• HOME
  • AREE TEMATICHE
    • #TRAUMA e #PTSD
    • #PANICO
    • #DOC
    • #TARANTISMO
    • #RECENSIONI
    • #PSICHEDELICI
    • #INTERVISTE
  • PSICOTERAPIA
  • PODCAST
  • CHI SIAMO
  • POPMED
  • PER SUPPORTARE IL BLOG

Il Foglio Psichiatrico

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in psichiatria e psicoterapia

5 July 2018

INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL

di Raffaele Avico

Autore di riferimento e pietra miliare nella sterminata letteratura relativa alla psicopatologia attuale è sicuramente Daniel Siegel, autore statunitense di fama mondiale che è riuscito a rendere divulgabile alcune idee relative a complessi concetti psicopatologici come la regolazione emotiva e la neurobiologia interpersonale.

Siegel ha costruito l’intero suo impianto teorico intorno al concetto di integrazione. La sua idea di integrazione poggia su una visione multi-componenziale del cervello, gerarchicamente costruito su livelli diversi e differenziato nei suoi emisferi destro e sinistro.

All’interno dei suoi lavori l’autore spiega come la salute psichica coincida con la possibilità di utilizzare in modo integrato e fluido tutte le componenti e le funzioni del cervello. Per fare questo parte della semplice ma sommamente potente teoria del cervello tripartito di McLean, secondo cui esistono tre strutture, evolutivamente comparse in modo sequenziale nel corso dello sviluppo del cervello umano: il troncoenecefalo, evolutivamente più antico e primevo, il sistema limbico sottocorticale e la neo-corteccia, ultima in termini di tempistiche evolutive.

Siegel nei suoi lavori indaga ciò che ritiene essere alla base della sofferenza psichica, in senso allargato: la mancanza cioè di integrazione. Integrazione di parti del Sé, integrazione della coscienza, integrazione tra strutture cerebrali più antiche e più recenti, integrazione tra funzionamento destrorso o sinistro del cervello.

Sulla scia di molteplici autori impegnati nello studio delle stesse problematiche, Siegel approfondisce questioni focali della disciplina psicotraumatologica, come il fenomeno della  dissociazione a seguito di traumi cumulativi o grandi traumi, e le conseguenti ricadute in termini di sintomi clinici. Per fare questo, oltre alla sopra citata teoria del cervello tripartito di McLean, si rifà alle teorie più recenti relative allo stile di attaccamento, gli studi di neurobiologia relazionale e le recenti derive della psicoterapia cognitiva in ambito di tecniche di rilassamento/meditative prese a prestito dalla cosiddetta psicologica “buddhista”, per esempio la mindfulness.

L’autore inoltre ha il grande merito di aver introdotto il concetto di finestra di tolleranza, concetto di grande rilevanza clinica e facilmente divulgabile e utilizzabile con i paziente durante le sedute. Qui di seguito un’immagine esplicativa:


Il concetto di finestra di tolleranza va spiegato in relazione al concetto di disregolazione emotiva, fenomeno rilevantissimo e molto frequente nella pratica clinica con pazienti difficili.

La linea sinusoidale che si osserva tra le due linee orizzontali segnalate dalle due frecce nell’immagine riportata, rappresenta il tono di attivazione neuro-fisiologica con le sue normali fluttuazioni. Nel corso della giornata, il nostro stato di arousal si muove a tratti verso l’alto (tendendo allo stato di iper-arousal) e a tratti verso il basso (ipo-arousal), contestualmente a situazioni percepite più o meno “attivanti” o più o meno “calmanti”.

Fluttuare all’interno della finestra di tolleranza è totalmente normale, fino al punto in cui per varie ragioni il tono di arousal non superi verso l’altro o verso il basso i confini della “finestra di tolleranza”: in quel momento inizia il senso di “disregolazione”, percepito soggettivamente come un senso di essere “fuori controllo” (troppo agitati/ansiosi/attivati) o al contrario troppo “scarichi”o apatici (lo stato di ipo-arousal) e accompagnato da uno stato di profondo malessere soggettivo psichico, da cui si tenta di fuoriuscire.

Secondo questa rappresentazione del malessere psichico, indotto da una disregolazione del tono di attivazione neuro-fisiologica, il problema consisterà nel trovare strategie di regolazione emotiva che consentano all’individuo di ri-entrare in finestra di tolleranza quando ne sia fuoriuscito sia in senso “iper” che in senso di ipoarousal.

Il concetto di regolazione/disregolazione emotiva e le strategie di mastery

Siegel nei suoi lavori spiega con chiarezza come ognuno trovi le sue proprie strategie di regolazione emotiva per rientrare all’interno della “finestra di tolleranza” in questi momenti di profondo dolore psicologico. Le strategie sono chiamate di “mastery”, termine inglese utilizzato per descrivere il senso di padronanza, cioè di “sensazione di avere il controllo” sulla propria vita, sulle proprie risorse e le proprie mancanze, sensazione molto piacevole e associata spesso a un senso di euforia e progettualità.

Siegel parla di strategie di mastery intendendo con questo tutto ciò che consente a un individuo di riappropriarsi del controllo sulla propria emotività, di calmarsi quando  troppo “attivato” o di attivarsi quando troppo “apatico”, rientrando metaforicamente all’interno della finestra di tolleranza.

Siegel, sulla scia di molteplici altri autori, spiega come esistano diverse tipologie di strategie di mastery, con un diverso livello di raffinatezza ed efficacia e raggruppabili genericamente in tre tipologie/livelli:

  1. Strategie di mastery di I livello. Attraverso queste strategie, l’individuo sperimenta un effetto regolativo sulle sue emozioni veementi attraverso l’utilizzo del corpo. A questo livello di strategie di mastery appartengono le pratiche sportive usate in senso regolativo (per calmarsi quando si è troppo attivati, o per “darsi una scossa” quando troppo apatici, per esempio), ma anche l’utilizzo di sostanze a fini auto-terapeutici. Quindi per esempio un ragazzo che utilizzi cannabis per placare alcuni stati di ansia o attivarsi quando depresso, o un cocainomane che voglia sfuggire da stati di vuoto/depressivi, o ancora un eroinomane, rappresentano esempi di utilizzo di strategie di mastery di I livello. Genericamente tutto ciò che passa attraverso il corpo e che abbia un effetto regolativo rappresenta una strategia di mastery di I livello.
  2. Strategie di mastery di II livello. Le strategie di secondo livello passano attraverso l’interazione sociale: l’individuo utilizza il contatto con l’altro per regolare stati di ansia/iper-arousal o al contrario stati di depressione/ipo-arousal. E’ una modalità regolativa dialettica: contempla la presenza dell’altro che viene ricercato attivamente attraverso per esempio una telefonata, un’uscita, un gesto di ricerca di contatto. Attraverso questa strategia di regolazione emotiva il tono di attivazione neuro-fisiologica viene fatto rientrare all’interno della finestra di tolleranza a partire da un momento di condivisione. Questa strategia di mastery è considerata più evoluta rispetto a quella precedente, e in un ideale di percorso di “maturazione” psicologica (per esempio nel contesto di un percorso di psicoterapia) il suo utilizzo da parte del paziente è da considerarsi un passo avanti per quanto riguarda la capacità di auto-regolazione emotiva.
  3. Strategie di mastery di III livello. Le strategie infine di terzo livello consentono alla persona di auto-regolare la propria attivazione (o disattivazione) neuro-fisiologica a partire da un lavoro solamente interiore. Non è necessario né passare attraverso il corpo, né appoggiarsi a un altro per regolare il tono della regolazione emotiva. Chi utilizza questa strategia di mastery riesce, attraverso un lavoro interiore (visualizzazioni, dialogo interno rassicurante e contenitivo, il sapersi spiegare le ragioni sottese al momento disregolativo, etc.), a ritornare autonomamente all’interno della finestra di tolleranza. Sono le strategie di regolazione emotiva più evolute e sofisticate. Rappresentano un punto di arrivo nel percorso relativo alla capacità di auto-regolazione, di fondamentale importanza nel corso dello sviluppo e nel contesto di una psicoterapia.

Altro aspetto da mettere in rilievo a proposito della finestra di tolleranza, è la sua ampiezza. L’autore spiega come poco dopo la nascita, l’ampiezza della finestra di tolleranza sia minima: qualunque sovra o sotto-attivazione neurofisiologica vissuta dal bambino lo porterà a uscire dalla finestra (essendo la sua ampiezza molto ridotta) creando sofferenza psichica. La capacità di reggere frustrazione di un bambino piccolo, come sappiamo, è minima. Uno sviluppo equilibrato, insieme a un’educazione al reggere la frustrazione fornita dalle figure di riferimento, significheranno per lui ampliare la sua finestra di tolleranza, imparando a reggere sbalzi neurofisiologici di portata più ampia senza però arrivare a soffrirne.

SOMMARIO

Nel discorso quindi relativo alle competenze di auto-regolazione emotiva, è importante considerare due aspetti portanti:

  1. La regolazione emotiva permette all’individuo di riportare il tono di attivazione neuro-fisiologica all’interno della finestra di tolleranza, verso il basso quando in fase di iper-arousal, e verso l’altro se in ipo-arousal. Le strategie per fare questo vengono chiamate strategie di mastery e sono più o meno sofisticate. Genericamente diciamo che un individuo il cui tono di attivazione neuro-fisiologica stia all’interno della finestra di tolleranza, non soffre per questioni relative a disregolazione emotiva: non sarà dunque in balia di emozioni veementi come la rabbia o una profonda tristezza, ma riuscirà a percepirle in sè sufficientemente regolate da essere psicologicamente tollerabili.
  2. Per sentire un senso di controllo e di “sovranità” sulle proprie emozioni senza che queste diventino veementi o soverchianti, è importante ampliare l’ampiezza stessa della finestra di tolleranza cosicchè per fuoriuscire dai confini della stessa sia necessario un livello di iper o ipoattivazione molto maggiore. A parità di stressor, persone diverse si “regoleranno” in modi diversi, a seconda di quanto ampie saranno le rispettive finestre di tolleranza a consentirgli di mantenere il senso di mastery.

La maturazione interiore, un percorso di psicoterapia, uscire rinforzato da esperienze difficili: tutti questi sono esempi di situazioni di ampliamento della finestra di tolleranza che ci rendono maggiormente schermati di fronte agli sbalzi neurofisiologici conseguenti a eventi più o meno stressanti.

Article by admin / Generale

3 July 2018

DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL

di Luca Proietti

Nell’articolo dal titolo “Conduct Disorder and Callous-Unemotional Traits in Youth”, Blair, Leibenluft e Pine affrontano il tema dei tratti definiti “Callous-Unemotional”, termine che potremmo tradurre come “insensibile – anaffettivo”, e delle relazioni che questi tratti hanno con i disturbi della condotta. L’articolo è una revisione della letteratura ed è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2014.

Di questo lavoro ritengo molto interessante la chiarezza della tipizzazione neurocognitiva dei diversi profili che sottendono alla macro-categoria dei disturbi della condotta. Inoltre, è altrettanto interessante la descrizione delle differenti traiettorie patologiche che i vari sottogruppi di disordini, presentano longitudinalmente.

Gli Autori definiscono il termine generico “problemi della condotta” come uno schema di comportamenti ripetuti di violazione delle regole, aggressività e indifferenza nei confronti degli altri in bambini e adolescenti. Quando questi sono persistenti possono configurare la sindrome che nel DSM-5 è definita “Disturbo della Condotta”. I problemi della condotta in gioventù correlano con un maggiore rischio di sviluppare abuso di sostanze, condotte criminali e problemi scolastico-educativi.

Tra i giovani con problemi della condotta possiamo identificarne due sottotipi sulla base della capacità (o meno) di provare rimorso, empatia e preoccupazione per il proprio andamento scolastico. Meno del 50% dei giovani con problemi della condotta presenta tratti callous-unemotional (o di “insensibilità emotiva”): costoro appaiono incapaci di provare senso di colpa, si mostrano insensibili, menefreghisti e dotati di scarsa empatia. I problemi della condotta, così come i tratti di insensibilità emotiva, possono essere espressi fin dalla tenera età, in alcuni casi anche prima del compimento dei 10 anni. Dati di letteratura sembrano evidenziare una traiettoria dei problemi comportamentali con una progressione dal Disturbo da iperattività e deficit dell’attenzione (ADHD) nei primi anni di scuola, al disturbo oppositivo provocatorio (OPD) negli anni seguenti, con la possibilità di sviluppare un vero e proprio disturbo della condotta (DC) in età adolescenziale. Non tutti i bambini con ADHD e disturbo oppositivo provocatorio arriveranno a sviluppare un disturbo della condotta. Tuttavia, tra coloro con disturbo della condotta, quelli che di base presentano tratti “callous-unemotional” in quasi il 50 % dei casi svilupperanno da adulti un disturbo antisociale di personalità (ASPD).

I tratti di insensibilità emotiva (tratti “callous-unemotional”) sono sostanzialmente stabili dell’individuo, in particolare quando insorgono prima dei 10 anni di età, e sembrano infatti fortemente correlati al background genetico-biologico dell’individuo.

La mancanza di empatia appare quasi esclusivamente nei giovani con insensibilità emotiva. Essa correla con scarse capacità di socializzazione, minori livelli di altruismo e incapacità di riconoscere il disagio altrui; le persone con scarsa empatia mostrano maggiori livelli di risposte aggressive, anche perché non provano i sentimenti negativi che derivano dall’osservare/percepire la sofferenza altrui.

La “risposta alla minaccia” è mediata, nelle sue varianti (freezing, fuga o lotta) da un circuito che coinvolge l’ipotalamo, il grigio periacqueduttale e l’amigdala. Un aumento dell’attività di tale circuito correla con una maggiore probabilità di aggressività reattiva. Il sottogruppo di pazienti con insensibilità emotiva riporta, oltre all’assenza di empatia, anche minore risposta alla minaccia. Il sottogruppo senza insensibilità emotiva presenta invece maggiore attivazione della risposta alla minaccia, con un maggior rischio di aggressività e ansia in risposta alla frustrazione o alla minaccia, ed una predisposizione ad attribuire erroneamente caratteristiche di ostilità a stimoli ambientali.

I pazienti con deficit di decision making apprendono con difficoltà come compiere decisioni che possono portare a ricompense piuttosto che punizioni. Ciò li rende più propensi a compiere condotte impulsive, o di aggressività reattiva, e a provare frustrazione. I sistemi neurobiologici coinvolti in questo caso sono lo striato, i nuclei della base, e la corteccia prefrontale ventromediale. Questo deficit è espresso in maniera equivalente nei giovani con disturbo della condotta con insensibilità emotiva ed in quelli senza, ma anche in giovani con ADHD e disturbo oppositivo provocatorio.

Pertanto, il deficit di decision making potrebbe essere un “minimo comune denominatore” di tali disturbi, così variegati ma allo stesso tempo strettamente interconnessi. Riuscire ad individuare i differenti profili sottesi a una manifestazione comune, come anche avere una conoscenza sempre più chiara delle dinamiche neuro-psicopatologiche implicate, guiderà in futuro lo sviluppo di nuovi trattamenti, sempre più specifici ed adatti al singolo caso.

Article by admin / Generale

28 June 2018

UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG

di Raffaele Avico

In questo articolo sono stati effettuati degli esperimenti in vivo su pazienti affetti da Post Traumatic Stress Disorder  (PTSD) a cui veniva praticato l’EMDR, utilizzando l’elettroencefalografia (EEG) com strumento di monitoraggio funzionale. Qui abbiamo spiegato cos’è e quali sono le evidenze al momento più accreditate a riguardo dell’EMDR. Questo esperimento ha visto sottoporre a EEG 10 pazienti con PTSD (valutati con EEG sia nella prima che nell’ultima seduta EMDR), ponendoli a confronto con un gruppo di controllo di 10 soggetti sani (esposti in precedenza a eventi traumatici ma non attualmente sintomatici). La registrazione EEG è stata eseguita in modo continuativo durante il riposo, l’ascolto passivo di un testo che descriveva l’evento traumatico, e la seduta EMDR.

Lo studio ha permesso di monitorare, inoltre, in che modo variassero, ed in quali circostanze, le reti di neuroni attivate nel corso della somministrazione dell’EMDR.

Come altrove abbiamo discusso, l’ipotesi a riguardo del funzionamento dell’EMDR sono varie e poco certe: inizialmente si pensava che, praticando la stimolazione bilaterale a un paziente affetto da PTSD, l’attivazione di aree cerebrali deputate a elaborare la memoria del trauma, si trasferisse da un emisfero all’altro, come conseguenza del movimento orizzontale e laterale degli occhi. Altri autori hanno proposto la forse più plausibile ipotesi del doppio-distrattore: “distrarre” la memoria somatica nel corso della rievocazione del trauma, per mezzo della stimolazione bilaterale, avrebbe concesso all’individuo la libertà sufficiente per accedere alla memoria episodica del trauma stesso.

