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Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

12 November 2018

IL PTSD IN VIDEO

di Raffaele Avico

La vita sotto PTSD diviene, gradualmente, un incubo da svegli, popolato da fantasmi e pensieri disturbanti da cui sembra difficilissimo emanciparsi. I pensieri che hanno a che vedere con il trauma, si ripresentano alla coscienza e producono cambi del colorito emotivo, veri e propri intrusi che hanno il potere di smontare la “coreografia” del presente per farci tornare alla realtà del nostro trauma.

Rendiamoci conto che la sintomatologia del PTSD è forse una delle più disturbanti e allo stesso tempo facili da riconoscere, di tutta l’ampia gamma della psicopatologia per come la conosciamo. Il PTSD è una sindrome dai contorni molto nitidi: non è nè un disturbo d’ansia in senso stretto (seppur porti con sè senso di panico e accelerazione, cosa che potrebbero far pensare a un disturbo d’ansia) nè un disturbo dell’umore (seppur porti con sè viraggi e sbalzi del tono emotivo): ha più a che vedere con l’alterazione dello stato della coscienza, che diviene permeabile ai contenuti traumatici.

Osserviamo il tentativo che qui è stato fatto per rappresentare, in senso soggettivo, il PTSD. Il video tenta di raccontare cosa succede a chi attraversa un periodo potentemente traumatico:

Nel suo romanzo breve Le notti bianche, Fedor Dostoevskij, fine conoscitore della psicologia umana, racconta di quattro notti e di un mattino trascorse dal suo personaggio senza nome (“Il sognatore”) alle prese con una relazione sentimentale appena nata ma già destinata a finire. A seguito di appunto quattro notti trascorse nella speranza di aver infine risolto il suo stato di mancata appartenenza e solitudine (grazie a una donna incontrata, una notte, a St.Pietroburgo), nel rendersi conto che l’amata è in realtà già destinata a qualcun altro, il sognatore immagina la scena terribile di  lui stesso, quindici anni più tardi, nel medesimo stato di isolamento sofferto nel momento presente: Dostoevskij descrive qui un vero viraggio in senso depressivo dello stato emotivo, simile tuttavia a ciò che succede a chi, soffrendo di PTSD, forzosamente venga costretto a “tornare” con la mente al terribile contenuto traumatico.

Nel PTSD, anche un solo pensiero, il ricordo di qualcosa di doloroso o spaventoso, diviene la porta, il “trigger” che ci ripiomba nell’insicurezza e nella paura, tanto da divenire un vero e proprio persecutore interno, al cospetto del quale ci sentiamo sempre impotenti e indifesi (pensiamo alle vittime di stalking o bullismo, e a come la paura parta da qualcosa di “esterno” per entrare dentro e divenire generalizzata e costante). Leggiamo cosa vive il sognatore:

Rilessi più volte la lettera; discendevano le lacrime dagli occhi. Alla fine mi cadde dalle mani, e mi coprii il viso.
«Caro, ehi, caro!», inizio Matrëna.
«Cosa, vecchia?»
«Quella ragnatela l’ho tolta tutta dal soffitto; adesso sposati pure, invita gente, sarebbe l’ora…»
Guardai Matrëna. Era ancora in gamba, una vecchia giovane, ma, non so perché, all’improvviso mi apparve con lo sguardo spento, con le rughe sul viso, ingobbita, decrepita… Non so perchè, all’improvviso mi sembrò che anche la mia camera fosse invecchiata come la vecchia. Le pareti e il pavimento erano sbiaditi, tutto si era offuscato; di ragnatele ce n’erano ancora di più. Non so perché, quando guardai dalla finestra, mi sembrò che la casa di fronte anche fosse diventata decrepita e si fosse a sua volta offuscata, che gli stucchi sulle colonne si fossero staccati e fossero caduti, che i cornicioni si fossero anneriti e coperti di crepe e le pareti da un colore giallo scuro brillante fossero diventate a chiazze…
Forse un raggio di sole, dopo aver fatto improvvisamente capolino da dietro una nuvola, si nascose di nuovo sotto la nube carica di pioggia, e tutto di nuovo si offuscò ai miei occhi; o, forse, davanti a me balenò così sgradita e triste tutta la prospettiva del mio futuro, e io vidi me stesso cosi come ora, esattamente tra quindici anni, invecchiato, nella stessa camera, ugualmente solo, con la stessa Matrëna, che non era diventata più intelligente in tutti quegli anni”

Come è stato giustamente notato, Dostoevskij qui (ma anche altrove), usa in modo molto frequente l’avverbio “improvvisamente” per raccontare l’andamento apparentemente irrazionale del flusso dei pensieri, dalle più alte vette di felicità e unione mistica fino ai baratri dello sconforto e della solitudine esistenziale vissuta dai personaggi dei suoi lavori. È molto vivida, in questa descrizione, la sensazione dello “sbalzo” emotivo prodotto dalla visione del sè futuro  -isolato e solo-, e la ri-significazione in chiave depressiva della realtà da lui esperita, come se la stessa venisse svuotata di vita.

Article by admin / Generale

9 November 2018

PILLOLE DI EMPOWERMENT

di Raffaele Avico


Si parla oggi molto di empowerment. Cosa significa, per punti?

  1. il termine indica il processo di CONFERIRE POTERE a qualcun altro: il fine ultimo di questo processo, dovrebbe essere in teoria il fatto che chi è “empowered” sperimenta maggiore senso di controllo e (auto)efficacia -cioè fiducia di poter essere “incisivo” sulla propria realtà
  2. qui potere va inteso non tanto come potere sulle altre persone, ma come potere DI, ovvero potere di fare, di dire, di affermarsi, di cambiare la carte in tavola nel contesto di una certa situazione: di fatto questo potere si accompagna a una maggior libertà percepita e un senso di maggiore “fiducia” nel fatto che le cose possano cambiare
  3. questo potere lo si può “concedere”, “attribuire” agli altri (una madre con suo figlio, una capo con il suo sottoposto, un professore con il suo alunno, ovunque ci sia una relazione a-simmetrica in cui qualcuno ha potere su qualcun altro). In che modo?
    1. RESPONSABILIZZAZIONE: cosa intendiamo per responsabilizzazione? Qui va inteso con la capacità di delegare dei compiti a qualcun altro, concedendogli fiducia, facendo sì che la persona stessa si senta responsabile di ciò che sta facendo o ha fatto. “Far fare, più che fare”, mettendosi da parte, cosicchè la persona si senta responsabile delle decisioni e delle scelte che deve compiere. Capiamo bene come, in un’ottica organizzativa, questo modello contempli tutto ciò che di solito NON accade quando il leader è troppo “accentratore”: qui il punto chiave è quindi “delegare”, e le parole chiave sono RICONOSCIMENTO e PARTECIPAZIONE ATTIVA.
    2. TRASMISSIONE DI COMPETENZE PRATICHE: questo è un aspetto importante perchè l’acquisire delle competenze nuove, ci rende subito più incisivi (per esempio pensiamo a quanto sia spendibile, in società, imparare a far un buon uso degli strumenti informatici; oppure, pensiamo a cosa vuol dire imparare un mestiere “a bottega”, emulando qualcuno che ci trasmetta quella competenza pratica, che poi potremo spendere in altri ambiti della nostra vita; chiunque si spenda per traferire delle competenze pratiche a un altro, fa empowerment nel senso più reale e applicato del termine)
  4. Sentirsi potenti, ed efficaci, ha a che fare inoltre con la questione dell’appartenenza. Per questo, il fatto che le organizzazioni promuovano un forte uso di “artefatti” al fine di spingere i loro membri a sentirsi “appartenenti”, riguarda un processo di empowerment. Sentirsi parte di un qualche progetto condiviso, indossare una certa maglia di un certo colore, o qualsiasi divisa professionale (camici, divise vere e proprie), presenziare a eventi esclusivi per i soli membri di un qualche circolo, sentirsi riconosciuti in un certo slogan, sono tutti strumenti di empowerment effettuato attraverso il senso di appartenenza.

Per quanto riguarda invece l’EMPOWERMENT in medicina, vi consigliamo la lettura di questo articolo molto chiaro e completo pubblicato da State Of Mind.

Wikipedia, infine, dà una definizione molto completa del costrutto.

Article by admin / Generale

2 November 2018

COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO

di Raffaele Avico

La costruzione e la nascita della Rappresentazione del Sé è stata studiata in modo approfondito negli studi di Gallup (1970) su scimmie di diverse specie, negli studi di Lewis e Brook (Lewis & Brook, 1979) e più recentemente negli studi di Povinelli sul riconoscimento alla specchio, effettuati in prevalenza su bambini (Povinelli et al., 1997).

Gallup si propose di osservare se esemplari di scimmia estrapolati da specie diverse fossero in grado di riconoscersi allo specchio, scoprendo che solo alcune delle specie prese in considerazione erano in grado di farlo (orangutan, scimpanzé e bonobo): nei suoi esperimenti gli esemplari di scimmia capaci di riconoscersi utilizzavano lo specchio per osservare le proprie espressioni facciali e per esplorare parti del corpo altrimenti inaccessibili alla vista. Gallup ritenne a partire da queste osservazioni che la capacità di riconoscersi allo specchio dell’animale indicasse la presenza di una coscienza di sé nello stesso: non esplicitò tuttavia le motivazioni sottese al fatto che solo alcuni esemplari appartenenti a specie differenti di scimmia sembrassero esserne dotati, e quali elementi a livello filo- e ontogenetico potessero averne influenzato l’evoluzione in questa direzione (Gallup, 1970).

Anni dopo, Povinelli si occupò delle stesse tematiche, approfondendo gli aspetti della questione legati alle vicende evolutive che avessero portato alcune specie di scimmia e non altre a sviluppare un’autocoscienza e quindi la capacità di riconoscersi allo specchio (Povinelli & Cant, 1995).

L’autore ipotizzò che uno degli aspetti che potevano aver differenziato il percorso evolutivo nelle diverse specie fosse un’acquisita e maggiorata coscienza chinestesica, inerente il corpo, di sè, sviluppatasi a partire da mutamenti nelle condizioni ambientali contestuali alla vita di alcune specie di scimmia.

Queste specie di scimmia sembravano, nel corso dell’evoluzione, essere state forzate a una vita maggiormente sedentaria e meno caratterizzata dalla necessità di effettuare spostamenti veloci (per esempio sugli alberi), che si sarebbe risolta nel tempo in un aumento della massa corporea. A questo secondo l’autore avrebbe fatto seguito lo sviluppo di una rappresentazione corporea più elaborata e adatta a rispondere alle richieste dell’ambiente in modo più efficiente (Povinelli descrive questo processo a partire dal costrutto teorico definito Self Evolved for Locomotor Flexibility). Questo salto evolutivo avrebbe secondo Povinelli dato il via al processo di costruzione di un concetto di Sé in questi esemplari, che avrebbe poi trovato piena maturazione nel percorso evolutivo della specie umana.

Ciò che Povinelli sottolinea è in particolare l’importanza della presa di coscienza del corpo, considerata antecedente alla nascita dell’autocoscienza,per mezzo dell’osservazione di sé allo specchio (processo cognitivo in un certo modo accostabile a quello sotteso alle reazioni circolari teorizzate da Piaget nell’osservazione dello sviluppo del bambino, caratterizzate dall’elaborazione di feedback chinestesici e informazioni propriocettive per arrivare alla presa di coscienza di una propria potenzialità sensomotoria. (Piaget et al., 1966)).

Povinelli sostiene inoltre che il riconoscimento di sé non sarebbe, in questi esperimenti, da ricondurre alla conoscenza di come funziona uno specchio, cioè alla consapevolezza della capacità dello stesso di riflettere le cose (so che lo specchio riflette = imparo a conoscere il mio corpo a partire dall’immagine che vedo riflessa). Secondo l’autore la consapevolezza autonoetica manifestata di fronte allo specchio si tradurrebbe invece in una sequenza di pensiero più simile a:

l’immagine allo specchio = il mio corpo,

senza sequenze di pensiero intermedie (Mitchell, 1993).

Ciò che emerge dagli studi di Povinelli, inoltre, è che il bambino comincerebbe a riconoscersi con continuità, cioè a costruire una Rappresentazione del Sé come costante e duratura nel tempo, solo a partire da un’età superiore ai 4 anni, quindi successivamente rispetto all’acquisizione della nozione di possessione del corpo (Povinelli, 2001).

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno effettuato su un campione di bambini la prova del riconoscimento allo specchio, inserendo però una variante metodologica che testasse l’acquisizione della Rappresentazione del Sé estesa nel tempo, la presentazione cioè al bambino di lui stesso videoripreso, ma in differita di alcuni secondi. Sottoponendo bambini di diverse età a questa prova, si è osservato che solo i bambini di età uguale o superiore ai 4 anni sembravano riconoscersi nelle immagini video ritardate, cosa che poteva far pensare a una raggiunta acquisizione di una Rappresentazione del Sé estesa nel tempo nel bambino (Povinelli, Landau & Perilloux, 1996).

