alla sofferenza del paziente- di partire da quello che c’è, dal presente, al fine promuovere un cambiamento attivo, efficace e potenzialmente risolutivo. Le domande poste dal terapeuta, come si osserverà nell’approfondimento dedicato, vogliono portare alla luce ed evidenziare le risorse del paziente. Quella centrale, la domanda da cui tutte le altre derivano, è la domanda sul “miracolo“: da qui parte in seduta un lavoro di ricalibrazione e progressiva maggiore precisione sui dettagli di “cambiamento”, in modo che il paziente descriva con sempre maggiore precisione quello che dovrebbe “fare” affinché il cambiamento si possa realizzare.
Descrivere = catalizzare il cambiamento. Questo è un concetto che permea la terapia breve in generale e ricorre più volte in questo lavoro, una sorta di manifesting, l’idea che descrivere/immaginare nel dettaglio e pensare a cosa dovrebbe cambiare nello specifico, possa portare a un cambiamento nelle azioni del paziente, e quindi a cambiamenti nella sua vita.
A proposito della letteratura sulla terapia centrata sulla soluzione, citiamo solamente questa umbrella review del 2024.
Come prima accennato, gli autori osservano che molti dei concetti portati dalla terapia centrata sulla soluzione provengono dal modello del Brief, che merita qui un breve approfondimento per punti:
- il fondatore dell’approccio centrato sulla soluzione è, citato spesso nel libro, Steve de Shazer; anche in questo caso, il Mental Research Institute è raccontato come la fucina da cui questo approccio (e il Brief) nacque storicamente, a partire dal lavoro seminale di Milton Erickson
- tendenzialmente, come leggiamo anche in questo approfondimento, l’approccio del BRIEF sembra non poggiare su alcuna teoria strutturata, il che potrebbe risultare come un aspetto problematico, se non che l’idea di non partire da una teoria strutturata muove da un assunto di base, una visione della psicologia umana radicalmente costruzionistica (qui per approfondire)
- Per questo, come prima accennato, le domande mirate e una descrizione dettagliata dei cambiamenti che una persona vorrebbe compiere, risulteranno secondo questo approccio in un effettivo cambiamento, o nel suo catalizzarlo.
Tutto questo lavoro viene mediato dal linguaggio, e il terapeuta in questo caso rappresenta un facilitatore della conversazione, verso quel tipo di “assunzione”. Non solo quindi nominare e descrivere in modo puntuale le cose per dare l’abbrivio a un cambiamento, ma anche “performare il cambiamento” usando il linguaggio. A questo proposito vengono in mente gli studi sul linguaggio performativo di John L. Austin, a sottolineare come il linguaggio possieda un potere “esecutivo”, “performativo” (“io vi dichiaro marito e moglie”, “chiedo scusa”). Siamo, come si osserva, in area manifesting, ovvero manifestare/descrivere, come si accennava prima, per promuovere un cambiamento a partire dal linguaggio stesso.
Questo approccio, come si diceva, vuole portare alla luce le risorse possedute dal paziente. Uno degli strumenti con cui questo viene fatto, sono le domande, e nel libro di Cannistrà e Piccirilli questo viene più volte sottolineato.
Sono domande che hanno un loro razionale di utilizzo, che meritano di essere approfondite: elenchiamo qui di seguito, riassunte e spiegate dalla macchina -con alcune fonti cliccabili tra parentesi-, le cinque principali, che come si noterà riguardano aspetti peculiari della psicologia e del vissuto del paziente, che tuttavia hanno in comune la volontà di portarl* a focalizzarsi sugli aspetti di cambiamento o di risoluzione dei problemi (torniamo dunque alla definizione: “psicoterapia breve centrata sulla soluzione”).
1 – Domanda del miracolo (Miracle Question)
La domanda del miracolo è forse la tecnica più nota della SFBT. In pratica il terapeuta chiede al paziente di immaginare che “stanotte accada un miracolo” che risolve completamente il problema, e poi di descrivere «cosa sarà diverso quando vi sveglierete domani mattina, cosa noterete come primo segno che il problema è scomparso» (pmc.ncbi.nlm.nih.govlink.
Esempio pratico: in ambito clinico un terapeuta familiare che lavora con coppie in crisi può usare la domanda del miracolo così: “Immagini che stanotte mentre dormi, il vostro problema si risolva: quando vi sveglierete domani, qual è la prima cosa che noterete di diverso nel vostro rapporto?”. Questo porta la coppia a individuare piccoli segnali di armonia o comunicazione migliorata, da replicare.