Le ipotesi sono ancora controverse e contraddittorie. Questo studio ha per primo esplorato quali fossero le singole aree attivate nel corso di un protocollo di EMDR somministrato, arrivando a risultati interessanti:

  • il principale risultato, osservato sia durante l’ascolto del ricordo traumatico che durante la terapia EMDR, mostra come nella prima seduta si verifichi un’attivazione di aree prefrontali e limbiche, durante l’ultima si osservi invece un’attivazione di aree visive.
  • la maggiore attivazione prefrontale nella prima seduta potrebbe collegarsi al ruolo chiave di quest’area nei processi di “auto-valutazione” dei contenuti mnesici generati dall’individuo, come anche alla sua attivazione come correlato della “soppressione” di ricordi/pensieri indesiderati
  • la maggiore attivazione di aree sensoriali ed associative, temporali ed occipitali (giro fusiforme e corteccia visiva), dopo il ciclo di terapia EMDR suggerisce invece uno shift, mediato dalla terapia EMDR, verso un’elaborazione della memoria traumatica più efficace e anatomicamente ristretta, in maniera simile a ciò che avviene per ogni comune dato sensoriale.

L’ipotesi che gli autori fanno in questo studio, è che in effetti l’EMDR produca uno spostamento in senso neuroanatomico del luogo di elaborazione del trauma, da zone più frontali del cervello, a zone posteriori, e da livelli più profondi e impliciti, a zone più corticali ed esplicite.

Quest’ipotesi non contraddice tra l’altro l’ipotesi del doppio distrattore: la somministrazione bilaterale effettuata entro il protocollo EMDR, consentirebbe di “aggirare” provvisoriamente l’accensione spropositata della corteccia pre-frontale (in seguito al ricordo traumatico) per spostare la memoria del trauma in zone più “sicure” in senso cerebrale, e più agevoli all’elaborazione del ricordo.

Questa ipotesi, come è evidente, si poggia sull’idea che un ricordo traumatico abbia un suo “luogo” di elaborazione, e che la memoria, in qualche modo, sia “incarnata” in senso neuronale (cioè che il lavoro della memoria sia effettuato dal cervello in determinate reti neuronali, che possono variare, ognuna con caratteristiche diverse).

A proposito dell’ipotesi del “doppio distrattore”, questo articolo ha avuto l’obiettivo di indagare se creare un’interferenza al momento dell’accesso da parte di un soggetto al “taccuino visuo-spaziale” (un registro della memoria), potesse diminuire la vividezza delle stesse immagini rievocate, rendendole più innocue e meno attivanti. Lo studio ha fornito risultati incoraggianti per chi soffre di PTSD, soggetto a pesanti flashback e intrusioni di immagini molto violente, vivide e non modificate dal tempo.

Questo aspetto inerente l’elaborazione delle immagini, la presenza di un distrattore che interferisce e stoppa una risposta dolorosa, ricorda da vicino la teoria “del cancello” di ambiente neurologico, ben spiegata qui. La trasmissione degli impulsi dolorosi nelle fibre nervose, può essere manipolata attivamente in modo da depotenziare una sensazione di dolore (per esempio se si sfrega un ginocchio dolorante, il convergere di due stimolazioni contemporanee con natura diversa, ne mitiga una, procurando un senso di sollievo dal dolore stesso).

Article by admin / Generale

25 June 2018

MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA

di Raffaele Avico

Nel suo libro “Il mondo nella mente”, l’epistemologo Mario Galzigna esegue un’analisi accurata di ciò che dal suo punto di vista rappresenta l’humus dal quale si sarebbe sviluppata la psichiatria moderna, partendo da un’analisi storico-filosofica della psichiatria per come la conosciamo. Epistemologia, l’autore ci insegna, è l’insieme degli assunti su cui si fonda un determinato sapere, e nessun ambito scientifico ne è esente, in particolar modo laddove si utilizzi, come metodo conoscitivo, il metodo ipotetico induttivo (partendo cioè da evidenze fino ad arrivare ad assiomi postulati in base al ricorrere di queste stesse evidenze, metodo mai perfetto, per sua natura, su cui si fondano le attuali scienze umane, medicina compresa).

Compiere un lavoro di analisi epistemologica a riguardo della salute mentale, obbliga chi la esegue a uno sforzo duplice: da un lato gli chiede di mettere in luce il percorso storico (la genealogia) che portò al formarsi di alcune convinzioni, dall’altro lo obbliga ad ammettere come ogni sapere debba contestualizzarsi entro un determinato scenario: l’etnopsichiatria e l’etnopsicoanalisi sono esempi lampanti di come, in culture diverse, germoglino forme diverse di sofferenza mentale. Secondo Galzigna il solo considerare come, in qualsiasi stato dell’Africa centrale, la malattia mentale non abbia né le fattezze né la rappresentazione sociale che ne abbiamo in Occidente, dovrebbe interrogare il clinico su come esistano assunti epistemologici e trame concettuali costituitesi storicamente, pertanto sempre ed indiscutibilmente contestuali, non assolute.

Eseguire un lavoro sull’epistemologia è tuttavia necessario affinché non ci si formalizzi entro percorsi concettuali rigidi, che rischierebbero di oscurare il campo di osservazione nei confronti della malattia mentale, fenomeno complesso e cangiante insieme alla cultura che lo ospita: in questo senso l’autore cita alcuni studiosi di antropologia clinica e medica impegnati a smascherare le sotto-trame epistemologiche dei sistemi di cura del mondo occidentale, come Tanya Luhrmann, che per 6 anni (dal 1989 al 1995) eseguì un lavoro di osservazione antropologica sul campo immergendosi nei luoghi di cura psichiatrica degli Stati Uniti, per arrivare alla stesura del suo volume Of Two Minds, nel quale rifletté sulla distanza apparentemente inconciliabile tra l’approccio neurobiologico e il mondo della psicoanalisi/psicoterapia in ambito di salute mentale. Un lavoro come quello dell’etnografo clinico, prosegue Galzigna, consente di operare un‘ascesi epistemologica: imparare quali sono gli assunti sui quali si ragiona in termini clinici, al fine di superarli, per andare oltre.

In questo senso, negli ultimi anni si è osservata una certa tendenza a movimenti convergenti di discipline che alla radice sembravano inconciliabili (per esempio la neuroscienza e la psicoanalisi, oggi conferite nella nuova -ma già auspicata da Freud- neuropsicoanalisi), che hanno trovato la loro giustificazione nelle scoperte relative a come l’ambiente possa modellare l’espressione genica (gli studi per esempio sull’apprendimento, o sull’ansia o la paura appresa). L’autore si augura, in questo senso, che sempre di più ci si possa muovere verso un approccio integrato.

Per operare il lavoro di ascesi epistemologica, e trascendere i limiti del proprio sapere, spesso cristallizzato dalla storia, Galzigna si spende in un’analisi di quelli che oggi possano essere strumenti concreti di emancipazione dal sapere costituito, soprattutto per quello che concerne il lavoro in ambito di salute mentale.

A questo proposito è interessante il capitolo sugli “psiconauti”, dove viene evidenziato come la frequentazione di luoghi di discussione anonima in rete su varie tematiche potrebbe regalare a un ipotetico psichiatria o terapeuta, un affaccio sulla reale diversità di quelle che sono le nuove forme del pensiero, ed eventualmente garantirsi una testimonianza diretta sulle nuove forme di psicopatologia o perversione. La Rete, sostiene l’autore, rappresenta un contenitore troppo ampio perchè non venga utilizzato per compiere escursioni  in un “altrove” di questo tipo. Altro riferimento che Galzigna fa, il mondo del pre-verbale, via privilegiata d’accesso al nucleo più profondo di sé e dei pazienti (cita a questo proposito il lavoro sulle “parole prima delle parole” di Artaud e il suo teatro corporeo e violento, o le sperimentazioni di arteterapia che si fanno, anche oggi, nei CSM un po’ in tutta Italia). L’importanza dell’“immagine” e il suo recupero come strumento conoscitivo/espressivo, emerge potentemente dalle parole dell’Autore, insieme a una concezione plurale e molteplice dell’identità e del mondo interiore di ogni individuo, che andrebbe rispettata e cercata (“multum in parvo”, il molto nel poco)

Il libro, nel suo complesso, è una raccolta di riflessioni ispirata ed esternamente ricca di spunti intellettuali e di letteratura clinica. Primo fra tutti, il maestro intellettuale dello stesso Galzigna, Michel Foucault, con particolare riferimento al lavoro che Foucault fece sul rapporto tra potere e individuo, potere e società.

L’intento dell’autore è di ripensare l’epistemologia della cura, o almeno di prenderne coscienza per trascenderla, il tutto inserito nella cornice di un profondo rispetto umano verso l’unicità di ogni storia di vita di ogni singolo paziente.

Consigliamo la visione di questi video presenti sul canale di Psychiatry On Line con interventi dello stesso autore:

 

Article by admin / Generale

22 June 2018

L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO

di Luca Proietti

E’ stata recentemente pubblicata una revisione della letteratura che dà dignità scientifica all’influenza che il contesto, la componente relazionale e la comunicazione esercitano sugli effetti dei trattamenti. Gli autori ci raccontano come questi aspetti producano il rilascio di neurotrasmettitori con attivazione di aree cerebrali, proprio come avviene con l’assunzione di farmaci attivi. La comunicazione e la relazione non sono quindi solo aspetti da demandare all’umanità e alla personalità del terapeuta, ma veri e propri strumenti in grado di indurre  effetti terapeutici.

Recentemente la rivista Neuroscience ha proposto una review di Carlino e Benedetti, dal titolo “Different Contexts, Different Pains, Different Experiences”. Elisa Carlino è una psicologa ricercatrice del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino che da alcuni anni lavora con il Prof. Fabrizio Benedetti, uno dei maggiori esperti mondiali nel campo della ricerca sull’effetto placebo. Benedetti, già docente presso l’università di Torino, svolge anche ricerca presso i laboratori di Plateau Rosa a Cervinia. A seguire un breve report su quanto sostenuto dagli Autori nell’articolo. Link alla pagina pubmed: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=different+contexts+different+pain+different+experiences+benedetti.

REPORT

Il dolore è una sensazione soggettiva che non può essere attribuita solo all’input di informazioni nocicettive percepite dalle terminazioni nervose: fattori cognitivi, emozionali e altri input sensoriali ne modulano la sua percezione. Ad esempio, essere concentrati su uno stimolo distraente fa provare meno dolore, mentre emozioni negative o odori spiacevoli ne fanno provare di più.

I fattori che possono influenzare la percezione dolorosa derivano dal contesto, pertanto l’ambiente offre opportunità per la gestione del dolore, e in generale per aumentare l’efficacia dei trattamenti. L’effetto Placebo e Nocebo permettono di studiare l’influenza che un ambiente positivo e negativo ha su un trattamento, e i meccanismi neurobiologici coinvolti. Di seguito riportiamo alcuni dei fattori del contesto terapeutico:

Fattori del contesto terapeutico

Esterni Interni
Proprietà fisiche del medicinale Credenze personali
Aspetto della stanza Speranze e aspettativa nei confronti della terapia
Il personale sanitario presente Il ricordo dei trattamenti passati
L’attrezzatura medica presente Tratti psicologici
La relazione medico-paziente Variabili genetiche

Gli autori spiegano come l’effetto placebo si possa instaurare  tramite due meccanismi: uno conscio e uno inconscio. Il primo coinvolge l’aspettativa positiva: fattori che “dicono” al paziente che sta ricevendo un intervento potenzialmente benefico (un setting di aspetto piacevole, la presenza di attrezzatura medica e una buona relazione con il medico possono aumentare l’efficacia terapeutica, riducendo lo stato d’ansia e attivando i circuiti della ricompensa)

Il secondo meccanismo è una forma di condizionamento classico, per cui assumendo ripetutamente un dato farmaco creiamo  un’associazione tra gli effetti del principio attivo e le caratteristiche fisiche del preparato: in questo modo in futuro mi basterà assumere una pillola inerte, fisicamente uguale a quella attiva, per sperimentarne gli effetti farmacologici.

I sistemi neurobiologici coinvolti nell’algesia placebo sono l’oppioide (quello su cui agiscono morfina ed eroina) e l’endocannabinoide (quello su cui agisce la cannabis THC e CBD): l’attivazione di uno piuttosto che dell’altro dipende dal farmaco a cui il paziente è stato pre-esposto e dall’assetto neurobiologico e recettoriale del paziente. Anche il sistema dopaminergico ha un ruolo nell’effetto placebo con l’attivazione del Nucleo Accumbens e l’intervento del meccanismo della ricompensa. L’Ossitocina e la Vasopressina, altri due neuro-ormoni, sono anch’esse coinvolte  nelle risposte placebo stimolate da fattori sociali.

Un tipo particolare di analgesia-placebo non procurata da farmaci è la Reward Analgesia. Essa è alla base del meccanismo per cui il significato che attribuiamo a un dolore ne cambia la percezione: quello da cancro è percepito come più spiacevole di quello post-operatorio e il dolore indotto sperimentalmente è tollerato maggiormente se associato alla credenza di un beneficio. In quest’ottica il sollievo dal dolore può essere visto come una forma di ricompensa, questo tipo di effetto analgesico è anch’esso mediato dal sistema oppioide e dal sistema cannabinoide che si attivano in maniera complementare con percentuale diversa da soggetto a soggetto. L’imaging mette in luce ridotta attività di alcune aree cerebrali (dell’insula, della c. cingolata) e aumentata attività del sistema di reward (n. accumbens, c. orbitofrontale mediale e c. prefrontale ventromediale).

L’effetto nocebo può essere prodotto sperimentalmente tramite suggestioni verbali negative e osservato nella vita di tutti i giorni. La cefalea causata da false credenze sull’uso del cellulare e malattie di massa psico-indotte sono esempi di suggestioni negative, indotte in questo caso dai report sulla salute o dai mass-media. L’effetto nocebo è alla base anche dell’infezione sociale, processo per cui suggestionando una persona  riguardo la possibilità di sviluppare di un dato sintomo per una condizione presente (per esempio l’ipossia indotta dall’altitudine), le persone che hanno avuto contatti con quella persona sviluppano quel sintomo con più facilità. Altri esempi sono l’inversione dell’effetto di pomate analgesiche tramite suggestioni verbali negative; l’aumento della percezione dolorifica dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro e la comparsa nei “gruppi placebo” i sintomi collaterali uguali a quelli dei gruppi trattati col farmaco.

Nella pratica clinica una cattiva relazione medico-paziente induce il verificarsi di un effetto nocebo, che riduce così la risposta alle terapie.

Anche l’effetto nocebo è indotto dai meccanismi di condizionamento e aspettativa, in questo caso rispetto all’effetto placebo, l’aspettativa negativa sembra più importante. Ciò implica una grande importanza del contesto negativo nell’inficiare l’outcome terapeutico.

Un’ultima possibilità per studiare l’influenza del contesto è quella di eliminarlo somministrando un farmaco senza avvertire il paziente (somministrazione nascosta). Analgesici (morfina, ketorolac, buprenorfina, tramadolo e metamizolo) somministrati in questo modo mostrano notevole riduzione della loro efficacia. Il Remifentanil (analgesico oppioide),se somministrato avvisando il paziente, mostra un maggiore effetto analgesico e una maggiore attività nella c. dorsolaterale prefrontale e cingolata anteriore pregenicolare rispetto alla sua somministrazione nascosta.  Analogamente si può interrompere la somministrazione di un trattamento (sospensione nascosta), senza che il paziente ne sia consapevole. In questo caso alla sospensione farmacologica si assiste a un minore effetto rebound rispetto a quello che si verifica con la sospensione consapevole.

PROSPETTIVE

Per concludere abbiamo visto quanto il contesto che circonda la terapia possa influenzare l’efficacia del trattamento sia in maniera positiva che negativa o indurre la comparsa di effetti collaterali, e ciò avviene sia che i terapeuti ne siamo coscienti o no. I clinici  pertanto dovrebbero studiare sempre più in maniera sistematica i fattori del contesto, primo tra tutti la comunicazione, per potenziare l’effetto dei trattamenti e prevenire il possibile effetto nocebo.

Article by admin / Generale

18 June 2018

PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO

di Luca Proietti


CONTESTO

Uno studio di tre ricercatori americani, tra i quali vi è Irving Kirsch di Harvard, ha evidenziato come il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) abbia caratteristiche specifiche di risposta alla terapia e al placebo, che lo differenziano da altri disturbi a componente ansiosa. Questo risultato è in linea con la nuova classificazione del DSM5, che separa il DOC dai disturbi ansiosi, e con le idee di alcuni autori che ritengono che i pazienti con DOC estendano il bisogno di controllo anche gli effetti della terapia psicofarmacologica. Il principio attivo del farmaco agisce, ma risulta ridotta la risposta aspecifica alla terapia (risposta placebo o mediata dal contesto) che contribuisce in maniera importante all’efficacia di ogni trattamento.

Recentemente la rivista Journal of Affective Disorders ha pubblicato una review di Sugarman, Kirsch e Huppert dal titolo “Obsessive-compulsive disorder has a reduced placebo (and antidepressant) response compared to other anxiety disorders: A meta-analysis”. A seguire un breve report su quanto sostenuto dagli autori nell’articolo. Link alla pagina: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=obsessive+compulsive+disorder+has+a+reduced+placebo

REPORT

L’ effetto placebo è la risposta terapeutica che si può osservare somministrando una pillola placebo (priva di principio attivo o inerte), ma che è anche presente in qualsiasi trattamento, essendo infatti attivata dal “contesto di cura”. L ’effetto finale di un trattamento attivo è quindi dato dalla somma degli effetti del principio attivo (componente specifica) e degli effetti provocati dal contesto (effetto placebo, componente aspecifica); somministrando una pillola inerte (pillola placebo) si otterrà unicamente quest’ultima risposta, come abbiamo qui approfondito.