DUE FASI

Ciò ha portato i ricercatori coinvolti nello studio ad ipotizzare la presenza di due livelli o fasi consecutive del processo di costruzione della Rappresentazione del Sé: una più precoce e legata all’acquisizione della nozione di possesso del corpo a partire da feedback sensoriali chinestesici semplici (riconosco che quello è il mio corpo, lo vedo, si muove con me), l’altra, più tardiva, legata invece all’acquisizione di una Rappresentazione del Sé costante nel tempo e svincolata dalla necessità di appoggiarsi su feedback sensoriali (quello sono io, mi riconosco, e rimango io nel tempo).

Interessante a questo proposito l’osservazione fatta dagli autori del suddetto studio sul comportamento di una bambina di 3 anni di fronte alla propria immagine ritardata nel video: di riconoscimento in un primo tempo, ma subito dopo di “presa di distanza” dall’immagine di Sé, esplicitata attraverso la richiesta “ma come mai indossa la mia maglia?”. Questo manifesterebbe secondo gli autori il conflitto insito alla fase di transizione verso un’acquisizione completa della Rappresentazione del Sé da parte della bambina: quest’ultima sarebbe stata in altre parole in grado di riconoscersi solo in parte, o solo in alcuni momenti (gli autori suggeriscono per spiegare questo fenomeno la presenza, in una determinata fase dello sviluppo, di più dimensioni del Sé, solo in parte rappresentate cognitivamente dal soggetto) (ibidem).

MEMORIA AUTOBIOGRAFICA

I processi cognitivi sottesi allo sviluppo della Rappresentazione del Sé non possono essere pensati come indipendenti da quelli concernenti l’attività di rievocazione di ricordi autobiografici, così come da quelli sottesi al funzionamento del linguaggio.

Vigotskij (1932) a questo proposito teorizzò il concetto di linguaggio normativo, un linguaggio cioè avente un’importante funzione regolativa nei processi cognitivi dell’individuo. Senza l’utilizzo del linguaggio (verbalizzato o interno), secondo l’autore non ci sarebbe possibilità di costruire un’immagine di Sé coerente né di organizzare i ricordi in forma narrativa. La Memoria Autobiografica, cioè, sarebbe senza l’utilizzo del linguaggio interno un insieme disarticolato di immagini e impressioni sensoriali non fruibile dal punto di vista cognitivo. Vigotskij sostiene l’esistenza di una tendenza umana a “fare ordine” attraverso il linguaggio interno, comunicando con se stessi, a parlare a se stessi in modo pedagogico e a conferire un significato alle proprie azioni attraverso la narrazione (ibidem).

Il linguaggio risulterebbe da questo punto di vista uno strumento cognitivo indispensabile al buon funzionamento di alcuni tra i processi cognitivi più importanti per il mantenimento della salute psichica, quali la memoria e la costruzione della Rappresentazione del Sé.

In letteratura si considera che la Rappresentazione del Sé venga influenzata durante lo sviluppo anche dall’attribuzione di valore fatta dal bambino a se stesso a partire dai giudizi verbali o meno provenienti dagli adulti.

Secondo la prospettiva cognitivista la modalità con cui il bambino forma un’immagine di sé avente più o meno valore dipenderebbe in larga parte da come il bambino recepisce ed elabora tali giudizi. La costruzione di un profilo psicologico riferito al Sé comincerebbe in età molto precoce, e il successivo rendersi conto delle differenze tra il sé reale e il sé ideale darebbe origine nel bambino alla capacità autoriflessiva.

Alcuni autori hanno descritto il processo di costruzione della Rappresentazione del Sé in relazione alle interazioni multiple con la famiglia d’origine in età molto precoce (Thompson, 1998). Secondo questi studi tali interazioni multiple quotidiane fornirebbero al bambino un laboratorio sociale, una “scuola” in cui imparare a gestire le differenti possibili situazioni interpersonali, come la negoziazione del conflitto, la manifestazione dell’umore, la finzione del gioco, ecc.

Una descrizione dello sviluppo della Rappresentazione del Sé costruito a partire dalle interazioni multiple è anche quella proposta nel modello teorico formulato da Guidano e Liotti (Guidano e Liotti, 1983).

Secondo questi autori il percorso di sviluppo della Rappresentazione del Sé avverrebbe a partire da un’attività cognitiva ancora più precoce e basilare per l’individuo: la costruzione di schemi.

I due autori infatti concepiscono l’uomo come una struttura conoscitiva iper-complessa che fin dalla nascita crea una serie di schemi cognitivi che lo aiutano nell’esplorazione della realtà. Il concetto di schema cognitivo potrebbe essere semplificato utilizzando il termine convinzione: nel corso dell’esperienza l’individuo accumula una serie di informazioni da cui trae conclusioni o inferenze che gli permettano di prevedere i fatti nella realtà da cui è circondato.

La capacità cognitiva di creare schemi è considerata dai due autori una risorsa fondamentale e indispensabile alla vita sociale dell’individuo. La persona è in questa prospettiva considerata un’attiva costruttrice di convinzioni, cioè schemi cognitivi inferiti a partire da situazioni relazionali, contingenze e in generale situazioni di interazione con l’ambiente.

Guidano e Liotti sostengono che tra questi schemi uno dei più importanti sia appunto quello riferito al Sé e alla rappresentazione cosciente che ne ha l’individuo.

La costruzione della Rappresentazione del Sé si manifesta dunque in questo modello come un processo di semplificazione di una realtà complessa come il Sé attraverso la costruzione di schemi cognitivi più o meno rigidi. La psicopatologia è spiegata in questo modello a partire dal grado di rigidità di queste convinzioni su sé e gli altri, nel senso che convinzioni troppo rigide o modelli operativi interni poco flessibili porterebbero a meccanismi disfunzionali dal punto di vista emotivo e sociale.

Per il processo di costruzione del Sé, Guidano e Liotti considerano di primaria importanza le esperienze precoci dell’attaccamento, tanto da considerarle come il “paradigma integrativo dello sviluppo” (Guidano e Liotti, 1983). Le primissime interazioni con le figure di riferimento costituirebbero, infatti, la base su cui verrebbero create dal bambino le prime convinzioni rispetto a cosa aspettarsi dalle relazioni future e i primi schemi su come considerare se stesso.

Le fasi di sviluppo delineate dal modello di Guidano e Liotti rispetto alla costruzione della Rappresentazione del Sé in relazione alle esperienze di attaccamento sono quattro:

  1. La prima infanzia (0-2 anni)

In questa prima fase della vita il bambino non possiede secondo Guidano e Liotti un Sé psicologico, ma solo un sé biologico che si manifesta in comportamenti istintivi a base innata, come appunto il comportamento di attaccamento. Seppur non possedendo una rappresentazione di sé come essere dotato di individualità e caratteristiche proprie, il bambino possiede già alla nascita la capacità potenziale di costruire la conoscenze e di provare emozioni. La costruzione della Rappresentazione del Sé avviene in questa fase attraverso un processo definito da Popper “learning to be a Self”, un procedimento cioè di natura imitativa con cui il bambino impara a “essere un Sé” attraverso gli altri Sé che trova intorno a lui. A questo proposito gli autori osservano che evidenze cliniche dimostrano che i bambini cresciuti in isolamento non raggiungono una piena conoscenza di Sé. Il processo di costruzione del Sé e della Rappresentazione del Sé si configura quindi come, inizialmente, un atto di natura sociale.

Gli autori sostengono che nelle prime fasi della vita la Rappresentazione del Sé sia costruita di riflesso ai comportamenti e alle caratteristiche psicologiche dei genitori: in un certo senso il Sé si rispecchierebbe, durante l’infanzia, nelle figure primarie di attaccamento. Gli autori descrivono questa attività di rispecchiamento del Sé del bambino in quello dei genitori introducendo l’ipotesi secondo cui il bambino compirebbe un’elaborazione cognitiva dei differenti aspetti della personalità dei care-givers, riunendo in un “mosaico” i diversi frammenti della personalità degli stessi.

In questa prima fase di sviluppo Guidano e Liotti considerano fondamentale sia il processo interattivo di relazione con gli altri, sia l’attività di selezione da parte del bambino delle informazioni in entrata.

A partire poi dalla dalle interazioni di natura affettiva con i genitori, a seconda cioè di quanto i modelli operativi interni siano connotati da una coloritura affettiva positiva, il bambino si aspetterà, anche nelle relazioni future, di trovare figure d’attaccamento disponibili, percependo se stesso come degno d’amore e comprensione.

  1. La seconda infanzia (2-5 anni)

In questa fase il bambino ha già formato un’immagine stabile di sé e delle figure di riferimento. A partire dalle aspettative sviluppate nel corso della prima infanzia, il bambino partirà alla “conquista dell’ambiente”, tendendo a generalizzare ad altre figure le convinzioni e gli schemi primari di attaccamento. Guidano e Liotti inoltre manifestano particolare attenzione al processo opposto all’attaccamento, cioè al processo di distacco. Secondo gli autori in questa fase dell’infanzia il bambino, se cresciuto in modo sano, sarà particolarmente portato a distaccarsi dalle figure di attaccamento, che considererà come “basi sicure”, per esplorare l’ambiente e finalmente differenziarsi dalla madre.

  1. La fanciullezza (6-11 anni)

La maturazione cognitiva conosciuta dal bambino a partire dalla formazione scolastica, dalle prime esperienze sentimentali e delle aumentate interazioni sociali, gli permette di raggiungere un livello di maggiore articolazione dell’identità di sé. Tra i processi psicologici fondamentali utilizzati dal bambino  in questa fase di sviluppo vi sono l’imitazione e l’identificazione con i modelli.

  1. L’adolescenza

Secondo Guidano e Liotti questa fase coincide con un periodo cruciale della vita. Emerge infatti in questa fase una capacità metacognitiva mai raggiunta, e attraverso la riflessività l’adolescente è in grado di mettere in discussione gli schemi precostruiti, creandone di nuovi. La Rappresentazione del Sé acquisterebbe a seguito di questa fase una stabilità ulteriore e una straordinaria resistenza al cambiamento.

Gli studi di Guidano e Liotti teorizzano quindi una costruzione della Rappresentazione del Sé molto vincolata dai processi di attaccamento e dalla qualità degli stessi.

A partire da queste considerazioni è opportuno considerare la Rappresentazione del Sé come influenzata nel suo sviluppo da fattori di natura temperamentale (per esempio una particolare sensibilità ai giudizi negativi, e di conseguenza la costruzione di un’immagine di sé più fragile o negativa) e da fattori di natura maggiormente psico-sociale e relazionale (come la trasmissione di una particolare immagine stereotipata di “maschio” o “femmina”).

Inoltre, come la nascita della Memoria Autobiografica risulta influenzata da fattori relazionali legati all’utilizzo del linguaggio, così la Rappresentazione del Sé si dimostra sensibile a un utilizzo più o meno consapevole del linguaggio verbale da parte dei genitori nel comunicare con il bambino.

Questo può essere spiegato da un punto di vista cognitivo sia considerando la qualità dei giudizi dati al bambino (positivi o negativi, svalutanti o meno), sia considerando la modalità comunicativa prevalente da parte della madre. E’ stato dimostrato infatti che un tipo di comunicazione aperta e democratica basata sulla negoziazione dei significati e sulla possibilità di critica reciproca creerebbe nel bambino una predisposizione all’interazione sociale positiva e favorirebbe un’interiorizzazione più sana dei valori genitoriali (Hoffman, 1975; Maccoby & Martin, 1983), cosa che influirebbe sulla costruzione della Rappresentazione del Sé.

Questi studi inoltre hanno evidenziato che l’utilizzo da parte della madre di un tipo di linguaggio orientato alla spiegazione dei meccanismi psicologici sottesi alle interazioni sociali (un tipo di comunicazione “orientata all’altro”), porterebbe alla costruzione di una migliore teoria della mente nel bambino (ibidem).

A livello di processi cognitivi interni il linguaggio viene utilizzato secondo Vigotskij in modo regolativo, permette al bambino cioè di comunicare con se stesso nell’organizzare pensieri e ricordi: il linguaggio in questo caso avrebbe una funzione sociale anche nel caso in cui venga utilizzato nella comunicazione con il Sé (linguaggio interno). Nell’osservazione del comportamento infantile sono spesso stati riscontrati fenomeni di creazione di “compagni immaginari”, a cui è stata attribuita una funzione simile a quella del Sé come interlocutore: sarebbero entrambi meccanismi attraverso cui il bambino controlla e gestisce se stesso sperimentando le nuove tecniche relazionali apprese nell’interazione con le figure di riferimento. Questi compagni immaginari durante la crescita assolverebbero l’importante funzione di confidente privilegiato e di agente socializzatore non ansiogeno, poiché creato dal Sé.

Appare evidente che l’utilizzo del linguaggio risulta di primaria importanza nella messa in atto di questi processi cognitivi, che manifestano una tendenza del bambino alla comunicazione interna (definita appunto regolativa da Vigotskij) e alla metaconoscenza di sé.