2 – Domanda del domani (Tomorrow Question)
La domanda del domani è una variante della Miracle Question, focalizzata a un arco temporale più breve. Chiede al cliente di immaginare di svegliarsi il giorno dopo con i propri “migliori desideri” già realizzati, e di descrivere i primissimi segnali che percepirebbe (link.springer.com). Ad esempio, Ratner et al. (2012) la formulano così: “Supponi di svegliarti domani mattina con i tuoi migliori obiettivi raggiunti. Che cosa comincerai a notare?” (link.springer.com). L’intento è simile a quello del miracolo, ma più centrato su cambiamenti “subito a portata di mano”. Nella pratica clinica o educativa si può usare con studenti: “Se domani ti svegliassi con il compito preparato perfettamente, qual è la prima cosa che noti? Forse ti sentirai più sicuro nell’affrontare la mattina scolastica.” Questo porta lo studente a pensare a comportamenti concreti da adottare da subito. La domanda del domani contribuisce al cambiamento favorendo una mentalità orientata al futuro prossimo e incoraggia la definizione di passi realistici. In termini teorici è riconosciuta come modalità di focalizzazione sul futuro dei pazienti (frontiersin.org) e, come il miracolo, rafforza l’aspettativa di miglioramento. Ad esempio, in ambito scolastico gli psicologi usano questa domanda insieme a scale di progresso per impostare obiettivi brevi (deepblue.lib.umich.edufrontie
3 – Domanda della strategia (Strategy Question)
Le domande di strategia inducono il paziente a riflettere su come ha già ottenuto alcuni miglioramenti. Tipicamente si utilizzano dopo che il paziente segnala un piccolo progresso (ad es. “ha mangiato bene questa settimana” o “ha gestito senza crisi un problema al lavoro”). Il terapeuta chiede allora in modo retrospettivo: “Come hai fatto? Come hai gestito quella situazione?” (brief.org.uk). Invece di pianificare azioni future, queste domande valorizzano i passi già compiuti: ad esempio, “Sei riuscito a dormire due notti senza insonnia – come credi di essere riuscito a farlo?”. Scorrendo su una scala di cambiamento, il terapeuta può chiedere: “Supponiamo che le cose migliorino di un gradino – come potrai accorgertene? Cosa noterai diverso?” (brief.org.uk). L’obiettivo è “far sparire” l’enfasi sulle azioni specifiche e mettere in luce l’agente del cambiamento. Gli studi descrivono che in SFBT si privilegiano le domande retrospettive (how did you do that?) piuttosto che proiettive (how will you do that?), per sottolineare la spontaneità del processo di guarigione (brief.org.uk). I benefici clinici delle strategy questions sono la presa di consapevolezza delle proprie strategie efficaci, l’aumento dell’autoefficacia e la pianificazione implicita dei passi successivi. Ad esempio, in un follow-up terapeutico con un paziente ansioso si può chiedere: “Hai affrontato con successo una situazione che di solito ti spaventava. Cosa hai fatto di diverso?” per aiutare il paziente a interiorizzare il proprio successo.
4 – Domanda dell’identità (Identity Question)
Le domande dell’identità invitano il paziente a riflettere su chi è diventato o su quali qualità personali ha messo in campo per raggiungere un risultato. Ad esempio, dopo che il paziente ha realizzato un miglioramento (anche piccolo), il terapeuta può chiedere: “Cosa dice di te il fatto che tu sia riuscito a far questo? Cosa hai imparato di te stesso lungo questo percorso?” (scsha.net). Queste domande aiutano a consolidare la percezione di sé positivamente: il paziente riconosce di essere capace, coraggioso, resiliente, ecc. In termini di cambiamento, potenziano l’autostima e ridefiniscono l’identità del paziente al di là del problema. Ad esempio, un adolescente che ha ricostruito un’amicizia compromessa potrebbe sentirsi chiedere: “Quali qualità tue hanno permesso questo cambiamento? Cosa significa per te?”, vedendosi come una persona paziente o empatica. Questo rafforza la motivazione interna, perché il paziente si riconosce “già in azione” come la persona che vorrebbe diventare. Se ne sottolinea anche l’importanza in ambito educativo: secondo alcuni manuali SFBT, insegnanti o counselor scolastici che lavorano con ragazzi con difficoltà enfatizzano queste domande per far emergere le loro competenze nascoste (deepblue.lib.umich.eduscsha.
5 – Domanda del coping (Coping Question)
La domanda del coping è usata quando il paziente descrive una situazione difficile e lamenta fatica o scoraggiamento, chiedendo “come fai a reggere?”. Un tipico esempio è: “Nonostante tutto quello che stai affrontando, come fai ad andare avanti ogni giorno? Come fai a non mollare?”. Lo scopo è far riconoscere al paziente le proprie strategie di resilienza quotidiana. Anche se il problema persiste, il paziente si accorge di avere gestito la situazione usando risorse proprie. In pratica il terapeuta può dire: “Dopo la nostra ultima seduta, cosa stai già facendo che ti aiuta a non peggiorare la situazione? Quali cose ti fanno andare avanti?” (scsha.net). I vantaggi di questa domanda sono l’incremento della speranza e la consapevolezza di forza personale: il paziente prende coscienza di essere riuscito a sopportare finora grazie a proprie capacità di coping (scsha.net). In alcuni contesti clinici (ad es. assistenza psicologica in situazioni di trauma o malattia cronica) si sottolinea il valore di tale domanda per mobilitare le difese positive del paziente. Ad esempio, un bambino con difficoltà di apprendimento potrebbe sentirsi domandare: “Sai fare qualcosa di utile quando la scuola diventa difficile? Come hai fatto a non arrenderti?”, scoprendo così le piccole strategie che usa involontariamente, e rafforzandosi nell’idea di poter progredire.
Qui, infine, un articolo per approndire.


