Da ciò ne consegue che i disturbi con maggiore risposta “placebo” presentano meno differenza di risposta tra trattamento attivo e pillola inerte (differenza farmaco-placebo). La letteratura concorda: all’aumentare dell’effetto placebo diviene più difficile dimostrare un’efficacia reale e statisticamente significativa di un farmaco (Chen et al. 2011).

In questo studio gli autori hanno incluso nella loro meta-analisi tutti i clinical trials registrati (studi sperimentali) sul trattamento dei Disturbi d’ansia (DA) con antidepressivi, includendo anche quelli non pubblicati. Ciò ha permesso di evitare un bias (errore che falsa l’analisi) di selezione, derivante dal fatto che gli studi con esito positivo sono pubblicati con frequenza maggiore rispetto a quelli con risultato negativo (Roest et al., 2015).

Gli autori riportano che la risposta placebo ai farmaci antidepressivi è minore nel DOC, inoltre la differenza farmaco-placebo si riduce notevolmente includendo nell’analisi anche trial registrati non pubblicati.

La risposta al trattamento farmacologico, all’effetto placebo e la differenza farmaco-placebo variano considerevolmente da un disturbo d’ansia a un altro, mentre per ciascun disturbo d’ansia risultano simili indipendentemente dal principio attivo utilizzato.

DISCUSSIONE

Aspetti specifici di questo disturbo spiegherebbero la riduzione della risposta placebo e alla terapia psicofarmacologica:

  • Il soggetto potrebbe attribuire ai rituali compulsivi invece che al trattamento la riduzione del disagio e dell’ansia derivante dalle ossessioni, riducendo così l’aspettativa positiva nel trattamento.
  • Il paziente con DOC inoltre tende a preferire le compulsioni ai farmaci quale strategia per controllare l’ansia, con un rischio aumentato di ricaduta.
  • L’età di insorgenza più precoce del DOC, rispetto ad altri disturbi d’ansia potrebbe comportare una maggiore durata di malattia e quindi resistenza ai trattamenti.
  • I pazienti con DOC risultano spesso insicuri e tendono a dubitare eccessivamente, ciò può contribuire a ridurre nel tempo l’aspettativa positiva e quindi l’effetto placebo.
  • La spiegazione più interessante parte dalla considerazione che la ripetizione di comportamenti stereotipati (come le compulsioni) o il controllo mentale compulsivo potrebbero paradossalmente diminuire la sicurezza e aumentare i dubbi, concorrendo al mantenimento del pensiero ossessivo. I pazienti con DOC potrebbero essere portati, per loro natura, a controllare e monitorare mentalmente l’efficacia del trattamento stesso, inficiando così il fenomeno dell’effetto placebo. I pazienti con DOC credono infatti che il ri-controllo abbia il potere di ridurre l’ansia e i loro sintomi, per questo sono indotti a controllare ripetutamente se il trattamento stia funzionando.

PROSPETTIVE

  • Il fatto che il DOC abbia una ridotta risposta alla terapia antidepressiva e al placebo ha importanti implicazioni cliniche, anche perché un’importante meta-analisi (Cuijpers et al., 2013) ha dimostrato che nel DOC la psicoterapia potrebbe essere più efficace del trattamento farmacologico.
  • La differenza farmaco-placebo deriva, oltre che dalle caratteristiche del disturbo, anche da fattori che i diversi trial potrebbero avere in comune. Tra questi i ricercatori mettono in guardia riguardo allo svelamento del cieco, (il paziente e/o il clinico identificano qual è il gruppo dello studio che riceve il trattamento attivo e quale quello trattato col placebo). Fenomeno che spesso avviene per gli effetti collaterali e causa la sovrastima dell’efficacia di un farmaco.

BIBLIOGRAFIA

De Vries et al. Influence of baseline severity on antidepressant efficacy for anxiety disorders: meta-analysis

and meta-regression. Br. J. Psychiatry 2016; 208, 515–521.

Chen et al. Evaluation of performance of some enrichment designs dealing with high placebo response in psychiatric clinical trials. Contemp. Clin. Trials 2011; 32, 592–604.

Cuijpers et al. The efficacy of psychotherapy and pharmacotherapy in treating depressive and anxiety disorders: a meta-analysis of direct comparisons. World Psychiatry 2013; 12, 137–148.

Huppert et al. Differential response to placebo among patients with social phobia, panic disorder, and obsessive-compulsive disorder. Am. J. Psychiatry 2004; 161, 1485–1487.

Khan et al., Magnitude of placebo response and drug-placebo differences across psychiatric disorders. Psychol. Med. 2005; 35, 743–749.

Roest et al.,  Reporting bias in clinical trials investigating the efficacy of second-generation antidepressants in the treatment of anxiety disorders: a report of 2 meta-analyses. JAMA Psychiatry 2015; 72, 500–510.

Van den Hout et al., Phenomenological validity of an OCD-memory model and the remember/know distinction. Behav. Res. Ther. 2003a; 41, 369–378.

Van den Hout et al., Repeated checking causes memory distrust. Behav. Res. Ther. 2003b; 41, 301–316.

 

Article by admin / Generale

11 June 2018

BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO

di Matteo Respino

In questo breve report facciamo il punto su alcuni concetti chiave riguardanti la dimensione non solo umana, ma anche clinica, della solitudine. Ci baseremo preminentemente sul lavoro e le pubblicazioni del Center for Cognitive and Social Neuroscience di Chicago, diretto fino a poco tempo fa da JT Cacioppo, eminente scienziato recentemente mancato, che con il suo lavoro ha contribuito ad enormi passi avanti nel campo delle neuroscienze sociali.

Prima di tutto occorre sottolineare come la solitudine sia un argomento, al confine tra scienze sociali, umane e neuroscienze, dalle grandissime potenzialità. Non solo si tratta di una condizione esistenziale che tutti attraversiamo, ma dal punto di visto scientifico il suo studio richiede tanto l’immergersi in aspetto evoluzionistici, biologici, quanto l’approfondimento di dimensioni sociologiche, culturali, etniche, linguistiche. La sua rilevanza ed il suo impatto sono ben descritti dallo stesso Cacioppo nella prima parte di uno dei suoi ultimissimi lavori, The growing problem of loneliness, pubblicato su The Lancet a inizio 2018 (link pubmed all’articolo: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29407030 ).

“Immaginate una condizione che rende una persona depressa, irritabile e concentrata su di sé, e che allo stesso tempo si associa ad un incremento del rischio di morte prematura del 26%. Immaginate poi che nei paesi industrializzati circa un terzo della popolazione soffre di questa condizione, una persona su 12 che ne soffre in forma severa, e che questi tassi sono in aumento. Reddito, educazione, sesso ed etnia non sono fattori di protezione. Questa condizione è contagiosa e non riguarda un particolare gruppo di individui vulnerabili, quanto piuttosto si manifesta in persone e situazioni ordinarie. Questa condizione esiste: la solitudine”.

Vi sarebbe molto da scrivere in merito, e qui di seguito offriamo solo alcuni spunti orientativi.

Per approfondimenti, oltre all’articolo sopra citato, suggeriamo la revisione della letteratura “Toward a Neurology of Loneliness” (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/?term=toward+a+neurology+of+loneliness ) e soprattutto il magnifico Ted Talk, da non perdere assolutamente, dello stesso Cacioppo  :

  • La solitudine è una condizione in crescita. Lo U.S. Census Bureau dice che al 2010 gli americani che vivono da soli erano 30 milioni. Nel 2050 saranno tra i 43 e i 57 milioni. Sempre più individui, nel mondo occidentale, ne soffrono, ma non ne parlano. Perché?
  • La solitudine è fortemente stigmatizzata. Come spiegato da Cacioppo nel suo Ted Talk, “sentirsi soli” è ancora oggi considerato il corrispettivo psicologico dell’essere dei “falliti” dal punto di vista sociale.
  • La solitudine non corrisponde all’introversione del carattere, alla depressione come forma clinica o all’isolamento sociale oggettivo. Si tratta di figure cliniche differenti.
  • La solitudine si avvicina invece di più all’isolamento sociale “percepito”. Insomma, non importa che tu sia realmente circondato da persone o viceversa isolato: ciò che induce questo stato soggettivo è sempre la percezione di alienazione dal contesto sociale, indipendentemente da quante persone si ha attorno.  Non solo l’isolamento reale è in crescita, ma anche quello percepito: il 40% degli anziani negli USA si percepisce socialmente isolato (Perissinotto, 2012).
  • La solitudine uccide. L’aumento di mortalità per solitudine è circa 2 volte maggiore quello indotto dall’obesità e 4 volte maggiore quello indotto dall’inquinamento dell’aria (Holt-Lunstad, 2010) (N.B.: questi sono dati che, come medico, credo siano veramente impressionanti).
  • Come uccide, la solitudine? Una prima, storica ipotesi è stata quella del “controllo sociale” (social control hypothesis). Secondo tale teoria il contesto sociale spingerebbe l’individuo, attraverso influenze esplicite e/o obblighi interiorizzati, a pratiche quotidiane maggiormente salutari, favorendone indirettamente una più lunga sopravvivenza. Un esempio tipico di questo meccanismo è, ad esempio, l’osservazione che l’essere sposati si associa ad una maggiore probabilità di praticare esercizio fisico (Pettee, 2006). Il focus su questa ipotesi ha portato però, per un certo tempo, a dare troppo peso alle relazioni sociali effettive e a scotomizzare gli elementi/modelli neurobiologici della solitudine. Molta letteratura ha ormai infatti mostrato come la teoria del controllo sociale sia solo parzialmente in grado di spiegare gli effetti nefasti della solitudine sulla salute (aumento di mortalità), i quali sembrano legati all’isolamento sociale percepito, un effetto che va al di là dell’isolamento sociale oggettivo.
  • Anche se, in merito a come l’isolamento sociale percepito modifichi la biologia del nostro cervello ed aumenti la mortalità, una risposta certa/un modello descrittivo completo ancora non esista, esistono molte evidenze di come la solitudine produca effetti biologicamente rilevanti, come aumento dell’aggressività, declino cognitivo, aumento del picco cortisolemico mattutino, un’anomala frammentazione del sonno (Cacioppo, 2016), un’alterazione del funzionamento delle reti neurali cerebrali (Wong, 2016).
  • Nel complesso il modello attuale sembra quindi sostenere che la condizione di isolamento sociale percepito induca uno “stato cerebrale” caratterizzato da una maggiore attivazione di quei sistemi di valenza negativa, di risposta allo stress, di attesa ipervigile a possibili minacce, che condizionerebbe in maniera incredibilmente negativa gli outcome di salute reale degli individui.

Mi piace concludere questo breve report citando di nuovo il grande Cacioppo, uno scienziato che mancherà immensamente alla nostra comunità.

“Concludendo, sia in termini ontogenici che filogenici, i membri di questa specie hanno bisogno dell’aiuto e della compagnia di altri per sopravvivere e per prosperare […]”

BIBLIOGRAFIA

Cacippo et al. The growing problem of loneliness. Lancet. 2018 Feb 3;391(10119):426

Cacioppo et al. Toward a neurology of loneliness. Psychol Bull. 2014 Nov;140(6):1464-504

Holt-Lunstad et al. Social Relationships and Mortality Risk: A Meta-analytic Review PLoS Med. 2010 Jul; 7(7): e1000316

Perissinotto et al. Loneliness in older persons: a predictor of functional decline and death. Arch Intern Med. 2012 Jul 23;172(14):1078-83

Pettee et al. Influence of marital status on physical activity levels among older adults. Med Sci Sports Exerc. 2006 Mar;38(3):541-6.

Wong et al. Loneliness in late-life depression: structural and functional connectivity during affective processing. Psychol Med. 2016 Sep;46(12):2485-99.

 

Article by admin / Generale

7 June 2018

SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO

di Raffaele Avico

Il trattamento del PTSD negli ultimi anni si è arricchito non solo ti nuove evidenze scientifiche a riguardo di tecniche psicoterapiche (per esempio l’EMDR), ma anche di nuovi approcci farmacologici. Una strada promettente sembra essere l’utilizzo di sostanze psichedeliche somministrate sotto controllo medico. Già qui (https://www.ilfogliopsichiatrico.it/2017/12/02/marzo-2017-il-consensus-statement-sullutilizzo-di-ketamina-nei-casi-di-disordini-dellumore-apparentemente-non-trattabili/) avevamo scritto dell’utilizzo della ketamina per trattare depressioni non approcciabili secondo i metodi convenzionali: The Lancet ha recentemente pubblicato un articolo ( che riporta i risultati interessanti di uno studio eseguito con molto rigore su un numero di pazienti affetti da PTSD trattati con MDMA. Lo studio, randomizzato e condotto in modo impeccabile -seppur su un campione relativamente piccolo (26)-, prevedeva somministrazioni di 3 quantità diverse di MDMA su pazienti affetti da PTSD, nel contesto di questo piano di cura:

  • 13 ore di psicoterapia, sommata a
  • 2 sessioni di 8 ore di psicoterapia sotto effetto di MDMA (in diverse quantità)

Quelli che a distanza di un anno mantenevano i benefici acquisiti dal trattamento, erano quelli a cui era stata somministrata la dose più alta di MDMA.

La fase 3 dello studio prevederà il reclutamento di un campione di 200/300 soggetti tra USA, Canada e Israele, a cui verrà proposto il trattamento e, nel caso in cui lo studio venga confermato nei suoi risultati, la successiva approvazione da parte del FDA americano, prevista intorno al 2021.

L’MDMA pare essere di supporto, nel contesto di una psicoterapia a orientamento psicotraumatologico (che prevede 3 fasi: alleanza, stabilizzazione dei sintomi, ed esplorazione e integrazione delle memorie traumatiche), nel consentire un accesso meno doloroso e “allarmante” ai contenuti traumatici rimossi dalla coscienza, evitando cioè l’accesso e lo “scompenso” in senso somatico che avviene così spesso nel momento del “ricordo e recupero” del trauma. Questo consentirebbe al paziente di passare dal “rivivere” al “ricordare” il ricordo stesso, nel contesto di un rapporto psicoterapico protetto e senza rischi.

Article by admin / Generale

4 June 2018

LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI

di Raffaele Avico

Osservare la realtà clinica portata dai pazienti in ottica psicotraumatologica significa fare i conti con una serie di assunti di base derivati da osservazioni personali. Credo che le problematiche trattate, il funzionamento della psiche, la realtà fenomenologica della coscienza e dei sintomi, le ripercussioni psicosomatiche del malessere psicologico, etc., siano problemi troppo complessi e a tratti inconoscibili, per non richiedere uno o più chiavi di lettura o modelli teorici da utilizzare nel tentativo di semplificare il problema e poi affrontarlo, o almeno provarci. Credo quindi utile riassumere alcune convinzioni che mi pare di aver maturato nel corso del lavoro con i pazienti gravi, che hanno sostanzialmente la funzione di fornire a chi voglia approcciare questo tipo di problemi, una mappa territoriale che lo guidi nell’esplorazione della problematica portata dalla persona in carico.

Avere una griglia di lettura vuol dire anche avere un’idea di come possa funzionare la psicologia umana, o almeno avere alcuni “proto-schemi”/intuizioni su come possa comportarsi la psiche di un esser umano in alcune condizioni contestuali. Questo insieme di convinzioni è per me una rete di salvataggio nel mare della complessità della psicopatologia: sono anche consapevole di come qualunque “verità” concernente la psiche e la mente umana, sia sempre stata storicamente transitoria e soggetta a critica (essendo che la scienza psicologica lavora su modelli della mente, e non sulla mente stessa, non esplorabile in vivo come si potrebbe fare, per esempio, con un organo del corpo); è facile rendersi conto tuttavia che non fornirsi di linee-guida teoriche, sarebbe un suicidio intellettuale.