Qui un bellissimo video illustrativo della questione:

BIBLIOGRAFIA

disponibile su richiesta scrivendo a avico.raf@gmail.com

Article by admin / Generale

30 October 2018

IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER?

di Luca Proietti

La caffeina è una delle sostanze più amate e dibattute. Elisir dalle proprietà benefiche o vera e propria droga? Dannosa per l’organismo e il sistema nervoso secondo alcuni, innocua e irrinunciabile secondo altri. Qual è la realtà? Un gruppo di ricercatori cinesi ha raccolto e analizzato i dati presenti in letteratura per provare a fornirci una risposta definitiva.

Rispetto al consumo abituale di caffè e il rischio di sviluppare demenza alcuni studi hanno riscontrato un effetto protettivo mentre altri un aumento del rischio relativo. Un gruppo di ricercatori cinesi ha raccolto e analizzato i dati sull’argomento presenti in letteratura dal 1966 al 2016 sintetizzandoli in una metanalisi. I loro risultati sono stati pubblicati su Nutrition nel 2016 in un articolo dal titolo “Habitual coffee consumption and risk of cognitive decline/dementia: A systematic review and meta-analysis of prospective cohort studies”, scritto da Liu e collaboratori.

Gli autori hanno incluso nella loro analisi 11 studi prospettici per un totale di 29.155 partecipanti, nel tentativo di rispondere ai seguenti quesiti: bere caffè aumenta il rischio di sviluppare demenza o rappresenterebbe un fattore protettivo? É possibile stabilire una relazione proporzionale tra la dose giornaliera di caffeina e il rischio di demenza?  L’effetto protettivo è solo a breve termine, come alcuni studi indicano? Che implicazioni hanno altri fattori come il tipo di demenza o il genere dei partecipanti?

REPORT

I risultati della metanalisi dimostrano che il consumo abituale di caffè non aumenta il rischio di sviluppare demenza o declino cognitivo in generale, anzi in coloro che consumano più caffè il rischio specifico di sviluppare demenza di Alzheimer si riduce del 27%. Tale effetto protettivo non è presente nei confronti di altre forme di demenza e risulta essere indipendente da sesso, durata del follow-up, regione geografica di appartenenza (Asia o Europa) e dal fatto di essere portatori di mutazioni genetiche che predispongono allo sviluppo di demenza di tipo Alzheimer (ApoE ε4). Non è stato tuttavia possibile quantificare la dose giornaliera precisa di caffè necessaria per ridurre il rischio di sviluppare Alzheimer. Nel complesso quindi assumere caffè non solo non aumenterebbe il rischio di sviluppare demenza, ma anzi avrebbe un effetto protettivo nei confronti della malattia di Alzheimer.

Nella loro disamina gli autori riportano i limiti dello studio: ad esempio nell’analisi andrebbero compresi anche altri alimenti e bevande che contengono caffeina come thè, drink alla caffeina e energy drink, cioccolato con alta percentuale di cacao. Sicuramente gli studi futuri dovranno porre attenzione a questo fatto.

Va anche tenuto conto che il caffè sia in realtà una complessa miscela contenente non solo caffeina, ma anche vari polifenoli bioattivi. Di questi alcuni potrebbero avere effetti benefici mentre altri potrebbero essere potenzialmente dannosi per il sistema nervoso centrale; sarebbe pertanto opportuno studiare separatamente gli effetti dei singoli componenti.

In ogni caso appare plausibile che l’assunzione di caffè protegga, tramite meccanismi neurobiologici, dal rischio di sviluppare Alzheimer. A riprova di ciò la dose equivalente a 5 caffè al giorno è risultata efficace nella prevenzione e nel trattamento di un modello di Alzheimer nei topi.

Il meccanismo responsabile dell’effetto protettivo sembrerebbe coinvolgere il blocco dell’antagonismo, dunque la dis-inibizione, dei recettori dell’adenosina; questo fenomeno potrebbe limitare i danni causati dal deposito di β-amiloide, precursore proteico tossico che si accumula nel cervello dei pazienti con Malattia di Alzheimer. Un’altra ipotesi chiama in causa la relazione tra il consumo abituale di caffè, una maggiore sensibilità all’insulina e una riduzione del rischio di sviluppare diabete. Questa patologia metabolica è infatti uno dei fattori di rischio più importanti per lo sviluppo e la progressione del declino cognitivo.

É ancora da vedere se l’effetto protettivo sia limitato nel tempo. L’efficacia protettiva del caffè sembra infatti maggiore in studi con follow-up della durata minore di 4 anni. Gli autori affermano che questo dato potrebbe dipendere dal fatto che col tempo chi sviluppa declino cognitivo potrebbe essere portato, se non stimolato, a ridurre l’assunzione abituale di caffè.

BIBLIOGRAFIA

Liu et al., “Habitual coffee consumption and risk of cognitive decline/dementia: A systematic review and meta-analysis of prospective cohort studies”. Nutrition 2016, 32. 628-636.

Article by admin / Generale

23 October 2018

PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI?

di Luca Proietti

Qual è il rapporto tra autostima e narcisismo? Per avere una buona autostima dobbiamo avere dei tratti narcisistici?  Un articolo, “Separating narcisism from Self-Esteem” di Brummelman, Thomaes e Sedikides, uscito su Current Directions in Psychological Science nel 2016, ci chiarisce la relazione tra autostima e narcisismo.

REPORT

È luogo comune pensare che le persone con tratti narcisistici abbiamo una forte autostima: ciò è sicuramente dovuto anche all’influenza della letteratura scientifica, che in passato ha definito il narcisismo come “un’esagerata forma di alta autostima”, “un’autostima gonfiata” o “una forma di alta autostima difensiva”. Anche i mass media hanno dipinto i narcisisti come individui la cui autostima è “troppo alta” o “ipertrofica”. Queste credenze verosimilmente derivano dai primi lavori psicoanalitici, in cui i termini “narcisismo” e “alta autostima” venivano utilizzati in maniera intercambiabile.

È degli ultimi anni il tentativo di definire meglio i concetti di autostima e narcisismo, al fine di coglierne le differenze; l’ autostima e il narcisismo sembrano differire per manifestazioni, conseguenze relazionali, traiettorie di sviluppo e cause di origine.

MANIFESTAZIONI

Una prima differenza è quella per cui l’autostima riguarda il considerarsi adeguati, di valore, l’essere insomma soddisfatti di se stessi; mentre nel narcisismo questi aspetti si fondano sul ritenersi superiori agli altri. Ciò spiegherebbe come mai molti narcisisti avrebbero in realtà una scarsa autostima: si vedrebbero sì superiori agli altri, ma non sarebbero soddisfatti di loro stessi. Allo stesso modo le persone con una buona autostima, ma senza tratti narcisistici, si considererebbero adeguati e di valore, senza bisogno di risultare superiori nel confronto con gli altri.

IMPLICAZIONI RELAZIONALI

Per quanto appena detto i narcisisti cercano di superare gli altri e dominarli, tentano infatti di servirsi dell’altro per vedere riconosciuto uno status sociale, senza mostrare interesse nel costruire legami intimi, profondi e duraturi. Per questo, quando il narcisista non riesce a primeggiare, ad ottenere rispetto e ammirazione, diventa aggressivo fino al poter compiere azioni delinquenziali. Alla base di questo fenomeno vi è un meccanismo proiettivo per cui il narcisista proietta sugli altri la propria sensazione di sentirsi inadeguato e in difetto, l’altro viene quindi percepito come inadeguato e di poco valore. Tale meccanismo nei disturbi di personalità più gravi, definiti narcisismo maligno, può arrivare fino alla paranoia persecutoria (Kernberg, 1998). Per contro, le persone con alta autostima prive di tratti narcisistici non presentano nessuna di queste caratteristiche.

Possiamo dire quindi, riguardo alla modalità di intendere le relazioni, che il narcisista aspiri ad arrivare davanti, sopra agli altri; mentre chi ha un’alta autostima desideri andare insieme.

SVILUPPO DEI TRATTI DI PERSONALITÀ

Sia l’autostima che i tratti narcisistici si svilupperebbero intorno ai 7 anni di età, periodo in cui si acquisisce completamente la capacità di auto-valutazione globale, quella cioè di autogiudicarsi e di paragonarsi socialmente. Le traiettorie di sviluppo dei due tratti tuttavia sembrano differire, anzi presenterebbero un andamento opposto: il narcisismo sarebbe infatti alto nell’adolescenza per poi decrescere gradualmente nel tempo, mentre l’autostima presenterebbe livelli più bassi nell’età adolescenziale per poi crescere con l’età.

ORIGINI

Anche i meccanismi che sottendono allo sviluppo dei due tratti sono tra loro differenti. Il narcisismo è nutrito dall’ “sopravvalutazione genitoriale”, cioè da quanto più i genitori vedono i propri figli come individui speciali e meritevoli di privilegi; esempi semplici ma esemplificativi sono la scelta di un nome di battesimo particolare o il sopravvalutare le performance e le qualità dei propri figli.

L’autostima invece è nutrita dal “calore genitoriale”, cioè da quanto i genitori trattano i loro bambini con affetto e attenzioni; questi sentimenti esprimono predilezione e favoriscono lo sviluppo della consapevolezza di valere, indipendentemente dal confronto con gli altri.

L’interazionismo simbolico afferma che i bambini giungono a vedere se stessi nel modo in cui credono di essere visti da “altri significativi”. In tal senso narcisismo e autostima sono simili in quanto entrambi originano in parte dall’interiorizzazione del rispetto da parte di altri significativi; la differenza sta che nel primo caso il rispetto deriva dall’essere riconosciuti e sentirsi superiori, mentre nel secondo dal sentirsi apprezzati e di valore.

È per questo che il narcisista, a differenza di chi ha autostima, è alla costante ricerca di ammirazione, il senso di superiorità in lui risulta infatti più precario del senso di valore in chi ha autostima; il narcisista è dunque impegnato in un gioco a somma zero, in cui è condannato a dover verificare perennemente di essere un vincente.

I TRATTI NARCISISTICI AIUTANO A FARE COLPO?

Ma alla fine il narcisista ha successo nell’ottenere validazioni esterne o no? Le persone con importanti tratti narcisistici vengono a prima vista percepite come affascinanti, ma col tempo, a causa della loro necessità di risultare superiori, tendono a porsi in maniera antagonista nei confronti degli altri, risultando quindi infine sgradevoli, arroganti e manipolativi. Sono proprio questi aspetti che compaiono con il progressivo approfondirsi delle relazioni, che li portano dunque a perdere quell’approvazione che tanto bramano.

PROSPETTIVE TERAPEUTICHE

Evidenziare che autostima e narcisismo sono due fenomeni diversi, anzi se vogliamo opposti nel modo di relazionarsi agli altri, ha importanti implicazioni non solo concettuali ma anche in ottica di intervento. Gli autori infatti sottolineano come un lavoro volto ad implementare l’autostima non corra il rischio di aumentare i tratti narcisistici come in passato si riteneva, ma anzi li possa prevenire o ridurre; ciò è avvalorato dalla differenza dei processi che portano a sviluppare i due tratti.

Per concludere, l’idea che il narcisismo sia un’estrema manifestazione di alta autostima è intuitiva, ma profondamente inesatta.

In questo articolo ho descritto le differenze tra Narcisismo, Narcisismo Maligno, Psicopatia e Sociopatia (link).

Mentre in questo ho diagnosticato i disturbi dei personaggi della Serie Tv del Trono di Spade e come vedrai molti ricadono nell’area del Narcisismo (link).

BIBLIOGRAFIA

Brummelman, S. Thomaes, C. Sedikides “Separating narcisism from Self-Esteem”, Current Directions in Psychological Science, 2016

O.F Kernberg, “Narcisismo patologico e disturbo narcisistico di personalità: background teorico e classificazione diagnostic” Tr. It. In Ronningstam E.F.(a cura di), i disturbi del narcisismo. Raffaello Cortina, Milano, 2001.

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19 October 2018

LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel

di Raffaele Avico

Il libro La mente adolescente di Daniel Siegel è un viaggio all’interno della psicologia dei ragazzi dai 14 fino ai 24 anni, affrontato da più punti di vista, con importanti contributi neuroscientifici che si assommano a una lettura il più possibile umana alla questione, cifra di un po’ di tutti i libri di Siegel.

Nel libro sono presenti molti esempi tratti dalla pratica clinica dell’autore, così come riferimenti alla sua vita personale. Inoltre, ricompaiono dei punti fermi del suo lavoro divulgativo, per esempio la teoria del cervello tripartito di MacLean, su cui fonda in pratica tutto il suo razionale di intervento clinico e che mira a uno stato di integrazione totale delle diverse parti del cervello (istintuali, emotive, neo-corticali, gli emisferi destro e sinistro del cervello).

Il libro alterna sezioni teoriche a pagine che contengono esercizi applicabili in senso clinico, ma anche utilizzabili dal lettore senza una preparazione clinica professionale.