Ho mutuato questi assunti dalla letteratura più recente in ambito di psicoterapia cognitiva e di psicotraumatologia clinica che mi è parsa più plausibile per come osservi e spieghi le diverse forme della psicopatologia e più potente nel descrivere ciò che quotidianamente osservavo nel lavoro con i pazienti. Gli assunti sono quindi per metà il prodotto dell’osservazione diretta dei pazienti e per metà figli delle letture da me effettuate in ambiente di letteratura. Provando quindi a sintetizzare alcuni di questi assunti:

  1. Credo che le più comuni diagnosi psicopatologiche, spesso semplicisticamente inquadrate nei due macro-ambiti dei disturbi d’ansia e disturbi dell’umore, vadano ripensate alla luce delle più recenti ricerche in ambito psicotraumatologico, con particolare riferimento al concetto di Stress Post Traumatico Complesso. Credo che alcune sindromi genericamente etichettate come disturbi dell’umore o disturbi d’ansia generalizzata siano da ri-pensare come secondarie a un disturbo da stress post-traumatico primario. Questo è in linea con il lavoro teorico e clinico di molti autori, in Italia soprattutto Gianni Liotti, vero luminare nell’ambito. Il tentativo da parte del paziente di adattarsi ai sintomi post-traumatici produce, secondo questa lettura, una cascata di sintomi secondari che nel tempo si configurano in sindromi di forma altra, poi diagnosticate e ricondotte a problemi di diversa natura che non hanno più nulla a che fare con il problema a monte. L’adattamento a un disturbo post-traumatico è in questo senso l’inizio di molte forme di disturbi di ansia e di disturbi depressivi: il problema sostanziale rimane tuttavia la gestione di uno stress di tipo post-traumatico, appunto, originario.
  1. I sintomi di natura post-traumatica irrompono nella vita del paziente sotto forma di pensieri intrusivi e ossessivi, sintomi fobici e conseguenti evitamenti di tutti i possibili trigger (un trigger è uno stimolo che ri-attiva le memorie traumatiche, e può arrivare dall’esterno o dall’interno a sè), insieme a pesanti ripercussioni somatiche: far fronte a queste problematiche significa andare ad indagare la percezione di controllo che il paziente senta di avere sulle sue stesse difficoltà. Aiutare il paziente significa restituirgli quote di libertà percepita attraverso un senso di aumentato controllo (tecnicamente mastery). Il trauma purtroppo è accaduto e sarà sempre, centralmente presente nella memoria del paziente: si tratta di capire come gestirlo e come vivere bene, pur in compagnia della sua memoria.
  1. L’irrompere dei sintomi post-traumatici incide sulla continuità e sulla coesione della coscienza e del sé: crescere traumatizzati da abusi cumulativi (traumi chiamati informalmente traumi con la “t” minuscola), o sopravvivere a un trauma maggiore (traumi con la “T” maiuscola), produce la sensazione di essere “interrotti”: esiste un prima e un dopo, la vita sembra cambiare direzione/corso. Credo fermamente che una ricostruzione narrativa degli eventi aumenti il senso di coesione del sé e il senso di controllo sui propri sintomi: ci troviamo lontani dunque da visioni prettamente comportamentistiche o troppo prescrittive. Occorre fornire al paziente lo spazio per un lavoro di rielaborazione dei propri vissuti, insieme ad alcune indicazioni teoriche applicate a riguardo dei propri sintomi e della loro gestione.
  1. E’ facile notare, nel lavoro con i pazienti gravi, enormi problematiche sul piano di quella che in psicoterapia cognitiva viene definita “funzione di regolazione emotiva”: la capacità di modulare le reazioni alle forti emozioni esperite nel corso di un vissuto post-traumatico. Aiutare un paziente significa anche aiutarlo nel tentativo di regolare la portata delle sue emozioni, spesso veementi. La gestione di un’emotività troppo intensa restituisce subito un senso di controllo (aumentata mastery) e di conseguenza un senso di benessere.
  1. Credo che la psicoterapia vada pensata in senso allargato come un approccio multidirezionale alla sintomatologia del paziente. Nel momento in cui sia necessario passare attraverso il lavoro con le cognizioni per modulare i vissuti emozionali e diminuire le ricadute corporee (direzione top-down), sarà la psicoterapia comunemente intesa a essere preferibile; quando invece sarà necessario passare dal corpo per arrivare “in cima” (direzione bottom-up), saranno altre strade a essere battute, più applicate. Questo assunto proviene da un’ulteriore convinzione di base: la completa interdipendenza di mente e corpo. Intervenire sul corpo vuol dire intervenire sulla mente e viceversa, come d’altronde avallato dalla ricerca in ambito neuroscientifico (pensiamo per esempio agli studi relativi alla nascente e avanguardistica branca psico-neuroendocrinoimmunologica).
  2. Lavorare con la sintomatologia portata dal paziente vuol dire avere a che fare con due aspetti di ciò che il paziente porta: i contenuti e i processi. La psicoterapia cognitiva non si occupa tanto dei contenuti, ma si concentra sui processi. Credo che che i contenuti possano essere pensati come figli (in buona o cattiva salute) dei processi mentali -più o meno integri. Quando parliamo di processi mentali intendiamo i processi mediati dalle funzioni meta-cognitive (la capacità di integrare i contenuti inerenti parti di sé diverse, di distinguere un pensiero dall’altro, di distinguere la realtà dal pensiero, di sentire di essere all’interno del proprio corpo, di proiettarsi nella mente dell’altro, ecc.): tutto ciò in altre parole che concerne le cosiddette funzioni mentali superiori (per usare una metafora, non tanto le parole che si usano, ma l’organizzazione del discorso, la sua coerenza interna, la punteggiatura, etc.). In alcuni frangenti del lavoro clinico, è opportuno che la psicoterapia si focalizzi su questi aspetti, più inerenti i “processi”. Visti questi assunti, è chiaro che ipotizzare la lettura della realtà clinica di un paziente filtrata da una lente psicotraumatologica, significa andare a cercare uno stress post-traumatico al di là delle più usuali categorie diagnostiche spesso portate come “biglietto da visita” sia dal paziente che dai suoi -altri- curanti. Dal mio punto di vista, tuttavia, la sua presenza è più frequente di quanto normalmente si pensi.

Osservare le persone, cercare di fare diagnosi a partire da una lente psicotraumatologica, significa infine considerare l’animale uomo come potenzialmente “sano dalla nascita”, ovvero sano e integro -psichicamente, ovviamente al di fuori di quelle che sono le complicanze inerenti il neurosviluppo e le questioni più strettamente neuropsichiatriche- per nascita, e successivamente “toccato” dalla portata dei traumi da esso soggettivamente sperimentati. Spesso le persone sono come alberi cresciuti intorno a un pilastro centrale, a cui si sono inevitabilmente adattati: questo pilastro è l’insieme dei loro traumi – la flessibilità e l’adattabilità dei loro rami, la potenzialità e la positiva capacità di adattamento al trauma stesso.

BIBLIOGRAFIA e approfondimenti:

Liotti, G., Farina B. (2011). Sviluppi Traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Cortina Editore

Van der Hart, O., Nijenhuis, E.R.S., Steel, K. (2011). Fantasmi nel sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Article by admin / Generale

31 May 2018

PREVENIRE LE RECIDIVE DEPRESSIVE: FARMACOTERAPIA, PSICOTERAPIA O ENTRAMBI?

di Luca Proietti

La Preventive Cognitive Therapy (PCT) è spesso proposta come alternativa alla terapia antidepressiva per prevenire le ricadute o le recidive del Disturbo Depressivo Maggiore, ma la sua efficacia non è ancora chiara. La Dott.ssa Bockting ed i colleghi, con uno studio condotto in Olanda, hanno tentato di rispondere alle seguenti domande: la PCT potenzia effettivamente l’efficacia profilattica della terapia antidepressiva? Con la PCT è possibile di scalare e terminare la terapia antidepressiva di mantenimento?

Questo è un breve report sui risultati di un Clinical Trial multicentrico olandese pubblicato sul Lancet Psychiatry di Aprile 2018 con il titolo “Effectiveness of preventive cognitive therapy while tapering antidepressants versus maintenance antidepressant treatment versus their combination in prevention of depressive relapse or recurrence (DRD study): a three-group, multicentre, randomised controlled trial”.

Link alla pagina pubmed https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29625762

Sono stati inclusi nello studio pazienti in fase di recupero o remissione ma ad altro rischio di recidiva depressiva secondo i criteri NICE ed APA (avere sintomi residui, aver avuto almeno 2 episodi depressivi, essere in recupero da almeno 2 mesi ma non più di 2 anni). Sono stati esclusi pazienti con sintomi ipomaniacali o maniacali, storia di disturbo bipolare, psicosi, depressione psicotica, abuso di alcol o droghe, importanti comorbidità con disturbi ansiosi, patologie cerebrali organiche e infine coloro che ricevevano un trattamento psicologico più di tre volte al mese.

Sono stati reclutati 289 pazienti, poi divisi tramite randomizzazione in tre gruppi con differente terapia di mantenimento per la profilassi delle ricadute o recidive depressive:

1° Gruppo: esclusivamente antidepressivi (Solo AD)

2° Gruppo: combinazione di antidepressivi e PCT (AD+PCT)

3° Gruppo: PCT e contemporanea riduzione graduale, fino alla sospensione, degli antidepressivi (Solo PCT)

Dopo due anni di follow-up la percentuale cumulativa di ricadute era stata del 55.1% per la globalità dei pazienti reclutati; del 60% per il gruppo Solo AD; del 63.3% per il gruppo Solo PCT e del 42.6% per il gruppo AD+PCT. Le curve di sopravvivenza dei gruppi Solo AD e Solo PCT nel complesso sono simili tranne durante i primi 140 giorni di follow-up, in cui si osserva una maggiore recidiva per il gruppo con solo PCT. Un’analisi di regressione ha dimostrato che, al netto di fattori confondenti, il mantenimento con Solo AD non è superiore a quello con Solo PCT. Inoltre si è dimostrato che aggiungendo la PCT (gruppo AD+PCT) alla farmacoterapia di mantenimento (gruppo solo AD) il rischio di ricaduta si riduce del 41%.

Con i risultati dello studio gli autori affermano che la sola PCT, con la sospensione progressiva degli antidepressivi, può essere una valida alternativa al mantenimento con terapia psicofarmacologia, indipendentemente dal tipo di farmaci antidepressivi assunti e dal numero di episodi depressivi precedenti. Dopo due anni infatti le due terapie (solo PCT e solo AD) dimostrano efficacia equivalente. Pertanto, la PCT potrebbe essere proposta a tutti quei pazienti che manifestano effetti collaterali o che vorrebbero sospendere gli antidepressivi.

Aggiungere la PCT alla terapia di mantenimento con antidepressivi, oltre a ridurre il rischio di recidiva del 41%, riduce la durata e il numero delle recidive depressive. L’aggiunta della PCT alla terapia farmacologica dunque ha prodotto notevoli benefici nella profilassi delle recidive. Gli autori si domandano allora perché ricevere la PCT negli individui che stavano scalando gli antidepressivi non abbia ridotto il rischio di recidiva (gruppo solo PCT) rispetto a quelli che assumevano solo antidepressivi (gruppo solo AD).

Una possibile risposta, avanzata dagli autori, è che i pazienti potrebbero beneficiare meno della PCT durante la fase di riduzione graduale degli antidepressivi. Durante questa fase in molti pazienti si verifica una sindrome da sospensione, associata inoltre ad un aumento comprensibile della paura di ricadute, che potrebbe contribuire ad una minore efficacia di trattamenti psicoterapici. Questo studio conferma l’importanza della ricerca in psicoterapia (Leichsenring & Steinert 2017), per validare protocolli con approccio integrato, i quali oggi sembrano i migliori da offrire ai pazienti in termini di costi, efficienza ed efficacia (Castelnuovo et al., 2016).

BIBLIOGRAFIA

Leichsenring e Steinert, Is Cognitive Behavioral Therapy the Gold Standard for Psychotherapy? The Need for Plurality in Treatment and Research, JAMA 2017

Castelnuovo et al., Not Only Clinical Efficacy in Psychological Treatments: Clinical Psychology Must Promote Cost-Benefit, Cost-Effectiveness, and Cost-Utility Analysis, Frontiers in Psychology 2016; 7: 563.

Article by admin / Generale

28 May 2018

YOUTH IN ICELAND E IL COMUNE DI SANTA SEVERINA IN CALABRIA

di Raffaele Avico

Si è parlato molto negli ultimi mesi di un modello di intervento messo in atto in Islanda per contrastare il fenomeno dell’alcolismo e della tossicodipendenza tra gli adolescenti, che pare aver dato risultanti vistosamente soddisfacenti (dal 1998, i ragazzi forti consumatori di alcol sono scesi dal 48% al 5%, quelli consumatori di cannabis dal 17% al 7%, come evidenziato nell’immagine sottostante.). Al di là del sensazionalismo mediatico intorno a questi interventi, merita cercare di approfondire la questione per capire in che modo il metodo islandese abbia funzionato.

Il programma si chiamava “Youth in Iceland”, poi ripreso a livello europeo con il nome di Youth in Europe (http://youthineurope.org/), ha preso vita nel 1998 e come dicevamo ha condotto a risultati apparentemente radicali:

Il principio di fondo che ha mosso il progetto, dalla sua origine, è che per combattere le dipendenze occorre, oltre a tentare di curarle, fornire delle alternative valide che garantiscano un divertimento altrettanto allettante, non mediato però da sostanze. Come evidenzia brillantemente questo TED talk (https://www.ted.com/talks/johann_hari_everything_you_think_you_know_about_addiction_is_wrong), il contrario della dipendenza non è solo l’astinenza, ma anche e soprattutto la connessione (interpersonale, verso la famiglia, nei confronti della comunità di appartenenza, etc.).

Il progetto si è mosso seguendo due vie: un primo intervento comportamentale che ha creato una sorta di coprifuoco per i ragazzi adolescenti islandesi e ridotto l’accesso alle sostanze d’abuso (divieto di pubblicità di alcolici e tabacco, divieto di vendita di alcolici a ragazzi sotto i 20 anni), e un secondo intervento, più profondo, che ha previsto l’attuazione di un piano di inserimento dei ragazzi adolescenti entro programmi ricreativi ed educativi (corsi di arte, un’implementazione forte del tempo speso facendo attività sportiva).

Questo secondo intervento era stato motivato da una ricognizione iniziale attraverso un questionario somministrato nelle scuole, che aveva messo in luce un minor uso di sostanze d’abuso laddove il ragazzo adolescente mostrava di passare più tempo a casa e di avere un buon rapporto con la famiglia d’origine, e di partecipare a più attività sportive.

L’intervento, tanto intuitivo quanto difficile, nella pratica, da effettuare (non si trattava di fare semplice prevenzione o attuare politiche cliniche per i ragazzi colpiti di dipendenza, ma di rivoluzionare in parte il concetto di welfare, focalizzandolo e ritagliandolo intorno alle necessità pensate per ragazzi di quella fascia d’età), ha mostrato risultati tanto promettenti da far adottare il modello anche ad altre realtà (come la città di Istanbul e di Terragona in Spagna).

In Italia, l’unico comune aderente e sperimentale in questo senso è il comune di Santa Severina, in provincia di Crotone, Calabria, che promuove e adotta questo tipo di intervento, attraverso il coinvolgimento delle scuole (il questionario, presso Santa Severina, è stato somministrato a 50 ragazzi del liceo classico locale, poi spedito in Islanda per essere elaborato e usato infine come base per costruire i piani di intervento attivi, come si può approfondire qui: http://www.comune.santaseverina.kr.it/index.php?action=index&p=452).

L’adesione alla rete Youth in Europe prevede che il comune interessato si presti a una ricognizione per mezzo del questionario fornito dall’associazione islandese, sulle abitudini relative a cannabis, tabacco, alcol, sport, attività ricreative e qualità dei rapporti famigliari, dei ragazzi di 15-16 anni. L’associazione islandese ha il compito di elaborare i questionari e rispedirli al mittente, con un’idea di ciò che andrebbe fatto: ai singoli comuni poi il compito di attuare programmi di intervento a seconda delle realtà e possibilità locali.

Article by admin / Generale

24 May 2018

FILTRO AFFETTIVO DI KRASHEN: IL RUOLO DELL’AFFETTIVITÀ NELL’IMPARARE

di Raffaele Avico

Chi lavora in ambito scolastico si interfaccia quotidianamente con le differenze soggettive degli allievi, i quali si muovono nel percorso di apprendimento con velocità diverse e metodi personali, non strettamente generalizzabili. Osserviamo in una stessa classe ragazzi che possiedono facilità in alcune materie, altri che sembrano avere dei blocchi su altre, come se esistessero idiosincrasie rispetto, per esempio, al padroneggiare la matematica, o nell’usare la lingua italiana. La natura di queste differenze non è facilmente spiegabile; indubbi fattori di influenza sono il contesto di provenienza (che rappresenta l’imprinting culturale fatto al bambino, che nei primi anni letteralmente si imbeve di ciò che ha intorno a sé attraverso comportamenti emulativi), i primi gruppi di pari, etc.

Osservando questi aspetti, Stephen Krashen, brillante linguista statunitense, ha chiarito in modo sintetico la differenza tra acquisizione ed apprendimento: Krashen inserisce questa distinzione nell’ambito della linguistica e la associa in particolare al momento in cui un bambino, per esempio, debba imparare una (seconda) lingua.

L’acquisizione, infatti, è un processo inconscio che non avviene in modo razionale, quanto piuttosto attraverso l’immergersi dentro la mole degli input che è necessario acquisire (per esempio, un bambino che cresce in una famiglia dove si parla il dialetto, lo fa suo senza studiarlo: lo sente parlare, e lo “osserva”, fino ad acquisirlo). Quando si tratta invece si apprendimento, entra in gioco il lavoro razionale e di studio nel senso più comune del termine.

Krashen sostiene che l’acquisizione è stabile e profonda: l’apprendimento invece, è di durata relativamente breve (qui un interessante articolo di approfondimento: https://amicidellagbpirelli.files.wordpress.com/2015/03/appunti-di-metodo.pdf).

Lo studioso americano è conosciuto poi per un concetto di particolare interesse definito “filtro affettivo”, che mette l’accento su come la componente affettiva intervenga nei processi di apprendimento.

E’ indubbio che l’emotività funzioni da “acceleratore” o “freno” ai processi di apprendimento. Quando c’è pathos e ci emozioniamo nel leggere una poesia, o nel leggere un romanzo, immagazziniamo informazioni con più velocità e con maggiore forza. Krashen ipotizza che esista un filtro affettivo che funzionerebbe come una difesa che viene di volta in volta abbassata o alzata. Esisterebbero quindi differenze di apprendimento da parte del bambino nei confronti di insegnanti diversi. A causa di questo filtro, non sarebbe il bambino in sé a essere al centro del processo di apprendimento, quanto piuttosto il rapporto che esiste con il suo “maestro”. In questo senso, come la psicologia generale ci conferma, l’apprendimento -in ambito scolastico- è sempre un lavoro congiunto, di collaborazione, fatto “in due”. Se riconosciamo in un altro un maestro, per esempio, abbassiamo il “filtro affettivo” lasciando che quello che dice/fa quell’altro produca in noi un cambiamento vero e duraturo: ci lasceremo influenzare solo dopo aver instaurato una relazione con la persona da cui decideremo -in primis- di apprendere. Se la relazione con un insegnante, per esempio, è turbata da fattori relazionali (sentirsi troppo in soggezione, in difficoltà, non provare stima), il filtro affettivo immaginato da Krashen contribuisce a bloccare i processi di transfert che in caso contrario favorirebbero l’imparare da lui/lei, un po’ come succede, in ambito famigliare, ad un figlio che rinneghi tratti caratteriale del padre, costruendosi una propria identità a partire da quello che il padre NON è. Una relazione invece, con un maestro, costruita su un affetto, fa da cornice a un apprendimento molto più profondo e rapido.

Ecco un video in cui lo stesso Krashen ci mostra ciò che intende per filtro affettivo (nel contesto dell’apprendimento di una lingua):

Article by admin / Generale

21 May 2018

DIFFIDATE DELLA VOSTRA RAGIONE: LA PATOLOGIA OSSESSIVA COME ESASPERAZIONE DELLA RAZIONALITÀ

di Luca Proietti

Intervento di Giorgio Nardone alla Conferenza “La patologia ossessiva compulsiva e l’ossessione demoniaca”, Prato, 5 Maggio 2018

 

“CAMBIARE PER CONOSCERE”: CAMBIARE LA PERCEZIONE PRIMA DELLE COGNIZIONI

La Terapia Breve Strategica (TBS) mira al cambiamento dapprima della percezione, e solo in un secondo momento dei processi cognitivi e della reazione comportamentale. Questo assunto la distingue in maniera netta dalla terapia cognitivo comportamentale (CBT), con cui talvolta viene accomunata.

‘‘In terapia è importante che il paziente senta e non solo capisca. Dobbiamo modificare la percezione, non la cognizione, poiché, se modifichiamo la percezione, cambierà la reazione comportamentale e, come esito finale anche la cognizione. Ciò che innesca il processo di cambiamento è il nostro sentire.” (Nardone & Portelli, 2005)

In quest’ottica, come si comprenderà se si visualizza il video allegato, il Disturbo Ossessivo o Ossessivo-Compulsivo viene letto come un prodotto dell’iper-razionalizzazione. Da Platone e Aristotele, al positivismo, per arrivare alla moderna psichiatria e psicologia, il pensiero occidentale “ritiene che la coscienza sia il bene supremo”. La ragione, che ne rappresenta la massima espressione, è considerata la risorsa principale da utilizzare per la risoluzione della maggior parte dei problemi. In ottica Breve Strategica è proprio l’applicazione esasperata della razionalità nel contesto di fenomeni come le interazioni umane a creare la maggior parte dei problemi e dei disturbi; le dinamiche relazionali seguono infatti principi -come ad esempio i paradossi, le contraddizioni e gli autoinganni-, che violano logiche lineari.

IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO

L’eccessiva fede nella ragione porta il soggetto a tentare di controllare razionalmente fenomeni che di per sé sono spontanei e incontrollabili. Questo controllo si può esercitare:

  • Sul pensiero
    • Tentativo di scacciare dalla propria mente pensieri o immagini spiacevoli che diventano sempre più insistenti → Dist. Ossessivo nel pensiero.
    • Tentativo di rispondere mentalmente a dilemmi che sono irrisolvibili razionalmente → Dubbio patologico. Domande stupidi che diventano intelligenti.
  • Sulle funzioni fisiologiche fino ad alterarle → Ipocondria e Attacchi di panico

INTERVENTO NEL DUBBIO PATOLOGICO: BLOCCARE LE RISPOSTE PER INIBIRE LE DOMANDE

Citando un caso clinico, il Professor Nardone espone quello che è il funzionamento del dubbio patologico secondo l’approccio strategico. Un giovane è assillato da ossessioni di tipo dubitativo a cui tenta di rispondere razionalmente. Seguendo l’ipotesi per cui sarebbero proprio i tentativi soluzione messi in atto dal soggetto a mantenere in essere il disturbo (Watzlawick et al., 1978), Nardone ritiene che sia il tentativo razionale di rispondere mentalmente alle domande irrazionali la causa di persistenza del dubbio patologico. La prescrizione è dunque quella di evitare di rispondere mentalmente ai dubbi da cui il soggetto è assediato: prescrizione del “bloccare le risposte per inibire le domande”. (Nardone & De Santis, 2011)

Un’altra tentata soluzione è la ricerca delle evidenze che possano contraddire il dubbio; tuttavia il soggetto, così facendo, diviene ancora più attento alle prove che sembrano confermare il dubbio. Viene quindi prescritta la “ricerca contraddittoria” in cui il paziente è chiamato a ricercare e segnare per iscritto tutte le prove che confermino il dubbio temuto: così facendo viene interrotta la lotta mentale che causa disagio psichico e il soggetto troverà le prove che lo rassicurano (Nardone & De Santis, 2011). Si noti la vicinanza con la tecnica della “prescrizione del sintomo” di matrice sistemico-relazionale. Nardone e De Santis distinguono i dubbi che insinuano nel soggetto il timore di aver compiuto qualche azione moralmente inaccettabile (“Inquisitore interno”), da quelli che minano le convinzioni del soggetto riguardo a scelte compiute (“Sabotatore interno”) (Nardone & De Santis, 2011). Nel dubbio patologico e ancor più nelle ossessioni mentali il disturbo non va combattuto, seguendo una logica lineare razionale, quanto assecondato fino a portarlo a una condizione estrema in cui non è più in grado di nuocere: logica dello stratagemma cinese del “far salire il nemico in soffitta e togliere la scala”.

INTERVENTO NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO: SE FAI 1 FAI 10

Lo stesso stratagemma viene utilizzato nel caso di Disturbi Ossessivi Compulsivi. Il rituale in questo caso viene assecondato aumentandone la ripetizione. Il terapeuta prescrive al paziente:

“Ogni volta che compi il rituale lo fai 10 volte né una di più, né una di meno, puoi non farlo, ma se lo fai, devi farlo 10 volte né una di meno né una di più”. (Nardone & Portelli, 2013)

In questo modo si ricalca la logica del funzionamento del problema e si arriva a controllarlo: “E’ la terapia che impone di ripetere, il rituale non più l’ossessione”; il paziente sperimenta così la percezione per cui se può decidere (il controllo si sposta, passando in mano al terapeuta e poi al paziente), di ripetere il rituale 10 volte può anche non farlo. Troviamo un altro tipo di tentata soluzione quando siamo di fronte a un paziente che richiede anche continue rassicurazioni ai famigliari. In questi casi il terapeuta prescrive ai famigliari, in presenza del paziente, di rispondere ad ogni richiesta di rassicurazioni patologica con “Tu cosa ne pensi ?” per interrompere la modalità patogena di interazione.

Linguaggio Analogico e Digitale

Un’altra prerogativa dell’approccio breve strategico è quello di utilizzare due registri linguistici: uno logico, razionale, descrittivo (digitale) e uno analogico, per immagini, evocativo. Il primo infatti stimola il telencefalo, la parte più evoluta del cervello, mentre il secondo è in grado di attivare il paleoencefalo, la parte più antica, che deve innescare il cambiamento. L’unico modo infatti per vincere una razionalità malata è lavorare sulla mente antica, irrazionale.  (Watzlawick, 2013)

BIBLIOGRAFIA

Giorgio Nardone & Claudette Portelli, Cambiare per conoscere, TEA, Milano, 2005

Nardone & Elisa Balbi, Solcare il mare all’insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento terapeutico e le logiche non ordinarie, Firenze, 2008

Paul Watzlawick, John H. Weakland & Richard Fisch, Change: la formazione e la soluzione dei problemi, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1978

Giorgio Nardone Giulio De Santis, Cogito ergo soffro, Quando pensare troppo fa male, Ponte alle Grazie, Firenze 2011

Giorgio Nardone & Claudette Portelli, Ossessioni compulsioni manie. Capirle e sconfiggerle in tempi brevi, Ponte alle Grazie, Firenze, 2013

Paul Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento, Elementi di comunicazione terapeutica, Feltrinelli, Milano, 2013

Article by admin / Generale / doc

17 May 2018

BREVE STORIA DELL’ELETTROSHOCK

di Matteo Respino

PREMESSA: UN ACCENNO SUL RUOLO DELLA STIMOLAZIONE CEREBRALE, OGGI.

Questo weekend sono stato al congresso internazionale della Society of Biological Psychiatry, tenutosi a New York. Ho notato la presenza di molti interventi sulla stimolazione magnetica transcranica, specialmente in un simposio, di grande successo, che titolava “Bridging the gap of causality in psychiatry”: nel contesto della psichiatria sembra oggi fare la ricomparsa la stimolazione cerebrale, nella forma della stimolazione magnetica transcranica, come forma di terapia fisica dei disturbi mentali. Come suggerito dal titolo del simposio, l’interesse crescente attorno a questo tema deriva sia dalle potenzialità terapeutiche di questo strumento, sia dalla possibilità che esso offre di testare “meccanismi causali” di certi stati affettivi attraverso la modulazione downstream di specifici circuiti cerebrali. Questo solo per sostenere come si assista, e a mio parere si assisterà sempre più, ad un ritorno alle terapie fisiche in psichiatria, con particolare riferimento alle terapie di stimolazione cerebrale.

In psichiatria, la terapia fisica per eccellenza, o quantomeno quella paradigmatica, è l’elettroshock.

La terapia elettroconvulsivante (ECT), comunemente nota come “elettroshock”, è un esempio abbastanza unico di come a volte, per complesse motivazioni storiche, culturali, linguistiche, la comunicazione tra il mondo scientifico della medicina (clinica e ricerca) e quello dell’opinione pubblica possa andare storta. Per una lettura un po’ datata ma approfondita, e sulla quale si basa questo breve report “storico”, consiglio l’articolo “The History of ECT: Unsolved Mysteries”, pubblicato nel 2004 su Psychiatric Times da Edward Shorter, professore di storia della medicina e di psichiatria a Toronto.

L’ECT è una terapia efficace. Le evidenze in questo senso sono molto numerose. Le linee guida inglesi Maudsley Prescribing Guidelines indicano ad esempio l’ECT come una delle terapie di prima scelta per la depressione refrattaria ai trattamenti, basandosi sui risultati di diversi trials clinici. Nell’articolo di Ross et al. Cost-effectiveness of Electroconvulsive Therapy for Treatment-Resistant Depression in the United States, pubblicato quest’anno su JAMA Psychiatry, gli Autori descrivono come, oltre ad essere significativamente più efficace della terapia farmacologica e della psicoterapia (50-60% dei pazienti depressi raggiungono una remissione rapida dopo la terapia rispetto al 10-40% di coloro che sono trattati con farmaci/psicoterapia), utilizzare l’ECT come prima linea di trattamento della “depressione resistente” (fallimento di due farmaci adeguati per dose e tempo di somministrazione) sarebbe la soluzione migliore in termini di “costo-efficacia”, ovvero di sostenibilità economica a livello di sistema.

Allora perché non si utilizza? Perché molti clinici, per non parlare dei pazienti e famigliari, considererebbero tale opzione “eccessivamente aggressiva” o semplicemente ne diffiderebbero a priori? Una visione storica ci aiuterà a capirlo. Inoltre, per un approfondimento di quelli che sono i 5 principali “pregiudizi” sull’elettroshock consiglio caldamente di consultare l’articolo del nostro collega, psichiatra e blogger Valerio Rosso alla pagina https://www.valeriorosso.com/2016/08/17/elettroshock-in-psichiatria/

BREVE STORIA DELL’ECT

Precedenti

La storia dell’ECT rientra nell’ambito delle cosiddette “terapie fisiche in psichiatria”. Il “modello” di questi trattamenti, d’ispirazione per il successivo sviluppo dell’ECT, fu l’induzione di febbre malarica per il trattamento della neurosifilide, inventato dallo psichiatra viennese Wagner von Jauregg. L’antenato dell’ECT, che risale al 1934, è stata la terapia “convulsivante” indotta da molecole come il Cardiazolo (Metrazolo in USA). Lo psichiatra Ladislas von Meduna, infatti, ipotizzò che schizofrenia ed epilessia fossero patologie in reciproco antagonismo, e che pertanto il favorire convulsioni (come quelle presenti in crisi epilettiche) potesse contrastare lo sviluppo schizofrenico.

La nascita, la diffusione e il declino dell’ECT

Poco dopo, nel 1938, lo psichiatra italiano Ugo Cerletti sperimentò con successo l’effetto dell’applicazione di corrente elettrica diretta al cervello: le pubblicazioni di Cerletti (e Bini) ebbero un impatto di grandissima rilevanza anche oltre oceano e dopo pochissimi anni l’ECT si diffuse negli USA. Già nel 1941, da Harvard, provenne il primo manuale titolato “Shock Treatment in Psychiatry: a Manual”, seguito da molti altri testi simili, a testimoniare la diffusione dello strumento.

Stando a quanto sostenuto dallo psichiatra e storico E. Shorter, in quegli anni l’ECT era già stato utilizzato ampliamente dall’esercito USA nella seconda guerra mondiale, e negli anni ’50 era ormai un trattamento standard per i pazienti depressi ricoverati in ospedale. Poi, tutto a un tratto, dagli anni ’60 agli anni ’80 l’ECT sostanzialmente svanì dai programmi di training per psichiatri in USA (N.B.: in Italia, ancora oggi, gli specializzandi in psichiatria non ricevono, di base, una formazione specifica in ECT – data anche la scarsità di centri che lo praticano). Giustamente, Shorter si chiede “why this sudden disappearance of a safe and effective therapy occurred is one the riddles of the history of psychiatry” e prova a chiarire il ruolo di alcuni fattori. Ecco cosa sostiene:

  • In quegli anni, l’opposizione all’elettroshock delle case farmaceutiche era mite se confrontata a quello che sarebbe stata in futuro. Ad esempio, Paul Jansenn (sì, proprio lui, quello della Jansenn) sosteneva apertamente la superiorità dell’ECT nel trattamento delle depressioni rispetto ai farmaci triciclici. Pertanto, l’opposizione (blanda) delle case farmaceutiche non può essere considerata come un fattore determinante, in quel contesto, per la virtuale scomparsa dell’ECT.
  • Allo stesso modo la psicoanalisi, all’epoca imperante nel contesto accademico della psichiatria, non si mostrava apertamente ostile all’ECT. Anzi, Shorter sostiene come negli anni ’50 molti psicoanalisti fossero positivi all’idea di combinare ECT e talking therapy.
  • Il fattore incriminato è stata invece la contro-cultura degli anni ’60, ostile alla psichiatria in genere e specialmente all’ECT, la cui diffusione popolare sarebbe stata favorita da eventi culturali di massa come l’uscita del film One Flew Over the Cuckoo’s Nest (Qualcuno volò sul nido del cuculo) di Milos Forman, ispirato dal libro di Ken Kesey, che ebbe un grande impatto sull’opinione pubblica. In parallelo, legislazioni contro l’ECT vennero approvate in alcuni stati dell’unione, e l’APA (American Psychiatric Association) non forniva che debolissime, se non nulle, voci di sostegno alla procedura.

Una lenta, lentissima ripresa

Un nuovo punto di svolta si ebbe grazie al lavoro di Max Fink, che nel 1979 pubblicava dati sulla maggiore efficacia dell’ECT rispetto agli antidepressivi. Sull’onda di questi nuovi dati sull’efficacia dell’elettroshock (efficacia di cui, nel loro intimo, tutti gli psichiatri erano già a conoscenza), nel 1985, su JAMA, una consensus conference sull’argomento scriveva che “not a single controlled study has shown another form of treatment to be superior to ECT in short-term treatment of severe depression”. Ma nonostante tali endorsements l’ECT ha purtroppo mantenuto, nel tempo, quella “fama” costruita dall’onda della cultura antipsichiatrica, e di cui fatica ancora oggi a liberarsi. Per tornare all’articolo di Ross e colleghi, gli stessi Autori si chiedono per quale motivo l’ECT rimanga una risorsa tanto eccezionale quanto eccezionalmente sottoutilizzata.

A mio parere non vi sono solo le barriere pregiudiziali della popolazione (per le quali, di nuovo, vi rimando calorosamente all’articolo di Valerio Rosso) ma vi è scarsa informazione sui suoi benefici anche tra i professionisti della salute mentale, che continuano a mantenere una visione più cinematografica che reale della procedura ed ancora oggi, per tante ragioni (alcune, a onor del vero, molto pragmatiche), “resistono” all’invio dei pazienti che si gioverebbero dell’ECT. Come citato da Shorter, Fink stesso parlava di “depressione non adeguatamente trattata” in luogo di “depressione resistente”, proprio per queste barriere al trattamento presenti negli stessi operatori. Nella mia breve e recente esperienza, oggi la situazione è quasi invariata. Negli USA, rispetto all’Italia, l’utilizzo dell’ECT è molto più diffuso, e il pregiudizio ad esso associato molto minore. Nel bel paese invece la congiuntura di una forte eredità antipsichiatrica e di pochi (eroici) centri attrezzati all’uso dell’ECT rende la (pre)disposizione di professionisti e pazienti ad affrontare questa terapia alquanto scarsa rispetto alle sue potenzialità.