L’adolescenza, Siegel ci spiega, è un periodo di trasformazioni, in senso sia fisico (la pubertà), che psicologico (l’adolescenza in sé). Qualcosa cambia nel cervello e nei pensieri del giovane, in parallelo a una trasformazione fisica così rapida da poter essere paragonabile, come “velocità” di metamorfosi, a quella che avviene nei primi anni di vita di un neonato. Inoltre, anche a livello psichico, accadono così tante cose da consentirci di mettere a paragone il periodo adolescenziale con i primi tre anni di sviluppo del bambino (i famosi 1000 giorni, che un po’ tutti concordano nel ritenere gli anni della fondazione della personalità dell’individuo)-

Se i primi anni sono anni di “imprinting”, gli anni dell’adolescenza sono anni fertili, estremamente fertili, e questo grazie al processo di sfoltimento (“potatura”, o “pruning”) delle sinapsi neuronali, che concorre a creare e a rimarcare reti neuronali che verranno “marchiate” a fuoco nella mente dell’individuo per tutta la vita. Per questo è importante che, per esempio, chi voglia insegnare ai propri figli a suonare il pianoforte, ve lo introduca in infanzia, ma si assicuri che il ragazzino continui a suonarlo negli anni dai 13/14 fino ai 20, anni insomma grandemente influenti su tutta la via futura (qui troviamo un approfondimento interessante sulla neurobiologia dell’adolescenza).

Siegel ci illustra i quattro grandi cambiamenti che avvengono in età adolescenziale:

  1. aumenta la ricerca di novità. Siegel qui fa riferimento alla questione dopaminergica, che come è noto sta alla base del meccanismo che ci consente di buttarci su cose nuove, di cercare sensazioni diverse, grazie a quello che viene chiamato circuito di reward (ne abbiamo scritto qui) -che premia il cervello con scariche di dopamina, e in questo modo aumenta l’appetibilità (l’affordance) dell’esperienza stessa, che verrà ricercata nuovamente. Siegel parla anche di un livello di dopamina tendenzialmente più basso negli anni dell’adolescenza, ma con picchi più alti quando vi siano sensazioni nuove e potenti, che producono un comportamento più “impulsivo”. Questi sono anche gli anni della strutturazione delle dipendenze più difficili da sradicare, proprio in ragione di questo particolare panorama neurochimico in cui è centrale il ruolo della dopamina, sempre coinvolta in tutto ciò che riguarda il problema “addiction”
  2. vi è la ricerca di un maggior coinvolgimento sociale. Se l’adolescenza rappresenta l’arco temporale che consente a un individuo di sperimentarsi e di attraversare un periodo, per usare delle parole mutuate dalla psicologia dello sviluppo, di “separazione/individuazione”, ciò significa che l’investimento iniziale effettuato dal bambino, in senso affettivo, verso la coppia genitoriale, lascia il posto a un progressivo distacco e a un investimento questa volta verso l’esterno, verso il gruppo dei pari, che come un magnete trascina a forza il ragazzo al di fuori del contesto di origine. Questo processo avviene per gradi, e con tempi diversi: quel che è certo è che contiene in sé un lutto reciproco vissuto da genitori e figli, che in questo modo, inevitabilmente, si allontanano
  3. le emozioni vengono esperite con maggiore intensità. Su questo punto Siegel fa riferimento alla questione già citata della dopamina, e in più parla di una sorta di “iper-razionalità” che caratterizza in questa fase della vita il pensiero dei ragazzi. Per iper-razionalità, Siegel intende una specifica forma del pensiero che certo si complessifica in ragione dello sviluppo cerebrale, che in questa fase assume particolare rilevanza, ma che tuttavia rimane per certi versi “limitato” a delle considerazioni parziali a riguardo della realtà. Questo vuol dire, in altre parole, che l’adolescente esegue delle valutazione parziali sulle esperienze che vive e di ciò che intende fare, in particolare con uno sbilanciamento tra quelli che sono i “pro” e i “contro” relativi alle diverse esperienze. Siegel fa l’esempio della roulette russa, per un adulto normale gioco rischiosissimo e assurdo, per un adolescente invece gioco “con alte probabilità di vincere” vista  la possibilità di non trovare il proiettile in canna 5 volte su 6 (Siegel usa questo esempio estremo per cercare di far capire al lettore che l’adolescente estremizza e assolutizza la valutazione dell’esperienza, negando o non integrando alcune parti o certi rischi connessi ad un’esperienza: è infatti noto che in questa fase avviene il maggior numero di decessi per comportamenti a rischio, che non sono valutati a fondo, ma vissuti con velocità e non ponderati). Questo pensiero iper-razionale ha quindi la “colpa” di accendere nell’adolescente quegli slanci all’azione che a volte possono metterlo a rischio
  4. aumenta l’esplorazione creativa. In questa fase aumenta potentemente la spinta dell’individuo a vedere e sperimentare cose nuove: questo ha una funzione anche evolutiva (senza la spinta a uscire dal nucleo famigliare, la famiglia stessa rischierebbe di ripiegarsi su sé stessa, evitando di fatto di compiere quei “salti” evolutivi che sono alla base della buona riuscita dell’evoluzione della specie umana, che per evolvere bene deve mischiarsi). Inoltre, lo sviluppo cerebrale porta il ragazzo a complessificare il suo stesso pensiero, in grado ora di astrarre e mettere in discussione le cose, approfondendole. Sono anni, Siegel ci spiega, di grande maturazione intellettuale e di maggiore consapevolezza, pur sempre però minacciata dal senso di confusione e di diffusione identitaria che con sé porta. Per questo resta così importante la “presenza” di figure stabili che traghettino, come “sacerdoti del passaggio”, il ragazzo verso uno stato di maggiore fermezza identitaria. In adolescenza è forte lo scollamento tra quello che il/la ragazzo/a dice di volere, e quello di cui invece ha bisogno. Assecondare le spinte di un adolescente senza mettergli limiti, è lasciarlo in balìa di sé stesso, perso in una libertà sconfinata che è solo caos. Siegel mette l’accento sul fatto che, in ogni caso, in questa fase resta forte il bisogno di accudimento e di “guida” da parte di persone autorevoli, nel mare della complessità di una fase di transizione così delicata per l’individuo che la vive.

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16 October 2018

TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE

di Luca Proietti

Dalla Relazione del Professor  Alessandro Padovani dal titolo “ La depressione nei pazienti con Demenza: dalla diagnosi al trattamento quali aspetti clinici considerare ?” al Congresso  “La depressione nelle patologie neurologiche: evidenze e real life”, Milano, 9 Maggio 2018

Abbiamo appurato, nel post precedente, che la depressione nell’anziano va trattata con l’obiettivo di una remissione, anche quando ci troviamo di fronte a una comorbidità con una demenza neurodegenerativa. Quali sono allora le indicazioni terapeutiche supportate dalle evidenze?

Per trattare la depressione nell’anziano come primo farmaco in genere potrebbe essere scelto un SSRI: tra i più tollerabili per questi pazienti vi sono il Citalopram e la Sertralina, in ogni caso è da tener presente l’adagio “start low and go slow”, parti basso e vai piano.

Nel caso in cui la risposta al trattamento non sia efficace abbiamo di fronte tre diverse alternative:

  • Lo Switch:  il passaggio ad un altro farmaco antidepressivo della stessa o diversa classe
  • L’Augmentation o Add-on: l’aggiunta al trattamento in atto di un farmaco di un’altra categoria (antipsicotici, stabilizzatori dell’umore): questi potenziano l’effetto degli antidepressivi, ma non sono usati da soli nella terapia della depressione.
  • La Combinazione: l’uso sinergico di due antidepressivi, con diverso meccanismo d’azione, utilizzati  anche singolarmente nel trattamento della depressione.

Quando intraprendiamo una di queste tre strade dobbiamo ricordare l’adagio citato poc’anzi, ma con un’aggiunta: “start low, go slow, but go all the way”:  in caso di mancata risposta alla terapia, anche se il paziente è anziano, quando le condizioni mediche lo consentono è importante che il trattamento venga portato fino al dosaggio massimo, se ben tollerato. (Karp & Reynolds, 2004)

Prendiamo come esempio la Duloxetina, che è un antidepressivo con azione duale, cioè potenzia il tono noradrenergico e serotoninergico tramite l’inibizione della ricaptazione di questi neurotrasmettiori; il suo dosaggio massimo è di 120 mg/die. Dosi di Duloxetina fino a 120 mg al giorno si sono rivelate efficaci e ben tollerate per il trattamento della depressione in anziani che non rispondevano a inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) . (Karp et al., 2008)

Recentemente è entrata in commercio la Vortioxetina, un farmaco antidepressivo che presenta un’ azione multimodale cioè agonista sul alcuni recettori e antagonista su altri; presenta un buon profilo di tollerabilità e sembra migliorare i deficit cognitivi nell’anziano indipendentemente dall’effetto sulla sintomatologia depressiva (Stahl, 2016).

N.B. alcuni dosaggi in Italia non sono approvati per pazienti sopra i 65 anni ad esempio: Escitalopram max 10mg/die per; Bupropione 300 mg/die; Citalopram 20 mg/die, (da foglietto illustrativo).

DUNQUE SWITCH, AUGMENTATION O COMBINAZIONE ?

Risposta parziale → Augmentation

Nessuna risposta → Switch o combinazione

AUGMENTATION O ADD-ON

Quando vi è stata una risposta solo parziale alla terapia antidepressiva per potenziarla è indicato associare in augmentation un altro principio attivo alla terapia antidepressiva (Karp et al., 2004). La letteratura riporta principi attivi di prima e seconda linea da associare in Augmentation con due livelli differenti di evidenza:  livello 1:più sopportato; livello 2:con meno evidenze.

Trattamenti di prima linea:

  • Litio 150–400 mg/die  con dosaggio ematico (litiemia) a 0.3–0.5 (livello 1)
  • Aripiprazolo a basso dosaggio (livello 1)
  • Olanzapina a basso dosaggio   (livello 1)
  • Risperidone a basso dosaggio  (livello 2)

Trattamenti di seconda  linea:

  • Olio di pesce ricco di omega 3 (livello 1)
  • Quetiapina (livello 2)
  • Ormone tiroideo controindicato nei cardiopatici (livello 2)
  • Psicoterapia Interpersonale (IPT) e cognitivo comportamentale (CBT) (livello 2)

Trattamenti di seconda  linea:

  • Buspirone (livello 2)
  • Modafinil (livello 2)
  • Folati (livello 2)

SWITCH

Una volta prescritto un SSRI a dosaggio efficace, se non vi è stata alcuna risposta è indicato lo switch: il trattamento di seconda linea prevederebbe l’utilizzo di un altro SSRI o duloxetina o vortioxetina, per poi passare ad un altro tipo di antidepressivo (Venlafaxina,NAsSa,NDRI) in caso di mancata risposta.   (Karp & Reynolds, 2004)

Le indicazioni sono le seguenti:

  • Mirtazapina (max 30-45/die) se abbiamo sintomatologia caratterizzata da insonnia, ansia e  iporessia, anche utilizzabile in combinazione a 15-30 mg/die.
  • Bupropione (max 300-400 mg/die) se prevale sintomatologia con rallentamento psicomotorio o apatia
  • Venlafaxina (max 300-400 mg/die) se la sintomatologia è caratterizzata da aspetti più di tipo melanconico (anedonia, risveglio precoce, angoscia depressiva, sentimenti di colpa). In questo caso se non si verifica risposta alla venlafaxina si può passare a:
    • Antidepressivi Triciclici (Notriptillina max 75-150 mg/die)
    • Inibitori delle MAO (Fenelzina max 30-75 mg/die) se è presente anche sintomatologia depressiva atipica (Ipersonnia, iperfagia).

COMBINAZIONE

Combinare due antidepressivi con diverso meccanismo d’azione rappresenta un’opzione da percorrere con cautela nell’anziano: le strategie di switch o augmentation risultano infatti più sicure e comunque efficaci. Con la combinazione infatti si aumentano le possibili interazioni farmacologiche in una terapia che spesso è già una politerapia.

Nel caso in cui le strategie di Switch e Add-on siano risultate inefficaci è possibile tentare una terapia con combinazione, prestando particolare attenzione alle seguenti associazioni:  gli SSRI aumentano i livelli ematici degli antidepressivi Triciclici, l’associazione di Bupropione e Paroxetina può aumentare il rischio di cadute. Sono particolarmente utilizzate associazioni con SSRI/SNRI e Mirtazapina, o SNRI/SSRI con Bupropione (Lam et al., 2009).

BIBLIOGRAFIA

Karp J & Reynolds 3rd C, Pharmacotherapy of Depression in the Elderly: Achieving and Maintaining Optimal Outcomes, Primary Psychiatry. 2004;11(5):37-46

Karp J, Whyte E, Lenze E, Dew M, Begley A, Miller M, Reynolds 3rd C, Rescue pharmacotherapy with duloxetine for selective serotonin reuptake inhibitor nonresponders in late-life depression: outcome and tolerability. J Clin Psychiatry. 2008 Mar;69(3):457-63.

Lam R, Kennedy S, Grigoriadis S, McIntyre R, Milev R, Ramasubbu R, Parikh S, Patten S, Ravindran A, Canadian Network for Mood and Anxiety Treatments (CANMAT) Clinical guidelines for the management of major depressive disorder in adults. III. Pharmacotherap, Journal of Affective Disorders 2009, 117 S26–S43

Stahl S., Neuro Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscienti?che e applicazioni pratiche, Edi-ermes, Bologna, 2016

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9 October 2018

Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit

di Luca Proietti

Una società di nome Cambridge analytica avrebbe utilizzato dati sensibili, ricavati dagli utenti di Facebook, per costruire annunci pubblicitari personalizzati e adattati al profilo psicologico e personologico di ogni utente. Ecco svelata una delle armi di persuasione dietro alla vittoria  di Trump e al fenomeno Brexit.

Per costruire annunci personalizzati è stato utilizzato un algoritmo di microtargeting comportamentale, ideato da un ricercatore in psicologia, Michal Kosinski. Secondo l’autore è sufficiente conoscere 70 “Mi piace” espressi su Facebook da un utente per sapere più cose sulla sua personalità di quante ne sanno i suoi amici, 150 per saperne più dei suoi genitori, 300 per saperne più del suo partner, oltre i 300 “Mi piace” si arriverebbe a conoscere la personalità di un utente meglio di quanto possa fare egli stesso.

Alcune fonti, tra cui il New York Times e il Guardian, affermano che la società Cambridge Analitica avrebbe utilizzato tale algoritmo, senza il consenso degli utenti, per promuovere la campagna elettorale di Trump e orientare il volere del popolo britannico a favore della Brexit. Gli annunci delle campagne dei due eventi sui social network venivano differenziati e personalizzati per far presa sulle diverse caratteristiche psicologiche dei diversi utenti.

Nella campagna pro-Trump, ad esempio, a coloro che l’algoritmo individuava come amanti della tradizione, erano indirizzati annunci con immagini di un padre che insegnava al figlio a cacciare; a coloro che venivano individuati come preoccupati per la sicurezza erano indirizzati contenuti che indicavano Trump come garante della sicurezza; a chi era percepito come emotivamente stabile venivano prefigurate l’insicurezza e i pericoli derivanti da una vittoria degli avversari politici di Trump.

Nel 2013 Kosisnki, Stillwell e Graepel hanno pubblicato l’articolo “Private traits and attributes are predictable from digital records of human behavior”, sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, in cui spiegano come sia possibile predire caratteristiche psicologiche e demografiche di un utente sulla base dei Likes che questo ha espresso su Facebook.

Il campione di dati analizzato proveniva da 58.000 volontari, di cui erano noti i “Mi piace” espressi su Facebook: per il 50% degli utenti si disponeva di almeno 100 like e per il 20%  di almeno 250. La media era di 68 like per utente con un valore massimo 700 like a testa e minimo di 1. I “Like” espressi sono stati utilizzati per predire con molta sensibilità attributi personali degli utenti quali orientamento sessuale, etnia, religiosità, orientamento politico, tratti di personalità, separazioni genitoriali, età e genere.
Limitando l’analisi ai 500 individui di cui si disponevano almeno 300 Like a testa, aumentava la precisione della predizione a scapito della quantità delle informazioni.

La validità delle predizioni è stata misurata confrontando poi i risultati ottenuti con quelli di test psicometrici (Big Five, matrici di Raven, soddisfazione della qualità di vita) e con i dati demografici degli utenti. Sono state studiate variabili di due tipi: quelle dicotomiche che prevedevano cioè due opzioni maschio/femmina, repubblicano/democratico; e quelle numeriche come età, soddisfazione della propria vita etc.

Per le variabili dicotomiche il modello statistico costruito ha permesso di determinare correttamente l’orientamento sessuale nel 88% dei casi, distinguere tra americani di origine caucasica e africana nel 95%, e tra democratici e repubblicani nel 85% , lo status relazionale e l’abuso di sostanze tra il 73% e il 68%. Ad esempio esprimere “Mi piace” per contenuti riguardanti preoccupazioni sulla stabilità e la fedeltà nelle relazioni individuava nel 60% dei casi utenti che prima dei 21 anni avevano subito una separazione genitoriale.

Per quanto riguarda le variabili numeriche la più alta accuratezza è stata raggiunta con la predizione dell’età (valore di correlazione del 0.75).  Gli autori hanno analizzato anche i tratti psicologici latenti, cioè quelle caratteristiche psicologiche che non possono essere misurate direttamente, il cui valore può essere misurato solo con test psicologici appositi come ad esempio estroversione, stabilità emotiva, coscienziosità, etc. La predizione con i Like nel valutare i tratti di apertura ed estroversione ha raggiunto quasi la stessa precisione dei test psicometrici, è risultata invece meno precisa nei confronti di altri tratti.

Basta fare attenzione ai mi piace che si mettono per evitare di essere profilati, direte voi. Invece non è sufficiente. Infatti l’algoritmo non utilizza tanto i Like espressi per contenuti che possano indicare esplicite preferenze come (ad es. associazioni omosessuali piuttosto che religiose), quanto quelli espressi per contenuti meno espliciti ma più popolari, come preferenze musicali, o per serie tv, che esprimiamo in maniera più spontanea e meno accorta.

Oltre che con i Like, è possibile predire attributi e caratteristiche personali anche con la cronologia delle ricerche, dei siti visitati e degli acquisti on-Line. Questi dati ad esempio possono essere utilizzati per personalizzare e adattare sempre più la pubblicità di prodotti alla psicologia del consumatore. Così per pubblicizzare polizze assicurative potremmo enfatizzare la sicurezza negli annunci indirizzati a persone che patiscono emotivamente l’instabilità, e al contrario stressare sulle possibili minacce o rischi quando l’annuncio è indirizzato a persone emotivamente stabili.

I ricercatori concludono ricordandoci che questo algoritmo può potenziare e aprire nuovi orizzonti alla ricerca in psicologia, ma nelle mani sbagliate può diventare pericoloso per la riservatezza delle persone.  Può infatti essere utilizzato per ottenere dati riservati da un largo numero di persone senza il loro consenso, come è avvenuto con la società Cambridge Analytica. Come abbiamo visto non è infatti sufficiente fare attenzione ai Like che mettiamo su contenuti che indicano preferenze esplicite, come ad esempio il nostro orientamento politico, perché l’algoritmo carpisce informazioni in tal senso dai Like su contenuti non espliciti.

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4 October 2018

L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche?

di Luca Proietti

Due studi di un gruppo italiano dimostrano come sia possibile ottenere una risposta terapeutica placebo anche in malattie neurodegenerative come il Parkinson,  in queste condizioni risulterebbe fondamentale il meccanismo del condizionamento. Questi risultati potrebbero avere importanti implicazioni per i protocolli terapeutici di questa malattia e in generale per tutti i trial clinici randomizzati.

L’effetto placebo è il complesso fenomeno psicobiologico per cui la convinzione di ricevere un trattamento benefico può provocare reali effetti terapeutici. Generalmente si associa l’effetto placebo alla somministrazione di pillole inerti, fisicamente uguali al farmaco ma senza il principio farmacologicamente attivo. Più correttamente, come abbiamo visto nell’articolo precedente, anche il contesto esterno (ambiente, relazione medico paziente, tipo di comunicazione) e quello interno (credenze personali, ricordi associati ai trattamenti pregressi, tratti psicologici, variabili genetiche, speranze nei confronti della procedura terapeutica) producono risposte placebo.  Quando somministriamo un principio farmacologicamente attivo, il suo reale impatto terapeutico è dato quindi dalla somma degli effetti specifici della sostanza (effetto specifico) e dall’effetto placebo veicolato dalle credenze del paziente (effetto aspecifico).

L’effetto placebo è mediato da due meccanismi: l’aspettativa positiva e il condizionamento. Il primo riguarda la convinzione da parte del paziente che il trattamento arrecherà beneficio. Il secondo, inconscio, indica il processo per cui somministrando con costanza un principio attivo, abitueremo il soggetto a sperimentare benefici effetti terapeutici in concomitanza con l’assunzione del farmaco; così la successiva somministrazione di una pillola inerte, ma fisicamente uguale al farmaco abituale, causerà gli stessi effetti benefici abituali.

Studi funzionali molecolari e di neuroimaging del sistema nervoso hanno dimostrato che all’effetto placebo corrisponde l’attivazione di vie neurobiologiche e recettori, in maniera analoga a quanto avviene con i farmaci. Uno degli aspetti più sorprendenti è che l’effetto placebo ha importanti implicazioni non solo nei disturbi della sfera psichica (ansia e depressione) o psicosomatica (percezione del dolore)  ma anche in patologie neurodegenerative come il Morbo di Parkinson. In questa malattia si osserva una degenerazione, tra gli altri, dei neuroni che rilasciano dopamina (DA) in formazioni cerebrali profonde chiamate nuclei della Base, (in particolare nuclei del Corpo Striato); la carenza di DA è responsabile di molti dei sintomi motori, psichici e neurologici della malattia.

Studi hanno dimostrato che l’effetto placebo può aumentare il rilascio di DA nello Striato nei malati di Parkinson, modificando l’attività dei nuclei della Base e di un nucleo cerebrale (n. Subtalamico); l’equipe del Professor Benedetti dell’università di Torino,  ha evidenziato che nella malattia di Parkinson con l’effetto placebo si può temporaneamente ripristinare il funzionamento di questi complessi circuiti neuronali, causando miglioramenti clinici apprezzabili dei sintomi (Benedetti et al., 2009). In questo lavoro sono stati reclutati pazienti in attesa di intervento di impianto di elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda per il M. di Parkinson. Ad alcuni pazienti non è stato somministrato nessun trattamento farmacologico (primo gruppo), mentre gli altri sono condizionati per alcuni giorni con iniezioni di apomorfina sottocutanea (secondo e terzo gruppo). L’apomorfina è un farmaco antiparkisoniano che potenzia la trasmissione dopaminergica, stimolando i recettori dopaminergici dei neuroni, migliorando i tipici sintomi motori del M. di Parkinson come rigidità, lentezza nei movimenti, tremori. Subito prima dell’intervento al secondo gruppo è stata somministrata un’iniezione sottocutanea di soluzione fisiologica (soluzione inerte) con associata la suggestione di star ricevendo Apomorfina, mentre il terzo gruppo ha ricevuto un’iniezione sottocutanea di Apomorfina.

Sono state quindi misurate l’attività elettrica dei neuroni dei N. della Base e del N. Subtalamico, il miglioramento soggettivo riferito dal paziente e la sintomatologia oggettiva (rigidità) dei pazienti.  Quest’ultima è stata valutata da un neurologo, all’oscuro del gruppo di appartenenza del paziente, tramite una scala apposita (UPDRS).

La somministrazione del placebo (soluzione salina) ha causato riduzione della rigidità, e un temporaneo ripristino dell’attività elettrica di scarica dei neuroni studiati: ri-attivazione dei nuclei ipoattivati  dalla M. di parkinson (N. Talamici motori: Ventrale anteriore e Ventrale antero-laterale), e inibizione di quelli iperattivati dalla malattia (Sostanza Nera Reticolata e N. Subtalamico), analogamente a quanto avviene con l’apomorfina. L’entità della riduzione della rigidità risultava proporzionale all’intensità della risposta elettrica dei neuroni, a riprova del fatto che all’efficacia clinica del placebo (rigidità muscolare) è sottesa una reale risposta neurobiologica (attività neuronale).

Quanto dura e quanto ci mette ad agire l’effetto placebo nel Parkinson ?

In questi pazienti l’effetto placebo ha dimostrato la sua massima risposta clinica e neurofisiologica dopo 15 minuti, cioè lo stesso tempo di azione dell’apomorfina, tuttavia la durata dei benefici del placebo è minore, poiché esso termina in circa 45 min.

Questo studio ci mostra come un trattamento placebo, caratterizzato da una suggestione verbale di un miglioramento clinico possa ripristinare, anche se solo per poco tempo, un circuito neurobiologico danneggiato da una malattia neurodegenerativa come il Parkinson. Ha inoltre evidenze importanti sia per la farmacoterapia che per la psicoterapia. Si potrebbero infatti studiare protocolli che prevedano la riduzione del dosaggio farmacologico, con minori gli effetti collaterali, a parità di efficacia clinica.

Uno studio più recente dello stesso gruppo ha cercato di rispondere alla domanda se sia possibile ottenere anche senza un pre-condizionamento, ad esempio solo tramite suggestioni verbali, una risposta clinica per effetto placebo. Sembrerebbe di no: nel M. Parkinson l’effetto placebo si verificherebbe solo dopo procedure di precondizionamento con farmaci attivi, la sola aspettativa positiva con la somministrazione di un trattamento inerte non ha prodotto infatti alcun effetto terapeutico. (Frisaldi et al., 2017).

Questi lavori chiariscono i meccanismi della risposta placebo nel Parkinson, e in generale  mostrano che sottoporre pazienti a un trattamento attivo prima di somministrazione di placebo, come avviene in trial clinici randomizzati (RCT), aumenta la portata dell’effetto placebo.

BIBLIOGRAFIA

Frisaldi, Carlino, Zibetti, Barbiani, Dematteis, Lanotte, Lopiano, Benedetti, The placebo effect in Bradykinesia in Parkinson’s disease With and without prior drug conditioning, Movement Disorder, 2017.

Benedetti, Lanotte, Colloca, Ducati, Zibetti, Lopiano, Electrophysiological properties of thalamic, subthalamic and nigral neurons during the anti-parkinsonian placebo response, Journal of Physiology 2009.