Vorrei concludere citando direttamente E. Shorter nella parte finale del suo bell’articolo, che risale al 2004 ma che a me sembra ancora assolutamente valido, a distanza di 15 anni.

“[…] la psichiatria rimane infusa di quell tipo particolare di paure e pregiudizi che altre specialità mediche sono capaci di isolare con il muro della medicina basata sulle evidenze. La realtà è che la nostra cultura teme ancora la terapia elettroconvulsivante, esattamente così come alcuni temono ancora le vaccinazioni. I clinici sono ancora riluttanti a raccomandarne l’uso, talvolta per evitare di insospettire/indispettire il paziente e compromttere l’alleanza terapeutica.

In ogni caso, qui non si tratta di lenire dolori reumatici. Stiamo piuttosto parlando di malattie che mettono a rischio la sopravvivenza delle persone, come le forme gravi di depressione melanocolica, la mania e la catatonia. Un trattamento di provata efficacia è disponibile. La follia è non usare tutte le risorse a disposizione della medicina scientifica.”

 

BIBLIOGRAFIA

The Maudsley Prescribing Guidelines, 12th Edition, Wiley Blackwell Editor

Ross, EL et al. Cost-effectiveness of Electroconvulsive Therapy for Treatment-Resistant Depression in the United States. JAMA Psychiatry. Published online May 9, 2018. doi:10.1001/jamapsychiatry.2018.0768

https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2680312

Shorter, E. The History of ECT: Unsolved Mysteries. Psychiatric Times. Febr 1st 2004

 

 

Article by admin / Generale

15 May 2018

TALVOLTA É LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI

di Luca Proietti

Relazione del Professor Alessandro Padovani dal titolo “La depressione nei pazienti con Demenza: dalla diagnosi al trattamento quali aspetti clinici considerare ?” al Congresso  “La depressione nelle patologie neurologiche: evidenze e real life”, Milano, 9 Maggio 2018

Quali sono le relazioni tra la demenza e la depressione?  Quest’ultima è un sintomo prodromico della demenza oppure ne è una reazione? Esistono evidenze della letteratura in merito alla depressione come fattore di rischio per la demenza?  L’intervento del Professor Padovani è volto a fare chiarezza su questo argomento tanto dibattuto, ma spesso liquidato con conclusioni affrettate. É necessario infatti trattare in maniera decisa e senza posizioni di resa prematura la depressione nell’anziano, con l’obiettivo della remissione.

É ormai ampiamente documentata l’esistenza di una frequente associazione tra Deficit Cognitivo e Depressione. Episodi o sintomi depressivi sono infatti diagnosticati frequentemente nel corso di demenze neurodegenerative: in questi contesti la depressione potrebbe infatti rappresentare una reazione psicologica al declino cognitivo; oppure, depressione e demenza potrebbero condividere di fattori di rischio comuni; ulteriori teorie sostengono invece che la depressione slatentizzerebbe demenze ancora subcliniche. Tuttavia, nella pratica clinica si osserva spesso uno stato depressivo che precede il manifestarsi della demenza conclamata. Ciò ha spinto a formulare due ipotesi (Kobayashi & Kato 2011; Lee & Lyketsos 2003; Fischer 1996; Jorm 2000):

  • la depressione potrebbe essere un sintomo prodromico della demenza, legato agli stessi processi degenerativi della demenza ma che in questo caso colpirebbero strutture cerebrali coinvolte nella regolazione dell’umore
  • episodi depressivi, specie se ripetuti, potrebbero causare demenza.

A complicare ulteriormente il quadro, nella depressione si osservano talvolta deficit cognitivi tali da mimare una demenza degenerativa, in assenza di alterazioni organiche e di involuzione progressiva, la cosiddetta “Pseudodemenza Depressiva”. Concorrono a questi deficit la riduzione della velocità di processazione delle informazioni (Brown et al. 2013) e la diminuzione della spinta motivazionale, fenomeni legati sia all’invecchiamento (la velocità di processazione decresce infatti linearmente con l’età) che alla depressione, la quale in età avanzata si manifesta proprio con una prevalenza della dimensione apatico-amotivazionale (Elliot et al. 1996, Kang et al. 2014; Lamberty & Bieliauskas 1993).

Il professor Padovani lancia un monito che ha un immediato risvolto pratico per l’approccio terapeutico: in alcuni casi depressione e demenza potrebbero essere semplicemente due patologie co-occorenti. Prima quindi di voler definire quale delle due patologie sia quella “primaria”, che “causa” o “slatentizza” l’altra, ha senso ed è giusto trattare in maniera efficace la depressione, evitando di arrendersi prematuramente, giustificando la resistenza di questa con il processo neurodegenerativo in corso.

Ma allora come mai queste due patologie sono così frequentemente associate? Secondo Padovani il soggetto che può sviluppare demenza è in una fase della vita che lo espone a maggior rischio di sviluppare depressione.  La senescenza infatti rappresenta una fase della vita in cui il soggetto è più fragile, meno resiliente, e sottoposto a innumerevoli stress psicologici: pensionamento, limitazioni progressive indotte da patologie organiche o dal fisiologico processo di invecchiamento, possibili patologie del coniuge.

Oltretutto, un recentissimo studio con Amyloid-PET (Perin et al., 2018) sembra contraddire l’idea per cui episodi depressivi ricorrenti sarebbero un fattore di rischio per sviluppare demenza (Dotson et al., 2010). Dai risultati di uno studio del 2009 sembra essere l’“apatia”, piuttosto che l’umore depresso, ad anticipare lo sviluppo di demenza (Vicini Chilovi et al.,2009).

Insomma, il dibattito è ancora aperto, ma nel frattempo la depressione dell’anziano, anche quando al primo episodio, va trattata con l’obiettivo di una remissione. Troppo spesso secondo Padovani ci si arrende di fronte alla scarsa risposta della terapia antidepressiva di prima linea, senza potenziarla o cambiare principio attivo, etichettando come resistente e secondario ad una condizione organica immodificabile il quadro depressivo. Questo invece, se adeguatamente trattato, può rispondere anche quando si accompagna a una patologia neurodegenerativa.

BIBLIOGRAFIA

Brown PJ, Liu X, Sneed JR, Pimontel MA, Devanand DP, Roose SP. Speed of processing and depression affect function in older adults with mild cognitive impairment. Am J Geriatr Psychiatry 2013;21:675-84

Dotson VM, Beydoun MA, Zonderman AB., Recurrent depressive symptoms and the incidence of dementia and mild cognitive impairment. Neurology. 2010 Jul 6;75(1):27-34. doi: 10.1212/WNL.0b013e3181e62124.

Elliott R, Sahakian BJ, McKay AP, Herrod JJ, Robbins TW, Paykel ES. Neuropsychological impairments in unipolar depression: The influence of perceived failure on subsequent performance. Psychol Med 1996;26:975–89.

Jorm AF. Is depression a risk factor for dementia or cognitive decline? A review. Gerontology 2000; 46: 219–227

Kang H., Zhao F., You L., Giorgetta C., D V., Sarkhel S., Prakash R., Pseudo-dementia: A neuropsychological review. Ann Indian Acad Neurol. 2014 Apr;17(2):147-54. doi: 10.4103/0972-2327.132613. Kiloh L., Pseudo-dementia. Acta Psychiatr Scand. 1961;37:336-51.

Lamberty G., Bieliauskas L. Distinguishing between depression and dementia in the elderly: a review of neuropsychological findings. Arch Clin Neuropsychol. 1993 Mar;8(2):149-70.

Lee HB, Lyketsos CG. Depression in Alzheimer’s disease: Heterogeneity and related issues. Biol Psychiatry 2003; 54: 353–362.

Perin S et al., Amyloid burden and incident depressive symptoms in preclinical Alzheimer’s disease. J Affect Disord. 2018 Mar 15;229:269-274. doi: 10.1016/j.jad.2017.12.101. Epub 2018 Jan 3.

Vicini Chilovi B, Conti M, Zanetti M, Mazzù I, Rozzini L, Padovani A., Differential impact of apathy and depression in the development of dementia in mild cognitive impairment patients, Dement Geriatr Cogn Disord. 2009;27(4):390-8. doi: 10.1159/000210045. Epub 2009 Apr 1.

 

Article by admin / Generale

  • « Previous Page
  • 1
  • …
  • 22
  • 23
  • 24
  • 25
  • 26
  • 27
  • Next Page »

I NOSTRI ARTICOLI!