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2 October 2018

I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS

di Matteo Respino

Il recente approccio allo studio delle malattie mentali chiamato Research Domain Criteria (RDoC), del National Institute of Mental Health (NIMH), si pone come obiettivo di sviluppare nuove modalità di classificazione delle malattie mentali a partire da dimensioni comportamentali osservabili e marker neurobiologici. Per quanto tale approccio sia certamente innovativo e molto promettente, presenta alcuni limiti che è opportuno tenere presente.

Josef Parnas riassume tali limiti in un articolo del 2014, pubblicato su World Psychiatry, che titola “The RDoC program: psychiatry without psyche?” . Ecco una sintesi delle osservazioni proposte dall’Autore:

  • Per quanto l’RDoC in una certa misura miri a superare la “riduzione” operazionalistica effettuata dal processo di diagnosi categoriale del DSM, allo stesso tempo introduce un diverso tipo di riduzionismo – anch’esso considerato dall’Autore come, in sostanza, neurocentrico. Nello specifico, un riduzionismo “type-type” che consiste nell’ identificare “componenti” (o dimensioni) della vita mentale con “componenti” o “tipi” di attività neurale.
  • In un certo senso, operando tale identificazione l’obiettivo implicito (in effetti, nemmeno poi tanto implicito) è quello di superare la (necessità della) fenomenologia descrittiva. L’Autore sostiene che in realtà, per quanto innovativo, anche l’RDoC non consentirà però di superare il cosiddetto explanatory gap, o hard problem of consciousness, ovvero il problema che gli oggetti della psichiatria sono fondamentalmente esperienze soggettive e non “things”, “cose”. [Rimandiamo ad un altro articolo dell’autore sull’argomento]
  • L’Autore sostiene che questo approccio potrebbe avere un effetto controproducente sulla ricerca empirica, poichè l’ipersemplificazione di stampo comportamentale delle dimensioni mentali, in assenza di un adeguato contesto descrittivo dei fenomeni in studio, rischia di “fare di tutta l’erba un fascio” e fondamentalmente di perdere quell’accuratezza che dovrebbe/potrebbe guidare i processi della ricerca empirica.
  • In conclusione l’Autore mette in guardia dal rischio implicito nel perseguire una strada fondata sulla reificazione dell’esperienza soggettiva. Ci potremmo ritrovare con quella che Jaspers definiva una “psichiatria senza psiche”, situazione che metterebbe a rischio l’esistenza stessa della psichiatria in quanto disciplina accademica.

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28 September 2018

COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE?

di Raffaele Avico

La nostra attenzione procede per mezzo di continui riorientamenti: in termini attentivi siamo manipolati da ciò che ci attira di più, o che riteniamo conveniente, a partire da un criterio di selezione degli stimoli ambientiali che cambia, in noi, con il procedere del tempo e a partire da molti fattori.

La “risposta di orientamento”, che struttura la nostra attenzione,  ha una natura duplice: manifesta e implicita.

  1. La risposta di orientamento manifesta è costituita da un nostro tendere “esteriore” verso un determinato stimolo, per mezzo in primis dello guardo, poi del volto, infine del corpo in tutte le sue parti. Nel corso della crescita, avviene un percorso di maturazione cerebrale che ci consente di applicare dei filtri in qualche modo costituiti da quelli che sono i nostri valori, le identificazioni al punto di vista di altri per noi significativi, le griglie con cui osserviamo la realtà: questo processo è un processo top-down, che cioè parte dal cervello e ricade sul corpo, che agisce di conseguenza
  2. La risposta di orientamento invece implicita, è costituita dallo spostamento della nostra attenzione “interiore”, che ci consente, per esempio, di prestare mentalmente attenzione alle reazioni di un nostro partner mentre guardiamo un film: un fenomeno totalmente invisibile agli occhi di un osservatore esterno che ci stesse guardando. Questa risposta è maggiormente in balìa delle risposte automatiche del sistema nervoso: è la prima a focalizzarsi su un potenziale pericolo, la prima a “notare” che qualcosa non va.

Le due tipologie di orientamento, in condizioni ottimali, convergono. Quando riusciamo a focalizzare sia esteriormente, ma anche interiormente, la nostra attenzione su qualcosa, possiamo goderne pienamente l’esperienza. Sono interessanti gli studi sul “flow”, quello stato mentale di piena concentrazione -estremamente ricercato dagli sportivi -in cui la mente è iperfocalizzata sul presente e ciò che si sta facendo. In condizioni di sicurezza e tranquillità, tendenzialmente riusciamo a godere del presente grazie a un’attenzione ben focalizzata sia esteriormente che “dentro” di noi.

DOPO UN TRAUMA

Chi ha subito un trauma, tuttavia, vive profonde difficoltà di concentrazione e di permanenza nel momento presente. In che modo avviene questo?

Chi sperimenta un PTSD vive una difficoltà di sincronizzazione nelle due risposte di orientamento. Quello che succede, è che nel momento in cui si stia sperimentando una certa situazione “esteriore”, la risposta implicita di orientamento è segretamente allertata verso i possibili indizi che l’individuo collega al trauma. Questi indizi, i “trigger”, possono essere rappresentati sia da memorie di per sé (che tornano a fare capolino alla coscienza), che da eventi o particolari dell’ambiente esterno, che assumono  valore di minaccia.

Ecco quindi verificarsi uno scollamento e una divergenza tra i due focus attentivi: la persona è nel presente, ma in qualche modo è lontana, poiché la sua attenzione implicita è mobilitata nella ricerca di possibili stimoli minacciosi.

Questo atteggiamento è frequentissimo in chi soffre di PTSD, anche non necessariamente collegato a gravi traumi. A volte basta una discussione forte con una persona a cui teniamo, o un senso di profondo disagio sperimentato in un contesto a cui non sentiamo di appartenere, per produrci delle forme molto lievi, ma subdole, di stress post-traumatico. Il mobbing sul posto di lavoro, per esempio, porta con sé molte di queste dinamiche.

La permanenza nel presente è dunque sacrificata, i questi casi, sull’altare del bisogno di sicurezza: solo gli stimoli rassicuranti o minacciosi verranno notati e presi in considerazione dall’attenzione selettiva “interna”, compromessa dall’esperienza del trauma.

Si verifica in questi casi un “restringimento” del campo della coscienza, dato che, se all’apparenza per la persona è ancora possibile dedicarsi a un compito cognitivo esterno, la sua attenzione interiore (governata da risposte riflesse e non filtrate da un ragionamento cosciente -per questo si parla di “riflesso di orientamento”, studiato storicamente sugli animali già da Pavlov) sarà focalizzata e chiusa dagli schemi connessi al vissuto traumatico.

Si osserva inoltre una certa tendenza della persona a “ritornare” al trauma, come in modo compulsivo, con l’attenzione: questo aspetto il cui meccanismo non è totalmente chiaro (come mai non riusciamo a lasciarci scorrere addosso, semplicemente, la memoria del trauma?), diviene anch’esso altamente invalidante.

Nel libro di Pat Odgen Il trauma e il corpo, vengono descritti nel dettaglio questi aspetti: essendo la risposta di orientamento implicita un processo bottom-up, viene consigliato, per il trattamento, un utilizzo di strategie di sensorymotor, quindi non basate sul dialogo. Per un paziente con PTSD cronicizzato, è più importante fare un lavoro di esplorazione di questi meccanismi, portandoli alla luce soprattutto nei risvolti “incarnati” (quali sono le sue tendenze di evitamento, quali le reazioni somatiche, il senso di minaccia e la tachicardia, l’alterazione del respiro, la difficoltà nel gestire il contatto oculare, per esempio), che non impostare il lavoro solamente sull’uso della parola, spesso insufficiente.

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17 September 2018

SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini

di Raffaele Avico

Lo studio sul tema delle appartenenze, storicamente afferente alle discipline antropologiche e sociologiche, ha recentemente trovato spazio all’interno dello studio, più ampio, relativo ai Sistemi Motivazionali Interpersonali approfonditi dalla letteratura psicologica nella sua deriva più evoluzionistica. I Sistemi Motivazionali Interpersonali (SMI) sono stati definiti “tendenze innate all’azione” negli umani, che rispondono a precisi mandati evolutivi: sono stati rintracciati dagli psicologi evoluzionisti 5 pattern emotivo-comportamentali presenti nella specie umana, indipendentemente dalla cultura di riferimento: attaccamento, accudimento, cooperazione tra pari, sessualità e agonismo ritualizzato.

L’osservazione e l’isolamento in pattern specifici dei SMI è stata possibile a partire dall’osservazione etologica del regno animale, all’interno del quale furono originariamente osservate suddette dinamiche relazionali tra conspecifici, l’individuazione e l’analisi delle quali è stata successivamente estesa alle relazioni intercorrenti fra esseri umani (Liotti, 2001)

I Sistemi Motivazionali Interpersonali rispondono a mandati evolutivi specifici:

  • Il sistema di attaccamento si attiva in reazione a una sorta di mandato implicito e ancestrale che suggerisce di affidare le proprie speranze di sopravvivenza a un conspecifico biologicamente più attrezzato per fronteggiare situazioni di pericolo.
  • Il sistema di accudimento risponde invece a un mandato evolutivo che suggerisce di prendere in carico conspecifici più deboli da affiliare e proteggere al fine di garantirne la sopravvivenza.
  • Il sistema relativo alla sessualità risponde al mandato evolutivo riproduttivo.
  • Quello agonistico consente la strutturazione di branchi con ranghi specifici, facilitando la coesistenza dei conspecifici e conferendo ordine al caos dello “stato di natura”.
  • Infine, quello cooperativo, filogeneticamente parlando più recente ed evoluto, consente ai conspecifici di pianificare una gestione condivisa delle risorse, finalizzata a ottenere risultati il cui conseguimento risulterebbe impossibile al singolo individuo.

É stato osservato che negli umani il successo dei pattern emotivo-comportamentali applicati in risposta ai vari SMI si traduce nella sperimentazione, da parte degli individui i cui comportamenti sono regolati da suddetti pattern, di emozioni positive e di un generale benessere corporeo, mediato da un assetto neurofisiologico ottimale.

In altre parole, la regolare ed efficace azione dei vari SMI sul comportamento di un individuo scatena, nell’individuo medesimo, una liberazione di endorfine che concorre a procurare uno stato di benessere tanto corporeo quanto emotivo e intellettuale. Al contrario, qualora i mandati espressi dai SMI risultassero disattesi, è stata osservata nell’individuo la presenza di disagio psichico e sofferenza in varie forme nel cui novero si collocano, ad esempio, la paura che investe un bambino privo di una figura genitoriale o quantomeno di un adulto disposto a proteggerlo cui indirizzare il proprio bisogno di attaccamento, o il turbamento di un adulto insensibile al richiamo dell’accudimento, ovvero incapace di prendersi cura di un bambino, o ancora il disagio di un adulto che fatichi a entrare in competizione con conspecifici adulti per l’accesso a una qualche risorsa limitata.

La letteratura a riguardo dei SMI è ampia e approfondita; recentemente ci si è chiesti se la questione del senso di appartenenza a un branco – inteso, per gli umani, non tanto come branco in senso animale, ma come “territorio mentale”, concetto che estende il senso di appartenenza al di là del gruppo di conspecifici, ovvero a un “territorio” o “spazio” in cui situare la propria appartenenza simbolica (che si tratti di appartenenza religiosa, o intellettuale, politica, ecc.)-, non possa essere inclusa all’interno della questione inerente i Sistemi Motivazionali Interpersonali (Jay J. Van Bavel, J. K. Swencionis, R. C. O’Connor, William A. Cunningham., 2012)

Il senso di appartenenza, in primo luogo, è riscontrabile in tutte le culture e all’interno delle specie dotate di cervello limbico (aventi natura di “animale sociale”); esso pare garantire un senso di protezione dai predatori e, soprattutto, fornire una tale rassicurazione in termini di conferimento di senso e significato alle azioni del singolo individuo che ci si è chiesti se il “mandato di appartenere” non sia innato e necessario all’umano per il mantenimento di una buona salute psichica e di un generale senso di benessere (J. Schuler, V. Job, S. M. Frohlich, V. Brandstatter, 2008; Kaesornsamut, Phuangphet, Sitthimongkol, Yajai, Williams, Reg Arthur, Sangon, Sopin, Rohitsuk, Wajjanin, Vorapongsathron, Thavatchai, 2012; L. Turner, S. Mclaren, 2011).

Il tema del conferimento di senso e significato alle azioni del singolo individuo appare particolarmente rilevante considerando come l’appartenenza a una qualunque sub-cultura (che si tratti di un gruppo amicale, politico, religioso, culturale, ecc.) conferisca dignità ontologica al complesso di atti, abitudini, riti e usanze che a quella stessa cultura fanno riferimento, mettendo in atto i quali il singolo ricalca e solidifica la sua identità. L’appartenenza sembra dunque avere –aspetto, quest’ultimo, già ampiamente indagato dalle discipline antropologiche e sociologiche– , ripercussioni sulla costruzione dell’identità individuale (Swann Jr., Gömez, Jetten,Whitehouse, Bastian, 2012).