  • INTRODUZIONE AL SOMATIC EXPERIENCING DI PETER LEVINE 2 October 2025
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI RUSSELL MEARES SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 24 September 2025
  • IL PRIMO CORSO DI PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI IN ITALIA (PESCARA, 2026) 22 September 2025
  • Recensione e riassunto di “Liberi dal panico” di Pietro Spagnulo (un agile ed economico ebook per introdursi al problema-ed autoaiutarsi) 15 September 2025
  • Being Sapiens e la rubrica “psicoterapeuti italiani”: intervista a Gianandrea Giacoma 1 September 2025
  • 10 ESERCIZI PER LAVORARE CON LE SOTTOPERSONALITÀ GENERATE DAL TRAUMA (#PTSD) 28 July 2025
  • IL PRIMO CONGRESSO AISTED A MILANO (24 E 25 OTTOBRE 2025) 21 July 2025
  • INTERVENTI CLINICI CENTRATI SULLA SOLUZIONE: LE CINQUE DOMANDE (da “Terapia breve centrata sulla soluzione” di Cannistrà e Piccirilli) 15 July 2025
  • A proposito di psicologia dell’aviazione 1 July 2025
  • Clinica del trauma oggi: un approfondimento da POPMed 30 June 2025
  • Collegno: la quarta edizione del Fòl Fest (“Quando cantavo dov’eri tu?”) 11 June 2025
  • Il trauma indotto da perpetrazione (“un altro problema, meno noto, dell’industria della carne”) 10 June 2025
  • Ancora sul modello diagnostico “HiTop” 3 June 2025
  • L’EMDR: AGGIORNAMENTO, CONTROVERSIE E IPOTESI DI FUNZIONAMENTO 15 May 2025
  • NEUROCRIMINOLOGIA: ANNA SARA LIBERATI 6 May 2025
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI FLAVIO CANNISTRÀ 29 April 2025
  • L’UOMO SOVRASOCIALIZZATO. INTRODUZIONE AL PENSIERO DI Ted Kaczynski (UNABOMBER) 23 April 2025
  • RECENSIONE DI “CONVERSAZIONI DI TERAPIA BREVE” DI FLAVIO CANNISTRÁ E MICHAEL F. HOYT 15 April 2025
  • RICERCA E DIVULGAZIONE IN AMBITO DI PSICHEDELICI: 10 LINK 1 April 2025
  • INTERVISTA A MANGIASOGNI 24 March 2025
  • Introduzione al concetto di neojacksonismo 19 March 2025
  • “LE CONSEGUENZE DEL TRAUMA PSICOLOGICO”, UN LIBRO SUL PTSD 5 March 2025
  • Il ripassone. “Costrutti e paradigmi della psicoanalisi contemporanea”, di Giorgio Nespoli 20 February 2025
  • PSICOGENEALOGIA: INTRODUZIONE AL LAVORO DI ANNE ANCELIN SCHÜTZENBERGER 11 February 2025
  • Henri Ey: “Allucinazioni e delirio”, la pubblicazione in italiano per Alpes, a cura di Costanzo Frau 4 February 2025
  • IL CONVEGNO DI BOLOGNA SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (dicembre 2024) 10 January 2025
  • Hakim Bey: T.A.Z. 8 January 2025
  • L’INTEGRAZIONE IN AMBITO PSICHEDELICO – IN BREVE 3 January 2025
  • CARICO ALLOSTATICO: UN’INTRODUZIONE 19 December 2024
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI, EMOZIONI IN CLINICA, LIOTTI: UN APPROFONDIMENTO (E UN’INTERVISTA A LUCIA TOMBOLINI) 2 December 2024
  • Una buona (e completa) introduzione a Jung e allo junghismo. Intervista ad Andrea Graglia 4 November 2024
  • TRAUMA E PSICOSI: ALCUNI VIDEO DALLE “GIORNATE PSICHIATRICHE CERIGNALESI 2024” 17 October 2024
  • “LA GENERAZIONE ANSIOSA”: RECENSIONE APPROFONDITA E VALUTAZIONI 10 October 2024
  • Speciale psichedelici, a cura di Studio Aegle 7 October 2024
  • Le interviste di POPMed Talks 3 October 2024
  • Disturbi da sintomi somatici e di conversione: un approfondimento 17 September 2024
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE: IL CONGRESSO ESTD DI OTTOBRE 2024, A KATOWICE (POLONIA) 20 August 2024
  • POPMed Talks #7: Francesco Sena (speciale Art Brut) 3 August 2024
  • LA (NEONATA) SIMEPSI E UN INTERVENTO DI FABIO VILLA SULLA TERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A LOSANNA 30 July 2024
  • L'”IMAGERY RESCRIPTING” NEL PTSD 18 July 2024
  • Intervista a Francesca Belgiojoso: le fotografie in psicoterapia 1 July 2024
  • Attaccamento traumatico: facciamo chiarezza (di Andrea Zagaria) 24 June 2024
  • KNOT GARDEN (A CURA DEL CENTRO VENETO DI PSICOANALISI) 10 June 2024
  • Costanza Jesurum: un’intervista all’autrice del blog “bei zauberei”, psicoanalista junghiana e scrittrice 3 June 2024
  • LA SVIZZERA, CUORE DEL RINASCIMENTO PSICHEDELICO EUROPEO 29 May 2024
  • Un’alternativa alla psicopatologia categoriale: Hierarchical Taxonomy of Psychopathology (HiTOP) 9 May 2024
  • INVITO A BION 8 May 2024
  • INTERVISTA A FEDERICO SERAGNOLI: IL VIDEO 18 April 2024
  • INCONSCIO NON RIMOSSO E MEMORIA IMPLICITA: UNA RECENSIONE 9 April 2024
  • UN FREE EBOOK (SUL TRAUMA) IN COLLABORAZIONE CON VALERIO ROSSO 3 April 2024
  • GLI INCONTRI DI AISTED: LA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI A GINEVRA (16 APRILE 2024) 28 March 2024
  • La teoria del ‘personaggio’ nell’opera di Antonino Ferro 21 March 2024
  • Psicoterapia assistita da psichedelici: intervista a Matteo Buonarroti 14 March 2024
  • BRESCIA, FEBBRAIO 2024: DUE ESTRATTI DALLA MASTERCLASS “VERSO UNA NUOVA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE” 27 February 2024
  • CAPIRE LA DISPNEA PSICOGENA: DA “SENZA FIATO” DI GIORGIO NARDONE 14 February 2024
  • POPMED TALKS 5 February 2024
  • NASCE L’ASSOCIAZIONE COALA (TORINO) 1 February 2024
  • Camilla Stellato: “Diventare genitori” 29 January 2024
  • Offline is the new luxury, un documentario 22 January 2024
  • MARCO ROVELLI, LA POLITICIZZAZIONE DEL DISAGIO PSICHICO E UN PODCAST DI psicologia fenomenologica 10 January 2024
  • La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico) – di Emiliano Toso 8 January 2024
  • INTRODUZIONE A VIKTOR FRANKL 27 December 2023
  • UN APPROFONDIMENTO DI MAURIZIO CECCARELLI SULLA CONCEZIONE NEO-JACKSONIANA DELLE FUNZIONI MENTALI 14 December 2023
  • 3 MODI DI INTENDERE LA DISSOCIAZIONE: DA UN INTERVENTO DI BENEDETTO FARINA 12 December 2023
  • Il burnout oltre i luoghi comuni (DI RICCARDO GERMANI) 23 November 2023
  • TRATTAMENTO INTEGRATO DELL’ANSIA: INTERVISTA A MASSIMO AGNOLETTI ED EMILIANO TOSO 9 November 2023
  • 10 ARTICOLI SUL JOURNALING E SUI BENEFICI DELLO SCRIVERE 6 November 2023
  • UN’INTERVISTA A GIUSEPPE CRAPARO SU PIERRE JANET 30 October 2023
  • CONTRASTARE IL DECADIMENTO COGNITIVO: ALCUNI SPUNTI PRATICI 26 October 2023
  • PTSD (in podcast) 25 October 2023
  • ANIMALI CHE SI DROGANO, DI GIORGIO SAMORINI 12 October 2023
  • VERSO UNA TERAPIA ESPOSITIVA DI PRECISIONE: PREFAZIONE 7 October 2023
  • Congresso Bari SITCC 2023: un REPORT 2 October 2023
  • GLI INCONTRI ORGANIZZATI DA AISTED, Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione 25 September 2023
  • CANNABISCIENZA.IT 22 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA (IN PODCAST) 18 September 2023
  • TERAPIA ESPOSITIVA: INTERVISTA A EMILIANO TOSO (PARTE SECONDA) 4 September 2023
  • POPMED: 10 articoli/novità dal mondo della letteratura scientifica in ambito “psi” (ogni 15 giorni) 30 August 2023
  • DIFFUSIONE PATOLOGICA DELL’ATTENZIONE E SUPERFICIALITÀ DIGITALE. UN ESTRATTO DA “PSIQ” di VALERIO ROSSO 23 August 2023
  • LE FRONTIERE DELLA TERAPIA ESPOSITIVA. INTERVISTA A EMILIANO TOSO 12 August 2023
  • NIENTE COME PRIMA, DI MANGIASOGNI 8 August 2023
  • NASCE IL “GRUPPO DI INTERESSE SULLA PSICOPATOLOGIA” DI AISTED (Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) 26 July 2023
  • Psychedelic Science Conference 2023 – lo stato dell’arte sulle terapie psichedeliche  15 July 2023
  • RENDERE NON NECESSARIA LA DISSOCIAZIONE: DA UN ARTICOLO DI VAN DER HART, STEELE, NIJENHUIS 29 June 2023
  • EMBODIED MINDS: INTERVISTA A SARA CARLETTO 21 June 2023
  • Psychiatry On Line Italia: 10 rubriche da non perdere! 7 June 2023
  • CURARE LA PSICHIATRIA DI ANDREA VALLARINO (INTRODUZIONE) 1 June 2023
  • UN RICORDO DI LUIGI CHIRIATTI, STUDIOSO DI TARANTISMO 30 May 2023
  • PHENOMENAUTICS 20 May 2023
  • 6 MESI DI POPMED, PER TORNARE ALLA FONTE 18 May 2023
  • GLI PSICOFARMACI PER LO STRESS POST TRAUMATICO (PTSD) 8 May 2023
  • ILLUSIONI IPNAGOGICHE, SONNO E PTSD 4 May 2023
  • SI PUÓ DIRE MORTE? INTERVISTA A DAVIDE SISTO 27 April 2023
  • CENTRO SORANZO: INTERVISTA A MAURO SEMENZATO 12 April 2023
  • Laetrodectus, che morde di nascosto 6 April 2023
  • STABILIZZAZIONE E CONFINI: METTERE PALETTI PER REGOLARSI 4 April 2023
  • L’eredità teorica di Giovanni Liotti 31 March 2023
  • “UN RITMO PER L’ANIMA”, TARANTISMO E DINTORNI 7 March 2023
  • SUICIDIO: SPUNTI DAL LAVORO DI MAURIZIO POMPILI E EDWIN SHNEIDMAN 9 January 2023
  • SUPERHERO THERAPY. INTERVISTA A MARTINA MIGLIORE 5 December 2022
  • Allucinazioni nel trauma e nella psicosi. Un confronto psicopatologico 26 November 2022
  • FUGA DI CERVELLI 15 November 2022
  • PSICOTERAPIA DELL’ANSIA: ALCUNI SPUNTI 7 November 2022
  • LA Q DI QOMPLOTTO 25 October 2022
  • POPMED: UN ESEMPIO DI NEWSLETTER 12 October 2022
  • INTERVISTA A MAURO BOLOGNA, PRESIDENTE SIPNEI 10 October 2022
  • IL “MANUALE DELLE TECNICHE PSICOLOGICHE” DI BERNARDO PAOLI ED ENRICO PARPAGLIONE 6 October 2022
  • POPMED, UNA NEWSLETTER DI AGGIORNAMENTO IN AREA “PSI”. PER TORNARE ALLA FONTE 30 September 2022
  • IL CONVEGNO SIPNEI DEL 1 E 2 OTTOBRE 2022 (FIRENZE): “LA PNEI NELLA CLINICA” 20 September 2022
  • LA TEORIA SULLA NASCITA DEL PENSIERO DI WILFRED BION 1 September 2022
  • NEUROFEEDBACK: INTERVISTA A SILVIA FOIS 10 August 2022
  • La depressione come auto-competizione fallimentare. Alcuni spunti da “La società della stanchezza” di Byung Chul Han 27 July 2022
  • SCOPRIRE LA SIPNEI. INTERVISTA A FRANCESCO BOTTACCIOLI 6 July 2022
  • PERFEZIONISMO: INTERVISTA A VERONICA CAVALLETTI (CENTRO TAGES ONLUS) 6 June 2022
  • AFFRONTARE IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITÁ 28 May 2022
  • GARBAGE IN, GARBAGE OUT.  INTERVISTA FIUME A ZIO HACK 21 May 2022
  • PTSD: ALCUNE SLIDE IN FREE DOWNLOAD 10 May 2022
  • MANAGEMENT DELL’INSONNIA 3 May 2022
  • “IL LAVORO NON TI AMA”: UN PODCAST SULLA HUSTLE CULTURE 27 April 2022
  • “QUI E ORA” DI RONALD SIEGEL. IL LIBRO PERFETTO PER INTRODURSI ALLA MINDFULNESS 20 April 2022
  • Considerazioni sul trattamento di bambini e adolescenti traumatizzati 11 April 2022
  • IL COLLASSO DEL CONTESTO NELLA PSICOTERAPIA ONLINE 31 March 2022
  • L’APPROCCIO “OPEN DIALOGUE”. INTERVISTA A RAFFAELLA POCOBELLO (CNR) 25 March 2022
  • IL CORPO, IL PANICO E UNA CORRETTA DIAGNOSI DIFFERENZIALE: INTERVISTA AD ANDREA VALLARINO 21 March 2022
  • RECENSIONE: L’EREDITÁ DI BION (A CURA DI ANTONIO CIOCCA) 20 March 2022
  • GLI PSICHEDELICI COME STRUMENTO TRANSDIAGNOSTICO DI CURA, IL MODELLO BIPARTITO DELLA SEROTONINA E L’INFLUENZA DELLA PSICOANALISI 7 March 2022
  • FOTOTERAPIA: JUDY WEISER e il lavoro con il lutto 1 March 2022
  • PLACEBO E DOLORE: IL POTERE DELLA MENTE (da un articolo di Fabrizio Benedetti) 14 February 2022
  • INTERVISTA A RICCARDO CASSIANI INGONI: “Metodo T.R.E.®” E TECNICHE BOTTOM-UP PER L’APPROCCIO AL PTSD 3 February 2022
  • SPIDER, CRONENBERG 26 January 2022
  • LE TEORIE BOTTOM-UP NELLA PSICOTERAPIA DEL POST-TRAUMA (di Antonio Onofri e Giovanni Liotti) 17 January 2022
  • 24 MESI DI PSICOTERAPIA ONLINE 10 January 2022
  • LA TOSSICODIPENDENZA COME TENTATIVO DI AMMINISTRARE LA SINDROME POST-TRAUMATICA 7 January 2022
  • La Supervisione strategica nei contesti clinici (Il lavoro di gruppo con i professionisti della salute e la soluzione dei problemi nella clinica) 4 January 2022
  • PSICHEDELICI: LA SCIENZA DIETRO L’APP “LUMINATE” 21 December 2021
  • ASYLUMS DI ERVING GOFFMAN, PER PUNTI 14 December 2021
  • LA SINDROME DI ASPERGER IN BREVE 7 December 2021
  • IL CONVEGNO DI SAN DIEGO SULLA PSICOTERAPIA ASSISTITA DA PSICHEDELICI (marzo 2022) 2 December 2021
  • PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA E DEEP BRAIN REORIENTING. INTERVISTA A PAOLO RICCI (AISTED) 29 November 2021
  • INTERVISTA A SIMONE CHELI (ASSOCIAZIONE TAGES ONLUS) 25 November 2021
  • TRAUMA: IMPOSTAZIONE DEL PIANO DI CURA E PRIMO COLLOQUIO 16 November 2021
  • TEORIA POLIVAGALE E LAVORO CON I BAMBINI 9 November 2021
  • INTRODUZIONE A BYUNG-CHUL HAN: IL PROFUMO DEL TEMPO 3 November 2021
  • IT (STEPHEN KING) 27 October 2021
  • JUDITH LEWIS HERMAN: “GUARIRE DAL TRAUMA” 22 October 2021
  • ANCORA SU PIERRE JANET 15 October 2021
  • PSICONUTRIZIONE: IL LAVORO DI FELICE JACKA 3 October 2021
  • MEGLIO MALE ACCOMPAGNATI CHE SOLI: LE STRATEGIE DI CONTROLLO IN INFANZIA (PTSDc) 30 September 2021
  • OVERLOAD COGNITIVO ED ECOLOGIA MENTALE 21 September 2021
  • UN LUOGO SICURO 17 September 2021
  • 3MDR: UNO STRUMENTO SPERIMENTALE PER COMBATTERE IL PTSD 13 September 2021
  • UN LIBRO PER L’ESTATE: “COME ANNOIARSI MEGLIO” DI PIETRO MINTO 6 August 2021
  • “I fondamenti emotivi della personalità”, JAAK PANKSEPP: TAKEAWAYS E RECENSIONE 3 August 2021
  • LIFESTYLE PSYCHIATRY 28 July 2021
  • LE DIVERSE FORME DI SINTOMO DISSOCIATIVO 26 July 2021
  • PRIMO LEVI, LA CARCERAZIONE E IL TRAUMA 19 July 2021
  • “IL PICCOLO PARANOICO” DI BERNARDO PAOLI. PARANOIA, AMBIVALENZA E MODELLO STRATEGICO 14 July 2021
  • RECENSIONE PER PUNTI DI “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE” 8 July 2021
  • I VIRUS: IL LORO RUOLO NELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE 7 July 2021
  • LA PLUSDOTAZIONE SPIEGATA IN BREVE 1 July 2021
  • COS’É LA COGNITIVE PROCESSING THERAPY? 24 June 2021
  • SULLA TERAPIA ESPOSITIVA PER I DISTURBI FOBICI: IL MODELLO DI APPRENDIMENTO INIBITORIO DI MICHELLE CRASKE 19 June 2021
  • É USCITO IL SECONDO EBOOK PRODOTTO DA AISTED 15 June 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche -con il blog Psicologia Fenomenologica. 7 June 2021
  • PSICHIATRIA DI COMUNITÁ: LA SCELTA DI UN METODO 31 May 2021
  • PTSD E SPAZIO PERIPERSONALE: DA UN ARTICOLO DI DANIELA RABELLINO ET AL. 26 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO ONLINE CON VALERIO ROSSO, MARCO CREPALDI, LUCA PROIETTI, BERNARDO PAOLI, GENNARO ROMAGNOLI 22 May 2021
  • MDMA PER IL PTSD: NUOVE EVIDENZE 21 May 2021
  • MAP (MULTIPLE ACCESS PSYCHOTHERAPY): IL MODELLO DI PSICOTERAPIA AD APPROCCI COMBINATI CON ACCESSO MULTIPLO DI FABIO VEGLIA 18 May 2021
  • CURANDO IL CORPO ABBIAMO PERSO LA TESTA: UN CONVEGNO GRATUITO ONLINE (21 MAGGIO) 13 May 2021
  • BALBUZIE: COME USCIRNE (il metodo PSICODIZIONE) 10 May 2021
  • PANICO: INTERVISTA AD ANDREA IENGO (PANICO.HELP) 7 May 2021
  • Psicologia digitale e pandemia COVID19: il report del Centro Medico Santagostino di Milano dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP) 4 May 2021
  • SOLCARE IL MARE ALL’INSAPUTA DEL CIELO. Liberalizzare come terapia: il problema dell’autocontrollo in clinica 30 April 2021
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO” 25 April 2021
  • La psicologia fenomenologica nelle comunità terapeutiche 25 April 2021
  • 3 STRUMENTI CONTRO IL TRAUMA (IN BREVE): TAVOLA DISSOCIATIVA, DISSOCIAZIONE VK E CAMBIO DI STORIA 23 April 2021
  • IL MALADAPTIVE DAYDREAMING SPIEGATO PER PUNTI 17 April 2021
  • UN VIDEO PER CAPIRE LA DISSOCIAZIONE 12 April 2021
  • CORRELATI MORFOLOGICI E FUNZIONALI DELL’EMDR: UNA PANORAMICA SULLA NEUROBIOLOGIA DEL TRATTAMENTO DEL PTSD 4 April 2021
  • TRAUMA E DISSOCIAZIONE IN ETÁ EVOLUTIVA: (VIDEO)INTERVISTA AD ANNALISA DI LUCA 1 April 2021
  • GLI EFFETTI POLARIZZANTI DELLA BOLLA INFORMATIVA. INTERVISTA A NICOLA ZAMPERINI DEL BLOG “DISOBBEDIENZE” 30 March 2021
  • SVILUPPARE IL PENSIERO LATERALE (EDWARD DE BONO) – RECENSIONE 24 March 2021
  • MDMA PER IL POST-TRAUMA: BEN SESSA E ALTRI RIFERIMENTI IN RETE 22 March 2021
  • 8 LIBRI FONDAMENTALI SU TRAUMA E DISSOCIAZIONE 14 March 2021
  • VIDEOINTERVISTA A CATERINA BOSSA: LAVORARE CON IL TRAUMA 7 March 2021
  • PRIMO SOCCORSO PSICOLOGICO E INTERVENTO PERI-TRAUMATICO: IL LAVORO DI ALAIN BRUNET ED ESSAM DAOD 2 March 2021
  • “SHARED LIVES” NEL REGNO UNITO: FORME DI PSICHIATRIA D’AVANGUARDIA 25 February 2021
  • IL TRAUMA (PTSD) NEGLI ANIMALI (PARTE 1) 21 February 2021
  • FLOW: una definizione 15 February 2021
  • NEUROBIOLOGIA DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO (PTSD) 8 February 2021
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE (SECONDA PARTE): FINE PENA MAI 3 February 2021
  • INTERVISTA A COSTANZO FRAU: DISSOCIAZIONE, TRAUMA, CLINICA 1 February 2021
  • LO SPETTRO IMPULSIVO COMPULSIVO. I DISTURBI OSSESSIVO COMPULSIVI SONO DISTURBI DA ADDICTION? 25 January 2021
  • ANATOMIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (E PSICOTERAPIA) 15 January 2021
  • LA STRANGE SITUATION IN BREVE e IL TRAUMA COMPLESSO 11 January 2021
  • GIORNALISMO = ENTERTAINMENT 6 January 2021
  • SIMBOLIZZARE IL TRAUMA: IL RUOLO DELL’ATTO ARTISTICO 2 January 2021
  • PSICHIATRIA: IL MODELLO DE-ISTITUZIONALIZZANTE DI GEEL, BELGIO (The Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum) 28 December 2020
  • STABILIZZARE I SINTOMI POST TRAUMATICI: ALCUNI ASPETTI PRATICI 18 December 2020
  • Psicoterapia breve strategica del Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Intervista ad Andrea Vallarino e Luca Proietti 14 December 2020
  • CRONOFAGIA DI DAVIDE MAZZOCCO: CONTRO IL FURTO DEL TEMPO 10 December 2020
  • PODCAST: SPECIALIZZAZIONE IN PSICHIATRIA E CLINICA A CHICAGO, con Matteo Respino 8 December 2020
  • COME GESTIRE UNA DIPENDENZA? 4 PIANI DI INTERVENTO 3 December 2020
  • INTRODUZIONE A JAAK PANKSEPP 28 November 2020
  • INTERVISTA A DANIELA RABELLINO: LAVORARE CON RUTH LANIUS E NEUROBIOLOGIA DEL TRAUMA 20 November 2020
  • MDMA PER IL TRAUMA: VIDEOINTERVISTA A ELLIOT MARSEILLE (A CURA DI JONAS DI GREGORIO) 16 November 2020
  • PSICHIATRIA E CINEMA: I CINQUE MUST-SEE (a cura di Laura Salvai, Psychofilm) 12 November 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: una definizione e alcuni link di approfondimento 7 November 2020
  • SCOPRIRE IL FOREST BATHING 2 November 2020
  • IL TRAUMA COME APPRENDIMENTO A PROVA SINGOLA (ONE TRIAL LEARNING) 28 October 2020
  • IL PANICO COME ROTTURA (RAPPRESENTATA) DI UN ATTACCAMENTO? da un articolo di Francesetti et al. 24 October 2020
  • LE PENSIONI DEGLI PSICOLOGI: INTERVISTA A LORENA FERRERO 21 October 2020
  • INTERVISTA A JONAS DI GREGORIO: IL RINASCIMENTO PSICHEDELICO 18 October 2020
  • IL RITORNO (MASOCHISTICO?) AL TRAUMA. Intervista a Rossella Valdrè 13 October 2020
  • ASCESA E CADUTA DEI COMPETENTI: RADICAL CHOC DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 6 October 2020
  • L’EMDR: QUANDO USARLO E CON QUALI DISTURBI 30 September 2020
  • FACEBOOK IS THE NEW TOBACCO. Perchè guardare “The Social Dilemma” su Netflix 28 September 2020
  • SPORT, RILASSAMENTO, PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA: oltre la parola per lo stress post traumatico 21 September 2020
  • IL MODELLO TRIESTINO, UN’ECCELLENZA ITALIANA. Intervista a Maria Grazia Cogliati Dezza e recensione del docufilm “La città che cura” 15 September 2020
  • IL RITORNO DEL RIMOSSO. Videointervista a Luigi Chiriatti su tarantismo e neotarantismo 10 September 2020
  • FARE PSICOTERAPIA VIAGGIANDO: VIDEOINTERVISTA A BERNARDO PAOLI 2 September 2020
  • SUL MERCATO DELLA DOPAMINA: INTERVISTA A VALERIO ROSSO 31 August 2020
  • TARANTISMO: 9 LINK UTILI 27 August 2020
  • FRANCESCO DE RAHO SUL TARANTISMO, tra superstizione e scienza 26 August 2020
  • ATTACCHI DI PANICO: IL MODELLO SUL CONTROLLO 7 August 2020
  • SHELL SHOCK E PRIMA GUERRA MONDIALE: APPORTI VIDEO 31 July 2020
  • LA LUNA, I FALÒ, ANGUILLA: un romanzo sulla melanconia 27 July 2020
  • VIDEOINTERVISTA A FERNANDO ESPI FORCEN: LAVORARE COME PSICHIATRA A CHICAGO 20 July 2020
  • ALCUNI ESTRATTI DALLA RUBRICA “GROUNDING” (PDF) 14 July 2020
  • STRESS POST TRAUMATICO: IL MODELLO A CASCATA. Da un articolo di Ruth Lanius 10 July 2020
  • OTTO KERNBERG SUGLI OBIETTIVI DI UNA PSICOANALISI: DA UNA VIDEOINTERVISTA 3 July 2020
  • SONNO, STRESS E TRAUMA 27 June 2020
  • Il SAFE AND SOUND PROTOCOL, UNO STRUMENTO REGOLATIVO. Videointervista a GABRIELE EINAUDI 23 June 2020
  • IL CONTROLLO CHE FA PERDERE IL CONTROLLO: UNA VIDEOINTERVISTA AD ANDREA VALLARINO SUL DISTURBO DI PANICO 11 June 2020
  • STRESS, RESILIENZA, ADATTAMENTO, TRAUMA – Alcune definizioni per creare una mappa clinicamente efficace 5 June 2020
  • DA “LA GUIDA ALLA TEORIA POLIVAGALE”: COS’É LA NEUROCEZIONE 3 June 2020
  • AUTO-TRADIRSI. UNA DEFINIZIONE DI MORAL INJURY 28 May 2020
  • BASAGLIA RACCONTA IL COVID 26 May 2020
  • FONDAMENTI DI PSICOTERAPIA: LA FINESTRA DI TOLLERANZA DI DANIEL SIEGEL 20 May 2020
  • L’EBOOK AISTED: “AFFRONTARE IL TRAUMA PSICHICO: il post-emergenza.” 18 May 2020
  • NOI, ESSERI UMANI POST- PANDEMICI 14 May 2020
  • PUNTI A FAVORE E PUNTI CONTRO “CHANGE” di P. Watzlawick, J.H. Weakland e R. Fisch 9 May 2020
  • APPORTI VIDEO SUL TARANTISMO – PARTE 2 4 May 2020
  • RISCOPRIRE L’ARCHIVIO (VIDEO) DI PSYCHIATRY ON LINE PER I SUOI 25 ANNI 2 May 2020
  • SULL’IMMOBILITÀ TONICA NEGLI ANIMALI. Alcuni spunti da “IPNOSI ANIMALE, IMMOBILITÁ TONICA E BASI BIOLOGICHE DI TRAUMA E DISSOCIAZIONE” 30 April 2020
  • FOBIE SPECIFICHE IN BREVE 25 April 2020
  • JEAN PIAGET E LA SHARING ECONOMY 25 April 2020
  • LO STATO DELL’ARTE INTORNO ALLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA MEMORIA: SUL MODO IN CUI SI E’ ARRIVATI ALLA CREAZIONE DEL CONCETTO DI RICORDO CONGIUNTO E SU QUANTO LA VITA RELAZIONALE INFLUENZI I PROCESSI DI SVILUPPO DELLA MEMORIA 25 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.3 – MODELLO ITALIANO E MODELLO BELGA A CONFRONTO, CON GIOVANNA JANNUZZI! 22 April 2020
  • RISCOPRIRE PIERRE JANET: PERCHÉ ANDREBBE LETTO DA CHIUNQUE SI OCCUPI DI TRAUMA? 21 April 2020
  • AGGIUNGERE LEGNA PER SPEGNERE IL FUOCO. TERAPIA BREVE STRATEGICA E DISTURBI FOBICI 17 April 2020
  • INTERVISTA A NICOLÓ TERMINIO: L’UOMO SENZA INCONSCIO 13 April 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.3 10 April 2020
  • IL PODCAST DE IL FOGLIO PSICHIATRICO EP.2 – MODELLO ITALIANO E MODELLO SVIZZERO A CONFRONTO, CON OMAR TIMOTHY KHACHOUF! 6 April 2020
  • ANTONELLO CORREALE: IL QUADRO BORDERLINE IN PUNTI 4 April 2020
  • 10 ANNI DI E.J.O.P: DOVE SIAMO? 31 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.2 27 March 2020
  • PSICOLOGIA DELLA CARCERAZIONE: RISTRETTI.IT 25 March 2020
  • NELLE CORNA DEL BUE LUNARE: IL LAVORO DI LIDIA DUTTO 16 March 2020
  • LA COLPA NEL DOC: LA MENTE OSSESSIVA DI FRANCESCO MANCINI 12 March 2020
  • TORNARE ALLE FONTI. COME LEGGERE IN MODO CRITICO UN PAPER SCIENTIFICO PT.1 6 March 2020
  • PREFAZIONE DI “PTSD: CHE FARE?”, a cura di Alessia Tomba 5 March 2020
  • IL PODCAST DE “IL FOGLIO PSICHIATRICO”: EP.1 – FERNANDO ESPI FORCEN 29 February 2020
  • NERVATURE TRAUMATICHE E PREDISPOSIZIONE AL PTSD 13 February 2020
  • RIMOZIONE E DISSOCIAZIONE: FREUD E PIERRE JANET 3 February 2020
  • TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI E PSICOPATOLOGIA: DENNY BORSBOOM 17 January 2020
  • LA CULTURA DELL’INDAGINE: IL MASTER IN TERAPIA DI COMUNITÀ DEL PORTO 15 January 2020
  • IMPATTO DELL’ESERCIZIO FISICO SUL PTSD: UNA REVIEW E UN PROGRAMMA DI ALLENAMENTO 30 December 2019
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI GIULIO TONONI 27 December 2019
  • THOMAS INSEL: FENOTIPI DIGITALI IN PSICHIATRIA 19 December 2019
  • HPPD: HALLUCINOGEN PERCEPTION PERSISTING DISORDER 12 December 2019
  • SU “LA DIMENSIONE INTERPERSONALE DELLA COSCIENZA” 24 November 2019
  • INTRODUZIONE AL MODELLO ORGANODINAMICO DI HENRI EY 15 November 2019
  • IL SIGNORE DELLE MOSCHE letto oggi 4 November 2019
  • PTSD E SLOW-BREATHING: RESPIRARE PER DOMINARE 29 October 2019
  • UNA DEFINIZIONE DI “TRAUMA DA ATTACCAMENTO” 18 October 2019
  • PROCHASKA, DICLEMENTE, ADDICTION E NEURO-ETICA 24 September 2019
  • NOMINARE PER DOMINARE: L’AFFECT LABELING 20 September 2019
  • MEMORIA, COSCIENZA, CORPO: TRE AREE DI IMPATTO DEL PTSD 13 September 2019
  • CAUSE E CONSEGUENZE DELLO STIGMA 9 September 2019
  • IMMAGINI DEL TARANTISMO: CHIARA SAMUGHEO 14 August 2019
  • “LA CITTÀ CHE CURA”: COSA SONO LE MICROAREE DI TRIESTE? 8 August 2019
  • LA TRASMISSIONE PER VIA GENETICA DEL PTSD: LO STATO DELL’ARTE 28 July 2019
  • IL LAVORO DI CARLA RICCI SUL FENOMENO HIKIKOMORI 24 July 2019
  • QUALI FONTI USARE IN AMBITO DI PSICHIATRIA E PSICOLOGIA CLINICA? 16 July 2019
  • THE MASTER AND HIS EMISSARY: PERCHÉ ABBIAMO DUE EMISFERI? 8 July 2019
  • PTSD: QUANDO LA MINACCIA É INTROIETTATA 28 June 2019
  • LA PSICOTERAPIA COME LABORATORIO IDENTITARIO 11 June 2019
  • DEEP BRAIN REORIENTING – IN CHE MODO CONTRIBUISCE AL TRATTAMENTO DEI TRAUMI? 6 June 2019
  • STRANGER DREAMS: STORIE DI DEMONI, STREGHE E RAPIMENTI ALIENI – Il fenomeno della paralisi del sonno nella cultura popolare 4 June 2019
  • ALCUNI SPUNTI DA “LA GUERRA DI TUTTI” DI RAFFAELE ALBERTO VENTURA 28 May 2019
  • Psicopatologia Generale e Disturbi Psicologici nel Trono di Spade 22 May 2019
  • L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI DI ELABORAZIONE E IL “DEFAULT MODE” 18 May 2019
  • LA PEDAGOGIA STEINER-WALDORF PER PUNTI 14 May 2019
  • SOSTANZE PSICOTROPE E INDUSTRIA DEL MASSACRO: LA MODERNA CORSA AGLI ARMAMENTI FARMACOLOGICI 7 May 2019
  • MENO CONTENUTO, PIÙ PROCESSI. NUOVE LINEE DI PENSIERO IN AMBITO DI PSICOTERAPIA 3 May 2019
  • IL PROBLEMA DEL DROP-OUT IN PSICOTERAPIA RIASSUNTO DA LEICHSENRING E COLLEGHI 30 April 2019
  • SUL REHEARSAL 15 April 2019
  • DUE PROSPETTIVE PSICOANALITICHE SUL NARCISISMO 12 April 2019
  • TERAPIA ESPOSITIVA IN REALTÀ VIRTUALE PER IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA: META-ANALISI DI STUDI RANDOMIZZATI 3 April 2019
  • DISSOCIAZIONE: COSA SIGNIFICA 29 March 2019
  • IVAN PAVLOV SUL PTSD: LA VICENDA DEI “CANI DEPRESSI” 26 March 2019
  • A PROPOSITO DI POST VERITÀ 22 March 2019
  • TARANTISMO COME PSICOTERAPIA SENSOMOTORIA? 19 March 2019
  • R.D. HINSHELWOOD: DUE VIDEO DA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA “IL PORTO” DI MONCALIERI E DALLA RIVISTA PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE 15 March 2019
  • EMDR = SLOW WAVE SLEEP? UNO STUDIO DI MARCO PAGANI 12 March 2019
  • LA FORMA DELL’ISTITUZIONE MANICOMIALE: L’ARCHITETTURA DELLA PSICHIATRIA 8 March 2019
  • PSEUDOMEDICINA, DEMENZA E SALUTE CEREBRALE 5 March 2019
  • FARMACOTERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO (DOC) DAL PRESENTE AL FUTURO 19 February 2019
  • INTERVISTA A GIOVANNI ABBATE DAGA. ALCUNI APPROFONDIMENTI SUI DCA 15 February 2019
  • COSA RENDE LA KETAMINA EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE? UN PROBLEMA IRRISOLTO 11 February 2019
  • CONCETTI GENERALI SULLA TEORIA POLIVAGALE DI STEPHEN PORGES 1 February 2019
  • UNO SGUARDO AL DISTURBO BIPOLARE 28 January 2019
  • DEPRESSIONE, DEMENZA E PSEUDODEMENZA DEPRESSIVA 25 January 2019
  • Il CORPO DISSIPA IL TRAUMA: ALCUNE OSSERVAZIONI DAL LAVORO DI PETER A. LEVINE 22 January 2019
  • IL PTSD SOFFERTO DAGLI SCIMPANZÈ, COSA CI DICE SUL NOSTRO FUNZIONAMENTO? 18 January 2019
  • QUANDO IL PROBLEMA È IL PASSATO, LA RICERCA DEI PERCHÈ NON AIUTA 15 January 2019
  • PILLOLE DI MASTERY: DI CHE SI TRATTA? 12 January 2019
  • IL GORGO di BEPPE FENOGLIO 7 January 2019
  • VOCI: VERSO UNA CONSIDERAZIONE TRANSDIAGNOSTICA? 2 January 2019
  • DALLA SCUOLA DI NEUROETICA 2018 DI TRIESTE, ALCUNE RIFLESSIONI SUL PROBLEMA ADDICTION 21 December 2018
  • ACTING OUT ED ENACTMENT: UN ESTRATTO DAL LIBRO RESISTENZA AL TRATTAMENTO E AUTORITÀ DEL PAZIENTE – AUSTEN RIGGS CENTER 18 December 2018
  • CONCETTI GENERALI SUL DEFAULT-MODE NETWORK 13 December 2018
  • NON È ANORESSIA, NON È BULIMIA: È VOMITING 11 December 2018
  • PATRICIA CRITTENDEN: UN APPROFONDIMENTO 6 December 2018
  • UDITORI DI VOCI: VIDEO ESPLICATIVI 30 November 2018
  • IMPUTABILITÀ: DA UN TESTO DI VITTORINO ANDREOLI 27 November 2018
  • OLTRE IL DSM: LA TASSONOMIA GERARCHICA DELLA PSICOPATOLOGIA. DI COSA SI TRATTA? 23 November 2018
  • LIMITARE L’USO DEI SOCIAL: GLI EFFETTI BENEFICI SUI LIVELLI DI DEPRESSIONE E DI SOLITUDINE 20 November 2018
  • IL PTSD IN VIDEO 12 November 2018
  • PILLOLE DI EMPOWERMENT 9 November 2018
  • COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO 2 November 2018
  • IL CAFFÈ CI PROTEGGE DALL’ALZHEIMER? 30 October 2018
  • PER AVERE UNA BUONA AUTISTIMA, OCCORRE ESSERE NARCISISTI? 23 October 2018
  • LA MENTE ADOLESCENTE di Daniel Siegel 19 October 2018
  • TALVOLTA È LA RASSEGNAZIONE DEL TERAPEUTA A RENDERE RESISTENTE LA DEPRESSIONE NEI DISTURBI NEURODEGENERATIVI – IMPLICAZIONI PRATICHE 16 October 2018
  • Costruire un profilo psicologico a partire dal tuo account Facebook? La scienza dietro alla vittoria di Trump e al fenomeno Brexit 9 October 2018
  • L’effetto placebo nel Morbo di Parkinson. È possibile modificare l’attività neuronale partendo dalla psiche? 4 October 2018
  • I LIMITI DELL’APPROCCIO RDoC secondo PARNAS 2 October 2018
  • COME IL RICORDO DEL TRAUMA INTERROMPE IL PRESENTE? 28 September 2018
  • SISTEMI MOTIVAZIONALI INTERPERSONALI E TEMI DI VITA. Riflessioni intorno a “Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction” di Fabio Veglia e Giulia di Fini 17 September 2018
  • IL SOTTOTIPO “DISSOCIATIVO” DEL PTSD. UNO STUDIO DI RUTH LANIUS e collaboratori 26 July 2018
  • “ALCUNE OSSERVAZIONI SUL PROCESSO DEL LUTTO” di Otto Kernberg 12 July 2018
  • INTRODUZIONE ALLA MOVIOLA DI VITTORIO GUIDANO 9 July 2018
  • INTRODUZIONE AL LAVORO DI DANIEL SIEGEL 5 July 2018
  • DALL’ADHD AL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ: IL RUOLO DEI TRATTI CALLOUS-UNEMOTIONAL 3 July 2018
  • UNO STUDIO SUI CORRELATI BIOLOGICI DELL’EMDR TRAMITE EEG 28 June 2018
  • MULTUM IN PARVO: “IL MONDO NELLA MENTE” DI MARIO GALZIGNA 25 June 2018
  • L’EFFETTO PLACEBO COME PARADIGMA PER DIMOSTRARE SCIENTIFICAMENTE GLI EFFETTI DELLA COMUNICAZIONE, DELLA RELAZIONE E DEL CONTESTO 22 June 2018
  • PERCHÈ L’EFFETTO PLACEBO SEMBRA ESSERE PIÙ DEBOLE NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO: UN APPROFONDIMENTO 18 June 2018
  • BREVE REPORT SUL CONCETTO CLINICO DI SOLITUDINE E SUL MAGNIFICO LAVORO DI JT CACIOPPO 11 June 2018
  • SULL’USO DEGLI PSICHEDELICI IN PSICHIATRIA: L’MDMA NEL TRATTAMENTO DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO 7 June 2018
  • LA LENTE PSICOTRAUMATOLOGICA: GLI ASSUNTI EPISTEMOLOGICI 4 June 2018

IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino, Milano
  • HOME
  • AREE TEMATICHE
  • PSICOTERAPIA
  • PODCAST
  • CHI SIAMO
  • POPMED
  • PER SUPPORTARE IL BLOG

Copyright © 2025 · Education Pro on Genesis Framework · WordPress · Log in

a cura di Raffaele Avico ‭→ logo
  • HOME
  • AREE TEMATICHE
    • #TRAUMA e #PTSD
    • #PANICO
    • #DOC
    • #TARANTISMO
    • #RECENSIONI
    • #PSICHEDELICI
    • #INTERVISTE
  • PSICOTERAPIA
  • PODCAST
  • CHI SIAMO
  • POPMED
  • PER SUPPORTARE IL BLOG