TEMI DI VITA

A riguardo invece dei temi di vita, questi sono stati indagati nel contesto dello studio della psicologia narrativa, disciplina nata dall’incontro tra la psicologia e la narratologia e potentemente promossa dal lavoro clinico e teorico di J. Bruner (Bruner, 2002), secondo il quale la mente si nutre di narrazioni, pertanto, un individuo che non riesca a creare un quadro narrativamente coerente della propria storia, sarà perso in un sofferto eterno presente, privo di senso e significato in quanto “interrotto”. Gli studi di Bruner hanno fornito prezioso materiale clinico alla ricerca inerente la psicologia narrativa.

Il pensiero narrativo, così nei bambini –la cui partecipazione psicologica alle storie narrate si attiva a prescindere dalla comprensione logica delle stesse– come negli adulti, sembra essere di vitale importanza per la strutturazione coerente di un’identità e un senso solido di sé.

I temi di vita sono nello specifico potenti “attrattori” di narrazioni, presenti in modo trasversale in tutte le culture, e resistenti nel tempo. Sono tematiche intorno alle quali, narratologicamente parlando, si sono concentrate nella storia innumerevoli questioni letterario/filosofiche, esistenziali e di ricerca, al di là del contesto e della cultura di riferimento, dacché si ipotizza che tali temi siano problematici in un’accezione nucleare, ovvero che la comprensione delle loro implicazioni sul vissuto personale risulti di vitale importanza. Essi sono: l’amore, il valore, la libertà, la verità, la giustizia e il potere (ai quali a volte viene incluso il tema della morte, spesso però considerato trasversale e congiunto agli altri temi in una sorta di servo-meccanismo).

A livello psicoterapeutico lavorare sui temi critici significa esplorare le convinzioni e i significati attribuiti dal paziente a ognuno di essi, per capire dove possano esserci nodi problematici, rigidità o bias cognitivi che possano essere discussi e approfonditi in sede di terapia.

L’articolo di recente pubblicazione, di Fabio Veglia e Giulia di Fini, approfondisce ed esplica, in modo dettagliato, la questione inerente i Temi di Vita: ve ne consigliamo vivamente la lettura.

Bibliografia

  • Julia Schuler, Veronika Job, Stephanie M. Frohlich, Veronika Brandstatter, 2008, A high implicit affiliation motive does not always make you happy. A corresponding explicit motive and corresponding behavior are further needed, Motivation and Emotion 01/2008
  • Kaesornsamut, Phuangphet; Sitthimongkol, Yajai; Williams, Reg Arthur; Sangon, Sopin; Rohitsuk, Wajjanin; Vorapongsathron, Thavatchai, Effectiveness of the BAND Intervention Program on Thai Adolescents’ Sense of Belonging, Negative Thinking and Depressive Symptoms, 2012, Pacific Rim Int J Nurs Res 2012 ; 16(1) 29-47
  • Jay J. Van Bavel, Jillian K. Swencionis, Rachel C. O’Connor, William A. Cunningham, Motivated social memory: belonging needs moderate the own-group bias in face recognition, 2012, Journal of Experimental Social Psychology, Volume 48, Issue 3, May 2012, Pages 707–713
  • Turner L., Mclaren S., Social Support and Sense of Belonging as Protective Factors in the Rumination–Depressive Symptoms Relation Among Australian Women, 2011, Women Health. 2011 Mar;51(2):151-67
  • Swann Jr., Gömez, Jetten,Whitehouse, Bastian, 2012, When Group Membership Gets Personal: A Theory of Identity Fusion, Psychological Review Advance online publication. doi: 10.1037/a0028589
  • Liotti G.,2001, Le opere della coscienza: Psicopatologia e psicoterapia nella prospettiva cognitivo-evoluzionista. Milano: Raffaello Cortina Editore
  • Bruner J. S., 2002, La fabbrica delle storie, Laterza, Bari

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26 July 2018

IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori

di Raffaele Avico

Nel DSM-5 il PTSD è definito dalla coesistenza di 4 cluster sintomatologici:

  1. Riesperienza (pensieri intrusivi, flashbacks, incubi)
  2. Evitamento (deficit di memoria, senso di distacco, tentativo di evitare il pensiero di luoghi o di persone associat ial trauma, rinuncia alla socializzazione
  3. Alterazioni negative (umore, memoria, cognizione)
  4. Ipereccitabilità (tendenza a trasalire, ipervigilanza, irritabilità, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione)

In questo articolo del 2010 scritto da Ruth Lanius collaboratori, pubblicato sull’American Journal of Psychiatry, viene profilata una sotto-categoria di PTSD a partire dall’osservazione di una serie di evidenze ottenute tramite neuro-imaging su individui affetti da stress post-traumatico. Per dare forza all’ipotesi iniziale, vengono inoltre citati molteplici studi e incrociati molti dati che sembrerebbero delineare, appunto, due tipologie di PTSD.

In particolare si osservarono differenti attivazioni di aree cerebrali coinvolte nella gestione della memoria traumatica, che sembravano rispondere a diversi “stili” di PTSD: con o senza sintomi dissociativi invalidanti. Ipotizzare l’esistenza di una sotto-categoria del PTSD (quella dissociativa) in termini clinici rappresenterebbe un elemento importante per effettuare diagnosi differenziali.

Inoltre, gli sviluppi teorici relativi al PTSD che si rifanno alla teoria polivagale di Stephen Porges, sembrano corroborare la tesi che esistano due tipologie di risposta allo stress indotto dal vivere un trauma:

  1. quella “classica”, con i sintomi da PTSD canonici (iper-arousal e pensieri intrusivi ricorrenti), osservata su soggetti meno “inibiti” dall’effetto modulatore della corteccia mediale prefrontale, che nella gestione della memoria traumatica funziona da filtro (“emotional undermodulation”)
  2. quella “dissociativa”, osservata nei pazienti con maggiore inibizione limbica: in questo caso si osservava un “collassare” delle competenze cognitive, insieme a un generale impressione di “ipoarousal”. Gli autori parlano in questo caso della dissociazione come di una strategia estrema di coping:“The authors suggest that these data support the theory that dissociation is a regulatory strategy invoked to cope with extreme arousal in PTSD through hyperinhibition of limbic regions, with this strategy most active during conscious processing of threat “ (“gli autori suggeriscono che questi dati vadano a supportare  la teoria che la dissociazione sia una strategia di regolazione invocata per far fronte a un arousal estremo nel PTSD, ottenuta attraverso l’iperinibizione delle regioni limbiche -e che questa strategia di fronteggiamento sia più attiva durante un vissuto cosciente di minaccia”)

In senso neuroanatomico, si osserva in queste due modalità distinte di gestione del PTSD, una differente attivazione delle aree cerebrali che hanno l’effetto di modulare l’attivazione limbica in caso di minaccia:

  • nel PTSD non dissociativo, vi sarebbe stata una sotto-inibizione della fisiologica risposta limbica al senso di minaccia (e da qui il riproporsi del ricordo traumatico altamente intrusivo)
  • nel caso invece del sottotipo dissociativo, vi sarebbe stata una iper-inibizione della risposta limbica (e la risposta dissociativa come diretta conseguenza, con tutti i crolli cognitivi associati -memoria, attenzione, etc.).

Gli autori propongono un modello che vede diversi livelli di gravità del PTSD: Lanius, che ha anche scritto questo libro che abbiamo recensito, è d’accordo sul pensare che esista una sorta di meccanismo a “dente di sega” per cui uno stimolo traumatico viene elaborato fino a quando è possibile: il cervello se ne fa carico, ma oltre una certa soglia, vi sarebbe un collasso difensivo mediato dall’intervento “regolativo” della corteccia mediale prefrontale:

“The corticolimbic inhibition model postulates that once a threshold of anxiety is reached, the medial prefrontal cortex inhibits emotional processing in limbic structures (the amygdala), which in turn leads to a dampening of sympathetic output and reduced emotional experiencing” (il modello di ibizione cortico-limbica prevede che, quando una certa soglia di ansia venga raggiunta, la corteccia prefrontale mediale inibisca il processamento emotivo a carico delle strutture limbiche, a loro volta responsabili di un abbattimento dell’output simpatico e di un’esperienza ridotta in termini emozionali”)

In questo articolo, inoltre, vengono citati moltissimi altri lavori dove viene delineata la presenza di due tipologie distinte di PTSD, con un funzionamento simile a quello descritto, che andrebbero a corroborare l’ipotesi iniziale.

ASPETTI CLINICI

  • Per quanto riguarda il tipo non-dissociativo di PTSD, in questo articolo viene raccomandato un utilizzo prudente della terapia espositiva (verso una desensibilizzazione al ricordo del trauma).
  • Per quanto riguarda il tipo dissociativo di PTSD, la questione si fa più complessa perchè il quadro dissociativo inibisce, tra le altre cose, la possibilità di apprendere dall’esperienza secondo un modello classico di condizionamento classico (che è il cuore della terapia espositiva). Gli autori ritengono più utile in questo caso rifarsi al modello “tri-fasico” usato in ambito di psicotraumatologia, qui brevemente sintetizzato.

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12 July 2018

“ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg

di Matteo Respino

In questo breve pezzo riassumiamo i contributi di O. Kernberg alla concettualizzazione del lutto, per come descritti nell’articolo “Some Observations on the Process of Mourning”, pubblicato dallo stesso Autore sull’International Journal of Psychoanalysis nel 2010. La tesi principale è che l’elaborazione del lutto, piuttosto che una fase transitoria, sia un processo di modificazione stabile, permanente della struttura di personalità dell’individuo. Link all’articolo.

Il lutto è stato spesso studiato nel contesto di quadri patologici, come ad esempio la depressione maggiore. In medicina, tuttavia, per studiare in maniera appropriata la meccanica di un “processo” è sempre bene focalizzarsi, quantomeno inizialmente, sulla fisiologia piuttosto che sulla patologia, ovvero sulla natura di un fenomeno in condizioni di “normalità”. In questo articolo Kernberg ha approfondito il concetto di lutto nel suo sviluppo più fisiologico, sulla base di numerosi casi clinici da lui osservati. Inoltre, mentre molta letteratura sull’argomento si è focalizzata in passato su altri tipi di lutto (il lutto, ad esempio, del genitore per un bambino o viceversa), in questo caso Kernberg ha investigato le dinamiche del lutto “di coppia”. Il protagonista di questo articolo è pertanto il lutto “normale”, sperimentato da una persona sufficientemente sana, che ha perso il proprio/la propria compagna di vita.

Lasciamo il lutto patologico ad un futuro approfondimento.

In primo luogo Kernberg descrive alcuni casi clinici di persone sufficientemente sane andate incontro alla perdita della persona amata, evidenziando alcune caratteristiche fenomenologiche comuni:

  • la persistenza, a distanza anche di molti anni dalla perdita del compagno, di una relazione fantasmatica con esso; per citare l’Autore: “one man said that, 30 years after her death, he still consulted with his wife whenever it came to important decisions..” oppure “one man felt that […] there was a split between one part of himself that felt alive and one that felt as if he had crossed over into a different world to be with his lost wife”
  • la persistenza, a distanza anche di molti anni dalla perdita del compagno, di vivi sentimenti di dolore che possono emergere improvvisamente, scatenati da stimoli imprevisti, sul fondo di una tristezza “low-tone”, ovvero di lieve intensità, ma cronica e stabile
  • la convinzione che il compagno esista ancora, in qualche realtà altra, un pensiero non necessariamente legato a credenze religiose
  • nella fase acuta del lutto, fenomeni allucinatori o pseudoallucinatori sono molto comuni. Sebbene questi tendano a recedere dopo la fase acuta del lutto, la “conversazione” o “dialogo interiore” con la persona scomparsa persiste nel tempo anche a distanza di molti anni
  • l’identificazione con le componenti dell’altro che ammiriamo e/o ci mancano di più, le quali avranno un grande ruolo nella trasformazione caratterologica che il lutto normale porta con sé, e che spesso aiutano la persona a superare le fasi più critiche/dolorose del lutto stesso.

Sul lutto è stato scritto molto e qui l’Autore fa soprattutto riferimento, in ambito psicoanalitico, al lavoro di Freud in Lutto e Malinconia e a Melanie Klein con la sua descrizione di come il lutto riattivi, nel soggetto in grado di tollerarla senza regredire, la posizione depressiva.

Circa il lavoro di Freud, Kernberg ci dice che sì, è vero, avviene un processo di identificazione dell’oggetto perduto, ovvero di “modificazione della rappresentazione del Sé sotto l’influenza della rappresentazione dell’altro”. L’Autore fa però un passo in avanti, sostenendo che tale processo di identificazione è solo l’inizio di una relazione oggettuale interiore tra le due rappresentazioni del Sé che si manterranno in dialogo costante. Non solo. La natura “dolorosa” di questo processo deriverebbe proprio dalla compresenza di un’assenza reale e di una relazione oggettuale sentita come assolutamente viva.

Per quanto riguarda il lavoro della Klein, Kernberg in questo articolo enfatizza soprattutto, a partire dal concetto di posizione depressiva riattivata, il ruolo del rimorso e della conseguente riparazione. Secondo l’Autore, nel corso del lutto normale si crea un potente spinta riparativa a partire da sentimenti “sani” di colpa, come l’idea/la sensazione di non aver fatto abbastanza o di aver perso delle opportunità di condivisione. Tale sentimenti (di nuovo, in condizione di normalità) producono una potente riparazione nella forma dell’interiorizzazione di nuovi valori: avviene quindi un cambiamento strutturale del super-io.

L’Autore sostiene: “there is a growth of the motivation and capacity to relate daily life with ethical aspiration and meanings” ovvero “c’è una crescita della motivazione e della capacità di mettere in relazione la vita quotidiana a significati e aspirazioni etiche”.

In conclusione, l’Autore sostiene che il lutto normale non si limita ad essere una fase transitoria di elaborazione, della durata “classica” di 6 mesi-1 anno, ma produce piuttosto una modificazione permanente delle strutture caratterologiche dell’individuo attraverso il mantenimento di una relazione interiore con l’oggetto, l’interiorizzazione dei suoi sogni/aspettative, nonché di componenti etiche derivate dalla sua scala di valori. Nel complesso, sostiene Kernberg, un lutto normale esita in un rafforzamento della ricerca spirituale e della capacità individuale di amare.

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9 July 2018

INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO

di Raffaele Avico

La moviola, è uno strumento usato in psicoterapia cognitiva e concettualizzato da Vittorio Guidano, finalizzato a produrre una rilettura di un episodio specifico, vissuto con sofferenza dal paziente. Si svolge seguendo questo iter:

  • viene individuato un episodio singolo vissuto con disagio o sofferenza dal paziente (per esempio un brusco litigio o un’aggressione violenta vissuta con impotenza)
  • viene fatto ricordare nel dettaglio l’evento, ricostruendolo nel suo svolgersi, passo dopo passo
  • viene svolto un ABC (qui spiegato come si svolge un ABC:) per sondare i pensieri e le emozioni del paziente esperiti soggettivamente (semplicemente una ricognizione di cosa il paziente ricorda di aver pensato e sentito)
  • quindi, si chiede al paziente di immaginare che sul luogo della scena sia presente un alter-ego che osserva il “primo” sé, e gli si chiede di immaginare cosa l’alter-ego penserebbe del protagonista della scena, oppure cosa cosa gli direbbe per rassicurarlo. Oppure, gli si chiede di far dire all’alter-ego come vede il primo sé, e cosa suppone quest’ultimo stia pensando o sentendo. Questo passaggio ha la funzione di separare l’episodio dalla sua spiegazione, in modo controllato, fornendo un punto di vista esterno che spesso chi vive in prima persona l’evento, non riesce a vedere.
  • Si cerca di raccogliere l’idea del paziente su cosa direbbe, dalla posizione di oggi, al sé stesso di “allora” presente sulla scena dell’episodio.

Questo procedimento potrebbe essere sintetizzato nei termini di una progressiva ri-narrazione dell’episodio a partire da punti di vista diversi, usando quest’ordine progressivo:

  1. RICOSTRUZIONE DI SÈ COME ATTORE DELLA SCENA

  2. RICOSTRUZIONE DI SÈ COME SPETTATORE ALLORA

  3. RICOSTRUZIONE DI SÈ COME SPETTATORE OGGI

Un aspetto interessante che può allargare il campo di applicazione dello strumento della moviola, è quello inerente la possibilità di far “entrare” sulla scena dell’episodio raccontato, anche un ALTRO personaggio significativo per il paziente. Pensiamo per esempio a una madre o a un padre rassicuranti, o a un migliore amico, o un parente. Si cerca in questo modo di ampliare e restituire nuovi colori al ricordo posseduto dal paziente, e nuovi significati.

L’assunto che sta alla base di questa tecnica, è l’idea post-razionalista promossa in passato, in Italia, da Vittorio Guidano, secondo la quale la realtà è univoca, e a cambiare sono le lenti con cui la osserviamo.

Guidano lavorò molto su quelle che chiamava organizzazioni di significato (fobica, depressiva, DAP e ossessiva), a suo parere differenti “modalità” di dare significato all’esperienza e alla realtà (che rimane unica per tutti), che costituirebbero le personalità degli individui in modo ricorrente (quindi, per esempio, un commiato verrebbe ri-significato in modo diverso da una persona con organizzazione depressiva e da una invece con organizzazione fobica -un simil-abbandono nel primo caso, un “arrivederci a presto” nel secondo, e così via). Immettere nuovi punti di vista sulla scena, consentirebbe al paziente, secondo Guidano, di fuoriuscire dal suo punto di vista, spesso limitante e a volte auto-assolutorio e auto-referenziale, quando non distorto o deliroide.

Qui per un approfondimento.

Qui invece un approfondimento sul personaggio intellettuale Guidano.

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  • Introduzione al concetto di neojacksonismo 19 March 2025
  • “LE CONSEGUENZE DEL TRAUMA PSICOLOGICO”, UN LIBRO SUL PTSD 5 March 2025
  • Il ripassone. “Costrutti e paradigmi della psicoanalisi contemporanea”, di Giorgio Nespoli 20 February 2025
  • PSICOGENEALOGIA: INTRODUZIONE AL LAVORO DI ANNE ANCELIN SCHÜTZENBERGER 11 February 2025
  • Henri Ey: “Allucinazioni e delirio”, la pubblicazione in italiano per Alpes, a cura di Costanzo Frau 4 February 2025
  • IL CONVEGNO DI BOLOGNA SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (dicembre 2024) 10 January 2025
  • Hakim Bey: T.A.Z. 8 January 2025
  • L’INTEGRAZIONE IN AMBITO PSICHEDELICO – IN BREVE 3 January 2025
  • CARICO ALLOSTATICO: UN’INTRODUZIONE 19 December 2024
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI, EMOZIONI IN CLINICA, LIOTTI: UN APPROFONDIMENTO (E UN’INTERVISTA A LUCIA TOMBOLINI) 2 December 2024
  • Una buona (e completa) introduzione a Jung e allo junghismo. Intervista ad Andrea Graglia 4 November 2024
  • TRAUMA E PSICOSI: ALCUNI VIDEO DALLE “GIORNATE PSICHIATRICHE CERIGNALESI 2024” 17 October 2024
  • “LA GENERAZIONE ANSIOSA”: RECENSIONE APPROFONDITA E VALUTAZIONI 10 October 2024
  • Speciale psichedelici, a cura di Studio Aegle 7 October 2024
  • Le interviste di POPMed Talks 3 October 2024
  • Disturbi da sintomi somatici e di conversione: un approfondimento 17 September 2024
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE: IL CONGRESSO ESTD DI OTTOBRE 2024, A KATOWICE (POLONIA) 20 August 2024
  • POPMed Talks #7: Francesco Sena (speciale Art Brut) 3 August 2024
  • LA (NEONATA) SIMEPSI E UN INTERVENTO DI FABIO VILLA SULLA TERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A LOSANNA 30 July 2024
  • L'”IMAGERY RESCRIPTING” NEL PTSD 18 July 2024
  • Intervista a Francesca Belgiojoso: le fotografie in psicoterapia 1 July 2024
  • Attaccamento traumatico: facciamo chiarezza (di Andrea Zagaria) 24 June 2024
  • KNOT GARDEN (A CURA DEL CENTRO VENETO DI PSICOANALISI) 10 June 2024
  • Costanza Jesurum: un’intervista all’autrice del blog “bei zauberei”, psicoanalista junghiana e scrittrice 3 June 2024
  • LA SVIZZERA, CUORE DEL RINASCIMENTO PSICHEDELICO EUROPEO 29 May 2024
  • Un’alternativa alla psicopatologia categoriale: Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP) 9 May 2024
  • INVITO A BION 8 May 2024
  • INTERVISTA A FEDERICO SERAGNOLI: IL VIDEO 18 April 2024
  • INCONSCIO NON RIMOSSO E MEMORIA IMPLICITA: UNA RECENSIONE 9 April 2024
  • UN FREE EBOOK (SUL TRAUMA) IN COLLABORAZIONE CON VALERIO ROSSO 3 April 2024
  • GLI INCONTRI DI AISTED: LA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A GINEVRA (16 APRILE 2024) 28 March 2024
  • La teoria del ‘personaggio’ nell’opera di Antonino Ferro 21 March 2024
  • Psicoterapia assistita da psichedelici: intervista a Matteo Buonarroti 14 March 2024
  • BRESCIA, FEBBRAIO 2024: DUE ESTRATTI DALLA MASTERCLASS “VERSO UNA NUOVA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE” 27 February 2024
  • CAPIRE LA DISPNEA PSICOGENA: DA “SENZA FIATO” DI GIORGIO NARDONE 14 February 2024
  • POPMED TALKS 5 February 2024
  • NASCE L’ASSOCIAZIONE COALA (TORINO) 1 February 2024
  • Camilla Stellato: “Diventare genitori” 29 January 2024
  • Offline is the new luxury, un documentario 22 January 2024
  • MARCO ROVELLI, LA POLITICIZZAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO E UN PODCAST DI psicologia fenomenologica 10 January 2024
  • La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico) – di Emiliano Toso 8 January 2024
  • INTRODUZIONE A VIKTOR FRANKL 27 December 2023
  • UN APPROFONDIMENTO DI MAURIZIO CECCARELLI SULLA CONCEZIONE NEO-JACKSONIANA DELLE FUNZIONI MENTALI 14 December 2023
  • 3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA 12 December 2023
  • Il burnout oltre i luoghi comuni (DI RICCARDO GERMANI) 23 November 2023
  • TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO 9 November 2023
  • 10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE 6 November 2023
  • UN’INTERVISTA A GIUSEPPE CRAPARO SU PIERRE JANET 30 October 2023
  • CONTRASTARE IL DECADIMENTO COGNITIVO: ALCUNI SPUNTI PRATICI 26 October 2023
  • PTSD (in podcast) 25 October 2023
  • ANIMALI CHE SI DROGANO, DI GIORGIO SAMORINI 12 October 2023
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE 7 October 2023
  • Congresso Bari SITCC 2023: un REPORT 2 October 2023
  • GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione 25 September 2023
  • CANNABISCIENZA.IT 22 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST) 18 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA) 4 September 2023
  • POPMED: 10 articoli/novità dal mondo della letteratura scientifica in ambito “psi” (ogni 15 giorni) 30 August 2023
  • DIFFUSIONE PATOLOGICA DELL’ATTENZIONE E SUPERFICIALITÀ DIGITALE. UN ESTRATTO DA “PSIQ” di VALERIO ROSSO 23 August 2023
  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO 12 August 2023
  • NIENTE COME PRIMA, DI MANGIASOGNI 8 August 2023
  • NASCE IL “GRUPPO DI INTERESSE SULLA PSICOPATOLOGIA” DI AISTED (Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) 26 July 2023
  • Psychedelic Science Conference 2023 – lo stato dell’arte sulle terapie psichedeliche  15 July 2023
  • RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS 29 June 2023
  • EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO 21 June 2023
  • Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere! 7 June 2023
  • CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE) 1 June 2023
  • UN RICORDO DI LUIGI CHIRIATTI, STUDIOSO DI TARANTISMO 30 May 2023
  • PHENOMENAUTICS 20 May 2023
  • 6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE 18 May 2023
  • GLI PSICOFARMACI PER LO STRESS POST TRAUMATICO (PTSD) 8 May 2023
  • ILLUSIONI IPNAGOGICHE, SONNO E PTSD 4 May 2023
  • SI PUÓ DIRE MORTE? INTERVISTA A DAVIDE SISTO 27 April 2023
  • CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO 12 April 2023
  • Laetrodectus, che morde di nascosto 6 April 2023
  • STABILIZZAZIONE E CONFINI: METTERE PALETTI PER REGOLARSI 4 April 2023
  • L’eredità teorica di Giovanni Liotti 31 March 2023
  • “UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI 7 March 2023
  • SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN 9 January 2023
  • SUPERHERO THERAPY. INTERVISTA A MARTINA MIGLIORE 5 December 2022
  • Allucinazioni nel trauma e nella psicosi. Un confronto psicopatologico 26 November 2022
  • FUGA DI CERVELLI 15 November 2022
  • PSICOTERAPIA DELL’ANSIA: ALCUNI SPUNTI 7 November 2022
  • LA Q DI QOMPLOTTO 25 October 2022
  • POPMED: UN ESEMPIO DI NEWSLETTER 12 October 2022
  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
  • PTSD E SPAZIO PERIPERSONALE: DA UN ARTICOLO DI DANIELA RABELLINO ET AL. 26 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI 22 May 2021
  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI 27 August 2020
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius 10 July 2020
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO 11 June 2020
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID 26 May 2020
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI 14 May 2020
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch 9 May 2020
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2 4 May 2020
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI 2 May 2020
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE” 30 April 2020
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE 25 April 2020
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY 25 April 2020
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA 25 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI! 22 April 2020
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA? 21 April 2020
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI 17 April 2020
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO 13 April 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3 10 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF! 6 April 2020
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI 4 April 2020
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO? 31 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT 25 March 2020
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD 13 February 2020
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET 3 February 2020
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO 15 January 2020
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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
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